Ebrei “fratelli maggiori” dei Cristiani

Ebrei “fratelli maggiori” dei Cristiani

di Angelica La Rosa

UN LEGAME ANTICO E INDISSOLUBILE

Nel panorama religioso e culturale dell’umanità, il dialogo tra Ebraismo e Cristianesimo ha occupato un posto centrale, non solo per la vicinanza storica delle due fedi, ma anche per le profonde radici spirituali e teologiche che le uniscono. Quando Papa Giovanni Paolo II definì gli ebrei come i “fratelli maggiori” dei cristiani, non si trattò soltanto di un’espressione retorica o diplomatica, ma di una sintesi potente di millenni di storia condivisa. Questa affermazione, pur nella sua semplicità, contiene una verità fondamentale: il Cristianesimo non può essere compreso senza l’Ebraismo, così come i fratelli più giovani trovano la propria identità attraverso il dialogo con i più anziani, che hanno tracciato per primi il cammino.

L’Ebraismo rappresenta il ceppo originario da cui il Cristianesimo è germogliato. Entrambe le religioni condividono le Sacre Scritture dell’Antico Testamento, che i cristiani vedono come una rivelazione preparatoria, un preludio all’avvento del Messia in Cristo. I patriarchi, i profeti e la Legge mosaica sono figure e istituzioni fondamentali non solo per la fede ebraica, ma anche per quella cristiana. Abramo, il padre della fede, è venerato da entrambe le comunità come il primo testimone di un Dio unico, che chiama l’umanità a un rapporto di alleanza e di fedeltà.

Gesù stesso, al centro del Cristianesimo, è nato ebreo, ha vissuto come ebreo e ha predicato alla luce della Torah. I Vangeli raccontano il suo insegnamento come un continuo dialogo con le Scritture ebraiche, interpretandole in una chiave di compimento. Anche gli apostoli e i primi discepoli erano tutti ebrei, profondamente radicati nelle tradizioni del loro popolo. La liturgia cristiana, nei suoi elementi fondativi, deriva dall’esperienza del culto ebraico, come dimostra l’importanza dei Salmi e delle letture bibliche nella celebrazione. Queste connessioni storiche e spirituali mostrano chiaramente che il Cristianesimo non ha mai potuto separarsi completamente dalle sue origini ebraiche.

Nonostante questa profonda parentela, la storia delle relazioni tra ebrei e cristiani è stata spesso segnata da incomprensioni, tensioni e, purtroppo, da gravi episodi di antisemitismo. Dopo i primi secoli di convivenza, la separazione tra Chiesa e Sinagoga si fece sempre più marcata, con accuse reciproche che alimentarono divisioni. La teologia cristiana medievale, in alcuni casi, cadde nella tentazione di vedere l’Ebraismo come una religione superata, un “ramo tagliato” che aveva perso il suo scopo dopo la venuta di Cristo.

Questa visione teologica si tradusse in pregiudizi culturali e in politiche discriminatorie che, nel corso dei secoli, provocarono sofferenze indicibili per il popolo ebraico. La Shoah, il genocidio perpetrato contro gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, rappresenta il culmine tragico di una lunga storia di odio e persecuzione. Questo abisso morale ha costretto il Cristianesimo contemporaneo, e in particolare la Chiesa cattolica, a un profondo esame di coscienza.

Il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra Aetate del 1965, segnò una svolta storica nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico. La Chiesa riconobbe non solo le radici ebraiche del Cristianesimo, ma anche la permanenza della vocazione di Israele come popolo scelto da Dio. Questo documento respinse con forza ogni forma di antisemitismo e riaffermò il valore della tradizione ebraica per la fede cristiana.

Da allora, i pontefici hanno continuato a promuovere il dialogo e la riconciliazione. San Giovanni Paolo II, in particolare, ha avuto un ruolo fondamentale nel costruire ponti tra ebrei e cristiani. Visitando la sinagoga di Roma nel 1986, fu il primo papa a compiere un gesto del genere, definendo gli ebrei “nostri fratelli maggiori”. Questo linguaggio, carico di affetto e rispetto, sottolinea non solo la continuità tra le due fedi, ma anche il debito spirituale che i cristiani hanno verso gli ebrei.

Definire gli ebrei come fratelli maggiori non è solo un riconoscimento storico, ma anche una profonda verità teologica. Nella Bibbia, il rapporto tra fratelli è spesso complesso: Caino e Abele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli. Tuttavia, al centro di queste narrazioni vi è la possibilità di riconciliazione e di reciproca comprensione. I fratelli maggiori hanno il compito di custodire l’eredità familiare, mentre i più giovani, pur tracciando nuove strade, non possono dimenticare le radici da cui provengono.

Per i cristiani, questo significa riconoscere che senza l’Ebraismo non esisterebbe la loro fede. Gli ebrei hanno custodito per secoli la Parola di Dio, mantenendo viva la testimonianza del monoteismo e dell’Alleanza. Anche oggi, il popolo ebraico rappresenta un segno della fedeltà di Dio nella storia. Questo non implica una subordinazione o una fusione tra le due religioni, ma un dialogo rispettoso e fecondo, in cui ciascuna può arricchirsi dell’altra.

Oggi, in un mondo segnato da conflitti religiosi e da nuove forme di antisemitismo (proprio ieri abbiamo registrato l’uccisione, negli Emirati Arabi Uniti, del rabbino israelo-moldavo Zvi Kogan, ennesimo episodio di “terrorismo antisemita”), il dialogo tra ebrei e cristiani è più urgente che mai. La fraternità non è solo un ideale, ma una necessità concreta per costruire una società più giusta e pacifica. Cristiani ed ebrei, insieme, possono testimoniare i valori comuni che derivano dalla loro fede: la dignità dell’essere umano, la giustizia, la misericordia e la speranza.

Questa testimonianza condivisa non è priva di difficoltà. Persistono differenze dottrinali e pratiche che non possono essere ignorate. Tuttavia, riconoscere gli ebrei come fratelli maggiori invita i cristiani a superare ogni forma di pregiudizio e a vedere nell’Ebraismo una fonte di ispirazione e di dialogo.

Gli ebrei sono davvero i fratelli maggiori dei cristiani, non solo perché hanno preceduto il Cristianesimo nella storia della salvezza, ma perché continuano a offrire un esempio di fedeltà e di speranza. In un tempo in cui le divisioni sembrano prevalere, riscoprire questa fraternità è un compito fondamentale per entrambe le comunità. Come fratelli, ebrei e cristiani sono chiamati non a competere, ma a camminare insieme, testimoniando l’amore di Dio per tutta l’umanità.

Naturalmente tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare con fermezza che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. E questo, dialogando con gli Ebrei non si può certo tacere. Tutti i dogmi e le credenze cristiane non vanno nascoste, mai! Ma questo non ci impedisce, in quanto cristiani, di dialogare con tutti, in particolare con gli Ebrei.

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