Scenari in Medioriente dopo la caduta della Siria
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INTERVISTA ALL’ANALISTA AMEDEO MADDALUNO
Amedeo Maddaluno, che InFormazione cattolica ha già intervistato sulla futura politica estera del rieletto presidente americano Donald Trump, si occupa di storia ed economia politica, nonché di strategia e affari militari, con un forte focus sul mondo arabo islamico e fa parte del tink thank di Parabellum. Questa volta gli rivolgiamo alcune domande sui possibili scenari che si prospettano in Medio Oriente dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad.
Dottor Maddaluno, secondo lei come mai questo crollo improvviso del regime che pure ha tenuto testa per diversi anni alle formazioni jihadiste che hanno praticamente ridotto a brandelli la Siria?
«Perché in realtà non è stato improvviso: i russi e gli iraniani avevano avvisato Damasco che qualcosa si stava preparando. I gruppi jihadisti asserragliati a Idlib da anni postavano video su Internet di addestramenti delle loro truppe, addirittura di forze speciali con equipaggiamenti di tutto rispetto. Quindi è chiaro che se ti stai addestrando e se sei ben armato, qualcosa in mente ce l’hai».
Ma a quanto pare gli avvertimenti provenienti da Mosca e da Teheran sono stati ignorati da Damasco, che non ha voluto trattare con il turco Erdogan, come è stato consigliato di fare. Come mai?
«Mosca e Teheran avevano fatto sapere di non avere più la capacità di sostenere il regime di Assad indefinitamente ma hanno incassato un secco rifiuto a trattare, perché da un lato Assad contava sul fatto che le sue forze armate potessero resistere, mentre dall’altro c’era la sua convinzione che comunque Iran e Russia l’avrebbero sostenuto fino alla fine. Da qui la sua indisponibilità parlare con Erdogan, che sulla Siria ha delle mire precise.
E forse lo abbiamo capito dal fatto che la prima offensiva dei ribelli è partita dalla provincia di Idlib, che confina solo con la Turchia. Quali sono le mire di Ankara?
«L’obiettivo tattico è di disfarsi dei milioni di profughi siriani presenti nel paese. Quello strategico è di crearsi un estero vicino, sottomesso o compiacente, che vada dalla repubblica fantoccio di Cipro nord all’Azerbaigian – con l’espulsione della presenza russa nel Caucaso del sud dopo la sconfitta nel Karabakh delle forze armene – fino al Kurdistan iracheno (i curdi iracheni sono filo turchi perché il loro obiettivo è distanziarsi da Baghdad, e non da Ankara). Questo estero vicino da due settimane circa include anche il 70% della Siria ».
Comunque possiamo ritenere che non sia stata certo la Turchia la sola ad aver provocato la caduta del regime. Gli americani, che hanno sostenuto le forze jihadiste nella lotta contro Assad che parte potrebbero aver avuto?
«Hanno avuto un ruolo nell’armare, nel coordinare e nell’addestrare i gruppi jihadisti più moderati, quelli del Sud, cui hanno fornito appoggio, armamenti e forse addestramento e intelligence. Anzi, senza forse perché ci sono forze americane sul campo siriano. Hanno sostenuto anche le Forze Democratiche Siriane, il movimento a preponderante guida curda, che controlla il 30% della Siria a Est dell’Eufrate. Oltre all’appoggio americano a chi sta a sud e a est, c’è stato l’appoggio turco alle formazioni a nord, come l’Esercito Nazionale Siriano. Il sottoscritto sospetta anche un appoggio di intelligence israeliano, almeno nelle prime fasi del conflitto e almeno per alcune operazioni mirate».
Ad esempio?
«Nelle prime ore dell’offensiva da nord si è parlato dell’eliminazione mirata compiuta da forze speciali anti Assad ai danni di un generale dei pasdaran presente nell’area di Aleppo. Un’operazione così precisa e così mirata nei confronti di un nemico diretto di Israele direi che “profuma” di Mossad, anche a grande distanza. Poi magari il Mossad non è intervenuto direttamente e si è limitato a girare le giuste informazioni ai servizi turchi. Siccome il Mossad mantiene ottimi rapporti con il Milli Istihbarat Teşkilati (Mit) turco perché escluderlo?»
Secondo lei sarà possibile una pacificazione del paese? oppure è probabile il riaccendersi di sconti tra le varie fazioni in campo?
«Io amo distinguere fra il possibile e il probabile, perché tutto è possibile in politica, e geopolitica e politica estera non fanno eccezioni. Quindi è possibile una pacificazione nazionale, quantomeno fra le fazioni a maggioranza araba. Forse non da subito anche con i curdi, data la forte presenza della Turchia nei retroterra politici siriani. C’è anche una forte di rivalità tra le frazioni, e non scordiamo che la società siriana è spiccatamente tribale. Non scordiamo che anche all’interno della stessa galassia jihadista ci sono varie fazioni, alcune moderatamente filo turche, altre che sono quasi propaggini della Turchia, altre ancora che invece guardano più agli Stati Uniti d’America. Non scordiamo che rimangono anche cellule dell’Isis, soprattutto nelle aree desertiche, mentre le cospicue minoranze sciite e cristiane restano alla finestra. Parliamo di gruppi etnico religiosi o addirittura tribali che non hanno deposto le armi ma che le hanno solo sepolte in giardino in attesa di capire che cosa succederà».
Non scordiamoci degli sciiti…
«Appunto, in Siria non ci sono solo Stati Uniti e Turchia ma anche gruppi sciiti e qualche loro contatto con l’Iran è più che sospettabile. Molto probabile che manterranno un contatto con la Russia pure i gruppi alauiti della costa; molti alti papaveri del precedente governo non si trovano. Non si trova l’ultimo capo della principale agenzia di intelligence siriana, non si sa dove sono uno dei suoi predecessori e il generale Suheil Al Hassan, capo della forza Tigre, una formazione militare molto vicina alla Russia, e non si sa dove sia il fratello di Bashar al-Assad, Maher: chi lo vuole sulla costa, chi lo vuole in Iraq ma voci dicono pure che se sia finito addirittura in Libia. Tutti questi personaggi che si nascondono sono in cerca d’autore o in cerca di nuove protezioni? Sarà il tempo a dircelo».
Secondo lei cosa accadrà in Libano, che era sotto “tutela” siriana attraverso Hezbollah?
«Questa è la famosa proverbiale domanda da un milione di dollari. La Siria era uscita dal Libano da anni, ben prima dello scoppio della sua guerra civile. Era ormai il Libano ad influenzare la Siria attraverso Hezbollah – formazione messa in ginocchio da Israele e che quindi non poteva più essere il principale puntello di Bashar al Assad. Non è da escludere che qualcuno in Libano voglia rifarsi contro Hezbollah e ridisegnare gli equilibri politici del paese. Un mio personale parere è che la società libanese è stanca e sfiancata dai continui conflitti; quindi, credo che i libanesi non vogliano un nuovo rimescolamento di carte e una nuova guerra civile. Oggi il problema dei libanesi è la raccolta dell’immondizia per le strade e mettere qualcosa da mangiare sulla tavola».
Certo che la caduta dell’alleato storico Assad rappresenta un bel problema per la Russia, che adesso tra l’altro vede messa in dubbio la conservazione del porto di Tartus, essenziale per i suoi interessi in Africa. Lei come la vede questa cosa?
«La vedo oggettivamente male per Mosca che sta abbozzando, come ha abbozzato nel Karabakh piantando in asso l’alleato armeno. Adesso ha salvato la pelle di Bashar al-Assad ma ha dovuto piantare in asso un alleato politico come il partito Bhatista siriano per negoziare la presenza delle basi con i nuovi padroni della Siria, che stiano a Damasco o stiano ad Ankara, dove magari ci sono alcuni dei loro danti causa. Attenzione, io non credo alla teoria delle guerre per procura (proxy war), un termine abusato. I nuovi padroni della Siria hanno una loro agenda e non sono i burattini di Erdogan, non tutti almeno. Sta di fatto che i russi dovranno negoziare e già questa è una posizione difficile per loro. Si tenga presente che una base ha senso se si può utilizzare per proiettare forza altrove; se per i russi Tartus diventa il fortino da difendere dagli indiani diventa un costo puro, non un investimento».
Invece, adesso che si sono liberate un po’ di forze russe in Siria ci saranno conseguenze per l’Ucraina?
«Erano già poche e i russi ci tenevano poca roba. Semmai sono gli ucraini che hanno partecipato alla formazione dei jihadisti e insegnato l’utilizzo dei droni, che forse gli hanno anche fornito. Quindi l’Ucraina vede fare un passo indietro alla Russia ed è contenta, anche solo per il fatto che il mondo ha visto, una volta di più, che Putin non è invincibile e non è infallibile».
Quale potrebbe essere invece il destino della minoranza cristiana che sotto il regime laico di Assad poteva sopravvivere mentre adesso saranno gli jihadisti sunniti ad avere il controllo di quel che resta della Siria? E sappiamo quanto siano tolleranti…
«Il loro sarà un destino in ogni caso gramo, essendo alla mercé dei nuovi padroni della Siria che oggi i media ci vendono come le persone più brave del mondo – ma mi permetto di dubitare siano appassionati lettori di Kant, Voltaire e Bertrand Russell. Rispetto molto i siriani che festeggiano questi giorni, ma di fronte a chi festeggia in Occidente mi permetto di alzare il sopracciglio e dire: sicuri sapere bene per cosa state gioendo? In ogni caso la popolazione cristiana dipenderà dalla benevolenza di un nuovo padrone. Ho notizie, che stiamo verificando con amici e colleghi, della fuga della rimanente popolazione armena dalla Siria verso il Libano e gli armeni, con i turchi nei paraggi, sono come il canarino nella miniera. Questa cosa sicuramente deve farci riflettere. Comunque, temo che il destino dei cristiani locali è di essere, come tutta la cristianità in quell’area, ancora una volta alla mercé di chi governerà».
Con questo colpo di cena in Siria cosa ci possiamo aspettare per il Medio Oriente? Ci sarà un’ulteriore complicazione del quadro generale o paradossalmente questo potrebbe allontanare, almeno per il momento, l’ipotesi di un confronto diretto tra Israele e Iran, come sembrava probabile fino a qualche giorno fa?
«L’Iran è più sconfitto della Russia, perché perde un governo amico, anzi un governo alle sue dipendenze, sul quale aveva investito moltissime risorse umane ed economiche. Perde il collegamento terrestre con gli Hezbollah libanesi, che dovrà con molta più difficoltà rifornire via mare con rotte di contrabbando. Soprattutto perde la capacità di minacciare Israele da vicino. Veramente adesso l’Iran non può più essere all’offensiva contro Israele».
Una ultima domanda: quali implicazioni e conseguenze ci saranno secondo lei per l’Occidente? È vero che in America e forse qualcuno in Europa non vedeva l’ora di rovesciare Assad ma per sostituirlo con un governo filo occidentale, mentre adesso saranno gli jihadisti a governare il paese.
«Premesso che l’Occidente non esiste, perché l’America ha una sua agenda mentre l’Europa non ha una politica estera, preferisco parlare di America e non di Europa, che non sa neppure dove sta la Siria sulla carta. L’America vede un arretramento dei russi e una botta dietro il collo agli iraniani; quindi, è contentissima di quello che sta succedendo. Probabilmente in Siria ci sarà un governo filoturco, quindi l’America dovrà avere a che fare con una Turchia più forte e minacciosa. Oggi il primo problema dell’America è la Cina; il secondo è ancora la Cina e il terzo, se avanza un po’dalla Cina, è la Russia. La Turchia? Sì, la sua crescente importanza non fa piacere, però è controbilanciata da Israele e comunque Ankara non prende mai di petto gli Stati Uniti e anzi è molto furba: è attenta ad armare gli ucraini in chiave antirussa e a partecipare al contenimento dell’impero persiano e di quello russo. Quindi alla fine la Turchia, al di là della retorica di Erdogan, è tutt’altro che esterna gli interessi americani».
Dunque possiamo stare tranquilli?
«Mi faccia fare una considerazione transitoria e finale. Regola numero uno, capitolo uno, paragrafo uno del manuale: in politica non si guardano mai le dichiarazioni dei politici, si guardano i fatti. Erdogan può dire che lui con Israele ce l’ha a morte e che Netanyahu è un criminale; poi alla prova dei fatti contro Israele non fa mai nulla di drammatico. Si tiene rappresentanze anche di Hamas in casa, ma alla prima occasione ha tirato all’Iran un cazzottone che gli iraniani si ricorderanno per parecchio e, guarda caso, gli iraniani abbozzano. Anche in Caucaso i turchi e gli israeliani collaborano d’amore e d’accordo in Azerbaigian. Questa è una cosa che voglio consegnare ai lettori. Vale per Erdogan, vale per Putin, varrà per Trump.».
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