Siamo ‘voce che grida nel deserto’ o indossiamo la maschera anonima del conformismo?

Siamo ‘voce che grida nel deserto’ o indossiamo la maschera anonima del conformismo?

Di Nicola Sajeva

 

Nel mosaico dell’esperienza umana penso che il titolo di questa riflessione rappresenti un tassello dove il portatore di qualche importante annuncio trova spazio e occasione per poter esprimere e trasmettere il contributo profetico sbocciato nel suo cuore.

Gridare nel deserto evoca un’azione e un posto, evoca il bisogno di manifestare qualcosa che ci brucia dentro e che spesso non trova ascolto perché forze contrarie sono impegnate ad annullare ogni circuito di comunicazione.
Questa è l’esperienza vissuta da tutti i profeti che, nel corso della storia, hanno tentato di offrire all’uomo le giuste coordinate per andare avanti, gli ingredienti per creare condizioni di maggiore vivibilità, gli strumenti per aprire orizzonti nuovi e luminosi.

Il profeta sogna, anticipa, rischia, offre primizie, apre sentieri non praticati, ma, molto spesso, incontra resistenza, diffidenza, solitudine e si ritrova a sopravvivere nell’aridità del deserto.

La scintilla responsabile di questa riflessione la possiamo ritrovare nelle letture proposte ai credenti in questo importante momento di preparazione all’evento più sconvolgente della storia: L’incarnazione di Dio.

“La voce d’uno che grida nel deserto” (Mt. 3,3) preannunciato dal profeta Isaia Giovanni è il personaggio che domina la scena dove si cerca di rappresentare la grande attesa, il grande momento che introduce al compimento delle antiche promesse. Questo deserto, questo silenzio, questa notte viene attraversata da un grido vigoroso, convinto, penetrante, disturbatore di ogni tiepidezza. Gridare nel deserto allora diventa l’unica scelta possibile per chi si propone la responsabilità e la gioia di un annuncio importante portatore di novità, di valori, di verità scomode, capaci di intaccare un perbenismo sempre impegnato a pescare sui banchi dell’ipocrisia le maschere adatte.

Gridare nel deserto è il ruolo, è la fatica, è il prezzo da pagare per quanti desiderano proporre alternative in una società che non riesce più ad arrossire, che va perdendo le carte vincenti che potrebbero farla diventare apprezzabile, che evita tutti i confronti in grado di migliorarla. Una società che ha scelto come obiettivi irrinunciabili, il denaro, il piacere, il potere, il sorpasso senza regole.

Alla luce di queste considerazioni non ci meravigliamo più di tanto se insegnanti, genitori, politici, amministratori, sacerdoti, molto spesso si ritrovano a gridare nel deserto.
Gridano nel deserto gli insegnanti convinti del loro determinante e insostituibile ruolo; gridano nel deserto i politici e gli amministratori tesi a creare condizioni migliori per tutti i cittadini seguendo la strada difficile di un serio confronto democratico; gridano nel deserto i genitori che vogliono intraprendere strade dove le scelte non vengano determinate dalle mode del momento; gridano nel deserto i sacerdoti decisi a non svendere la ricchezza incommensurabile del Vangelo; gridano nel deserto tutti i mezzi di comunicazione che hanno consapevolezza della loro enorme responsabilità nella formazione delle coscienze.

Non è facile affrontare la fatica del deserto, superare le dune dell’impopolarità, guadare le fredde paludi dell’incomprensione, non soffermarsi a godere l’ammaliante richiamo delle sirene desiderose di introdurci nei paradisi costruiti dall’avidità umana. Non è facile se il nostro egoismo ha già ammainato tutte le bandiere della libertà, ha già sepolto tutti gli aneliti portatori di speranza, ha già spento le luci che illuminavano i nostri sogni.
Ma basta poco per spazzare queste nebbie, basta la forza, la determinazione, la purezza dei giovani o di quanti si sentono tali. Meglio gridare nel deserto che rimanere tutta la vita a mendicare applausi, ad aspettare consensi prezzolati, a raccogliere falsi sorrisi, ad incrociare sguardi incapaci di superare l’esame del tempo.

E’ meglio essere “la voce d’uno che grida nel deserto” o essere disponibili ad indossare la maschera anonima del conformismo? Nella risposta l’impronta del nostro futuro.

 

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