Il rispetto ai tempi dei social
A cura della Redazione
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E’ USCITO “LA CULTURA DEL DISPREZZO”, IL NUOVO LIBRO DI EMILIANO FUMANERI
Estratto del libro La cultura del disprezzo. Il rispetto ai tempi dei social, edito da Berica Editrice per la collana Uomovivo (pag. 9-10)
Rispetto, merce rara da tempo. Lo aveva intuito già Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, nell’ormai lontano 1986. «Non c’è più rispetto!», cantava il bluesman emiliano quando ancora era in piedi il Muro di Berlino e la guerra fredda scaldava – si fa per dire – gli animi.
Chissà che direbbe oggi. Ho però il sospetto che il rispetto sia tuttora desaparecido. Lo prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto che oggi ci si debba muovere – ma che dico muovere: affogare, persino affondare! – nella palude del disprezzo. Il disprezzo ci assedia da ogni parte. Già, perché non c’è scampo: rispetto e disprezzo sono in relazione inversa. Dove uno aumenta, l’altro diminuisce.
Come mostra Romano Guardini nel suo fondamentale libro intitolato Virtù, il vero volto del rispetto – che viene da latino respicere, ovvero ri-guardare, guardare di nuovo o meglio guardare indietro – non è altro che il riguardo per la grandezza e la dignità della persona. Parente stretto della cortesia, il rispetto è garanzia di relazioni autenticamente umane. Uno sprezzante rispetto o un rispettoso disprezzo non ci apparirebbero forse come strani e ripugnanti mostri? Contraddizioni in termini, grotteschi ossimori.
Peggio ancora: il disprezzo si è fatto cultura, che è ben di più di un’occupazione riservata a una ristretta élite intellettuale. Sarebbe meglio pensare la cultura in termini di ambiente, come qualcosa di simile all’acqua in cui sono immersi i pesci. La cultura del tempo in cui viviamo, per noi che ne siamo completamente avvolti, agisce come l’acqua: è pervasiva, penetra dappertutto, dentro di noi e tutt’intorno a noi. È trasparente, inodore e incolore. Eppure c’è e condiziona profondamente le nostre vite. Il disprezzo non è lì fuori: si agita in noi, è anche affar nostro. Dobbiamo farci inevitabilmente i conti. Tirarcene fuori non possiamo.
In questo libro si parlerà molto anche di social network. Voglio però giocare a carte scoperte. L’approccio che seguirò non è quello dell’apocalittico ma nemmeno quello dell’integrato. Sarà piuttosto un approccio critico, perché scegliere bene presuppone che si sia prima giudicato bene (critica viene da krisis, che significa sia giudizio che scelta).
Non demonizzerò i social: non sono loro ad aver creato la cultura del disprezzo. Ma è pur vero che il disprezzo si diffonde soprattutto attraverso i social. E non è casuale, come vedremo. Infine questo libro è un grido, un appello alla ribellione contro la cultura del disprezzo, tossina per la mente e per lo spirito che va contrastata con ogni mezzo. Con un’avvertenza: lungi da me ergermi a moralista e puntare il dito. Chi mi conosce sa che sono un testimone colpevole: in anni non troppo lontani non mi sono certo risparmiato come super diffusore di disprezzo sul web. Non ci sono portatori sani di questo virus. Se parlo è perché so bene quanto siano vincolanti le catene del peccato e quanto siano in grado di spezzare ogni legame: con Dio, fonte della nostra libertà, e con i nostri fratelli in umanità.