La violenza che piace: rischiosa cristallizzazione cerebrale
Di Claudia Marrosu*
L’uccisione di Willy Monteiro, avvenuta a Colleferro la notte del 6 settembre 2020, attraverso un’analisi trasversale delle persone coinvolte, sembra rappresentare il dissacrante spaccato di una società in declino, fatta di giovani inebetiti con lo sguardo appannato dall’alcool e dalla droga.
Questa è la conseguenza di una generazione nata e cresciuta sempre e costantemente a contatto con la violenza. Non che la violenza non ci sia mai stata, ma nell’epoca attuale raggiunge facilmente anche i giovanissimi attraverso diversi tipi di stimoli: la musica, la televisione, i social network, e per i più piccoli aggiungerei anche i giochi elettronici (Nintendo, play, wii).
I modelli proposti sono pressocchè negativi e coinvolgono le giovani generazioni fin dalla più tenera età; i ragazzi li seguono senza riflettere sui contenuti nè sulle conseguenze dei loro comportamenti. In questo modo si attiva ciò che si definisce “apprendimento sociale per emulazione” (Modeling, Bandura): il soggetto modella il suo comportamene in base a ciò che ha osservato laddove si riconosce un primato, una fama, un successo, anche se non si appoggia su alcun sapere e che porterà i nostri ragazzi a non saper discernere fra realtà e finzione, tanto da comportarsi nella realtà come se si stesse vivendo in un videogioco.
I media proliferano di personaggi di grande impatto che predicano male e razzolano peggio, rivendicando tutto come un diritto all’espressione del proprio sé distorto, il sé peggiore che possa emergere e che va di pari passo con la trasgressione, come fosse un’inattaccabile necessità di tutela della propria libertà personale.
In una prospettiva educativa il problema è che i genitori dovrebbero contrastare altri adulti responsabili di un mercato che conduce alla cristallizzazione cerebrale della violenza, e fanno una gran fatica a far comprendere ai figli che la libertà si conquista attraverso un costante e faticoso impegno e studio quotidiano.
Tornando alla notte dell’agguato, emerge come i malviventi coincidano esattamente con i modelli proposti nei vari giochi elettronici, le serie tv digitali, nonché le immagini che arrivano dai testi e video delle canzoni predilette dai giovanissimi.
Sembra che il mondo odierno abbia un debole per la violenza, ma benché questa sia sempre stata presente nell’industria del divertimento, negli ultimi anni è cambiato qualcosa soprattutto nella sua diffusione, divenuta senza controllo.
Esponendo, infatti, bambini ed adolescenti a questi contenuti violenti, si possono avere delle ripercussioni negative sulla loro salute mentale e sul loro comportamento, tanto da essere all’origine di collera, insicurezza, irritabilità, ansia o depressione. Inoltre, il frequente consumo di prodotti mediali con contenuti violenti e la contemporanea insorgenza di fattori di rischio personali e sociali, possono aumentare l’aggressività dei bambini e dei ragazzi, fino ad arrivare ai comportamenti estremi su di se e sugli altri.
Una domanda sorge spontanea: come mai le case di produzione discografica accettano e promuovono messaggi, spesso accompagnati da video, che inneggiano alla perdizione, alla violenza, al sesso? E ancora come mai i genitori permettono ai loro giovani figli che venga fatto il lavaggio del cervello circa l’uso di droga, il sesso precoce e la mancanza di studio?
* Psicologa dell’età evolutiva
Sociologa organizzativista