A partire dal nostro ombelico comprendiamo l’origine della vita

A partire dal nostro ombelico comprendiamo l’origine della vita

Una moda corrente delle ragazze di oggi è andare con l’ombelico scoperto. È un vezzo che richiama l’interesse sessuale nel linguaggio immediato dei segni, ben comprensibile a tutti, ai giovani in particolare. La scoperta del sesso nelle sue molteplici valenze, l’attrazione fisica, la frequenza dei contatti tra ragazzi e ragazze fuori dalla vista dei genitori, la voglia di affermazione di sé, di assoluta autonomia, d’integrazione con i coetanei, la dipendenza dai modelli televisivi (Vip dello spettacolo e veline) porta molte ragazze a svestirsi così. Si può partire da questo dato d’attualità per fare una catechesi sulla vita, proprio a partire dall’ombelico. Poiché tutti l’abbiamo, si può anche prescindere dalla moda attuale e fare lo stesso discorso per tutti sullorigine della vita.

L’ombelico è al centro dell’addome di ogni uomo o donna. È il punto dove era attaccato il cordone ombelicale, durante la vita fetale. Dopo la fecondazione, il concepito è piccolissimo, ma va presto accrescendosi per moltiplicazione cellulare. Poi si annida nella parete dell’utero materno e va mettendo i villi, da cui a poco a poco si formerà la placenta. Questa è come una spugna, da una parte attaccata alla madre e dall’altra al cordone ombelicale, che và fino al bambino. Egli ne ha assoluto bisogno per continuare a crescere e formar-si, prima come embrione, poi come feto e poi come bambino maturo. Nel giro di nove mesi si accresce tanto che può pesare 3-5 chili, mentre la placenta a termine pesa oltre 2 chili. Attraverso la placenta e il cordone ombelicale passa tutto ciò che la mamma deve dare al bambino per crescere: acqua, sali minerali, grassi, zuccheri, proteine, vitamine, ossigeno, anticorpi, etc., e ciò che il bambino deve espellere: urine, prodotti del metabolismo del fegato, del sangue, etc. Al momento del parto il bambino viene fuori ed esce pure il cordone ombelicale: lo si pinzetta e lo si taglia; dopo una settimana cade il moncone e rimane la cicatrice al centro della pancia, a ricordo di quanto avvenne nella vita fetale.

Qual è il messaggio dellombelico? È molto semplice e bello. Ogni uomo, guardando il suo ombelico deve dire: Io, la vita l’ho ricevuta. Non me la sono data da me. È un dono che ho ricevuto da mia madre e da mio padre, che mi hanno generato e poi fatto crescere nel grembo di mia madre. Lei può ben dirmi di avermi amato già prima di vedere la mia faccia. Infatti, essa accettò la gravidanza e la condusse a termine con fatica e amore. Per me accettò anche i dolori del parto e tutte le necessarie cure per farmi crescere bene. Mio padre e mia madre mi hanno dato un’infinità di beni: la vita, la culla, l’allattamento, il bagno, il riposo, le visite mediche il vaccino, le medicine; e poi il posto d’onore nella famiglia, la casa, le carezze, la ninna-nanna, la lingua materna, tutto il corredo per crescere bene, l’educazione, la trasmissione dei valori più belli, il dono della presenza degli altri componenti della famiglia, a cominciare da fratellini e sorelline e infiniti altri doni. Se è vero che a tanti bambini non è dato avere tutto ciò, la stragrande maggioranza degli uomini sono accolti con amore, anche se c’è chi butta i neonati nei cassonetti o chi abortisce. Ma la regola è l’accoglienza gioiosa e amorevole. Persino gli animali (vedi i mammiferi) sono teneri con i loro piccoli. Perciò quasi tutti possiamo dire in verità: “La mia vita è un dono damore”.

Da chi viene la vita? La vita ci viene da Dio, Autore dell’essere. Tutti sappiamo che c’è bisogno pure di un papà e di una mamma, cooperatori di Dio nel dare l’esistenza ai figli. Sono essi che ci hanno dato il corredo genetico che ci costituisce fisicamente come soggetti di una determinata  famiglia, popolo e nazione. Ma la mano che ci ha formato nel ventre della mamma è quella invisibile di Dio. “Sei Tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre” (Sal 139,13): solo l’Onnipotente può dare l’essere, la vita, l’esistenza. In verità è Lui che ha dato il potere di procreare, concedendo agli uomini la fecondità, col comando “Siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,28) dato fin dalle origini. Al momento opportuno poi Egli infonde l’anima e l’uomo diventa un “essere vivente” (Gen 2,7), una persona ragionevole destinata alla vita eterna. Dunque la vita nostra è un dono d’amore di Dio. Dio è Amore che dà vita; e ci chiama alla vita eterna, dopo aver compiuto la nostra missione sulla terra.

Nessuno può pagare il prezzo della sua vita. D’altro canto non ci è richiesto altro che la riconoscenza e lamore verso chi ci ha generati. Perciò bisogna prendere coscienza del dono, della sua bellezza, della sua gratuità, della sua grandezza. Solo chi vive può operare: crescere, avere relazioni, lavorare, esplorare, fare qualcosa di nuovo, formare una famiglia, trasmettere la vita ad altre creature, abbellire il mondo, fare arte, musica, etc. Chi vive ha la grande possibilità di conoscere Dio ed essere felice per sempre, entrando in comunione con Lui, Autore della vita e di ogni altro bene. L’antico Catechismo alla domanda: “Perché Dio ci ha creati?” rispondeva: “Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo nell’altra in Paradiso”. Tutti vogliamo essere felici; ma il solo modo di esserlo è possedere Dio. Ora Dio si fa possedere solo da coloro che lo amano sopra ogni cosa. Per questo il primo Comandamento, come ci insegna Gesù, è: “Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”. E quest’amore parte dalla riconoscenza del dono ricevuto: la vita, un dono impagabile e stupendo, che prelude al dono della vita eterna e della felicità.

Ma Dio non si vede. La sua conoscenza è una conquista e un dono ulteriore. Si vedono invece i genitori: sono essi che danno la vita al bambino. Per lui essi rappresentano Dio: tutto gli danno con infinito amore e con ogni cura. Perciò si deve amore e riconoscenza ai genitori. È un debito impagabile, che dura tutta la vita. C’è oggi chi nega che la vita sia un dono d’amore e una grazia. C’è chi nega di dire grazie a Dio e ai suoi genitori. C’è chi dice che tutto è materia in evoluzione, che l’uomo si è fatto da sé, che la vita viene da un altro pianeta, che l’uomo è frutto dell’evoluzione e basta. Cfr. La scimmia nostra madre di Umberto Veronesi e l’accanimento con cui tanti negano un disegno intelligente nelle cose della natura e perciò il bisogno di ricorrere a un Dio Creatore. Il genoma umano, che comprende i nostri 46 cromosomi che sono in ogni cellula umana (eccetto le cellule germinali, che ne hanno la metà), è costituito da tre miliardi e 100 milioni di “sequenze”, mirabilmente stabilite nel doppio filamento del DNA. Sono poste in un ordine strabiliante e si trasmettono così da padre in figlio. Dire che si sono formate da sole è da stupidi, come dire che un’ immensa biblioteca, con tutti i suoi volumi e parole, si sia creata da sé, senza una mano intelligente e un ordine stabilito.

Se non si vuole rinunziare a ragionare, bisogna ammettere che la natura, il mondo, la vita, gli esseri, i pianeti, le stelle… sono cose meravigliose, poste in un ordine meraviglioso, che dimostra un disegno intelligente e sapiente, una Mente e una Potenza eccelsa, che nessuno può negare e che tutti dovrebbero esaltare. “Signore, mio Dio, quanto sei grande!” (Sal 104); “Quanto sono amabili tutte le sue opere! E appena una scintilla se ne può osservare. Tutte queste cose vivono e resteranno per sempre in tutte le circostanze e tutte gli obbediscono. Tutte sono a coppia, una di fronte all’altra, egli non ha fatto nulla di incompleto. L’una conferma i meriti dell’altra, chi si sazierà nel contemplare la sua gloria?” (Sir 42,22-25 e 43).

Qual è la nostra missione, il nostro compito assegnato dal Creatore? Esso differisce da persona a persona: ogni uomo che viene al mondo ha dei talenti particolari, idonei per quel compito che il Padre eterno gli assegna. Ma per tutti si può dire che il principale compito è amare, fare della propria vita un dono di amore agli altri. D’altro canto è proprio questa la legge di Dio. Ogni uomo non deve imparare cosa più importante di questo da fare nella vita: amare tutti quelli che Dio gli farà incontrare, volere il loro bene, dargli aiuto e comprensione, ascolto e cura, interesse e collaborazione a fare il bene e limitare il male. Se l’uomo impara ad amare, così come Gesù e i Santi ci dimostrano, egli alla fine della sua esistenza vedrà Dio e sarà abbracciato dal Padre e riconosciuto come Suo vero figlio, degno di abitare con Lui per tutta l’eternità.

L’orizzonte della vita dunque, conduce all’amore: la vita nasce dall’amore di Dio e dei genitori e va a sfociare nell’amore, in quell’Amore che ci ha generati e che ci abbraccerà alla fine dei nostri giorni. La via sicura è sempre l’amore. Chi non ama non ha conosciuto Dio e rimane nella morte. L’amore invece dà la vita e la promuove in forme sempre più belle e feconde. Uscire da questo orizzonte è votarsi al fallimento. Ciò che spegne l’amore uccide la vita, l’opprime, la distrugge. Questo fa l’egoismo, la menzogna, la violenza, l’avarizia, l’invidia, la gelosia, il divorzio, l’aborto, l’eutanasia. Tutte le leggi umane e i comportamenti non basati sull’amore sono fuorvianti e dannosi per il singolo e per la società.

Le coppie di fatto non promuovono l’amore, perché non permettono di fare il dono irrevocabile di sé: si basano sulla precarietà del vincolo e non accettano di fare il dono definitivo. Inoltre hanno paura di generare, di dare la vita ai figli, proprio per la revocabilità del consenso e lo scioglimento del vincolo. Se poi si tratta di due gay o lesbiche, la loro unione è di per sé infeconda e innaturale: se fosse generalizzata porterebbe in breve all’estinzione del genere umano. Lo Stato anziché creare unioni innaturali e infeconde, provvisorie e solubili, dovrebbe invece aiutare chi si impegna sulla via dell’amore vero, pieno, irrevocabile, fecondo, datore di vita e di valori perenni.

L’inseminazione e i figli in provetta non sono degni dell’uomo e perciò non possono nascere dall’amore, ma dalla egoistica ricerca di un figlio a tutti i costi o di un figlio selezionato tra tanti embrioni da buttare. Siamo arrivati alla fabbrica dei figli a piacere, alla perdita della dignità del procreare, alla privazione dell’atto coniugale: l’unico che garantisca il vero padre e la vera madre al bambino procreato, in quale ha diritto di essere generato come natura comanda e di avere la certezza del padre e della madre. Ne va della sua identità e della sua dignità. L’amore vero invece, dà centralità al piccolo e ricerca solo ciò che meglio lo fa vivere. Dio è sempre Lui che dà la vita ed ha stabilito l’atto coniugale per generarla. Fuori di questo c’è profanazione della vita e manipolazione dell’essere umano, ridotto ad un germe a nostra disposizione. Fuori della verità, non v’è amore. La verità è che l’uomo è un interlocutore di Dio, da Lui fatto a Sua “immagine e somiglianza”.

 

PADRE GIUSEPPE TAGLIARENI

 

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