Bisogna rischiare, vivere la vita

Bisogna rischiare, vivere la vita

di Francesco Bellanti

“IL FIUME CHE DIVENTA OCEANO”. OVVERO DEL CAMBIAMENTO. COME SI DIVENTA SCRITTORI INCONTRANDO IL CRISTIANESIMO

Ho imparato dalla vita che bisogna sempre credere in qualcosa, essere tenaci, trovare qualcosa che si ama fare e amare ciò che si fa, poi le cose vengono quando devono venire e nulla è mai perduto. Così disse Steve Jobs agli studenti dell’Università di Stanford il 12 giugno 2005, in occasione della consegna dei diplomi, e soggiunse che bisogna sempre ricordarsi di dover morire, perché solo così tutte le aspettative – l’orgoglio, le paure di fallire – semplicemente svaniscono di fronte alla morte, lasciandoci con quello che è veramente importante.

Il nostro tempo è limitato, e dunque non si deve sprecarlo vivendo la vita di qualcun altro, non bisogna vivere seguendo il pensiero degli altri. Sì, si deve seguire la propria voce interiore, il proprio cuore e il proprio intuito. Che sanno già quello che si vuole veramente diventare. Tutto il resto è secondario. Siate sempre affamati, siate folli, disse. Lo disse ai giovani, e vale ancor di più per i vecchi, che hanno dietro di sé il rancore e il rimpianto per tutto il tempo perduto. I vecchi devono essere ancor più folli. Come i santi e i profeti. E i poeti.

Non mi sarei mai aspettato tanta profondità di pensiero da uno che costruiva computer. Disse una cosa simile anche un uomo vissuto a cavallo del 1500, un umanista, testimonianza perfetta che può cambiare la tecnica ma non la natura dell’animo umano. “Io ho osato consapevolmente e non ho alcun rimpianto. Se pure non dovessi vincere, tuttavia si sappia la mia fedeltà”, è una massima famosa del poeta, teologo, nobile, cavaliere imperiale tedesco, Ulrich von Hutten. Ed è proprio così, la vita è sempre un rischio, una sfida, nella vita bisogna sempre osare se uno crede alle proprie idee. E difenderle, se è il caso. “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o non vale niente lui, o non valgono niente le sue idee”, è una delle più celebri affermazioni del grande poeta statunitense Ezra Pound, autore dei “Cantos”, che per le sue idee finì in carcere e in manicomio.

Dunque, bisogna rischiare, e vivere la propria vita come un’avventura, anche se non si è più giovani. D’altra parte, a una certa età e dopo un lungo percorso intellettuale, uno non deve più dimostrare niente a nessuno, né temere il giudizio degli altri – in fondo, alla fine, è sempre il tempo che decide – anche se fa certo piacere sentirsi dire subito che è stato compiuto un buon lavoro.

Un’altra cosa che si deve fare è accettare il cambiamento. Quand’ero professore di liceo avevo altri tempi, altri modi di esistere e di essere nella società. Adesso che faccio lo scrittore a tempo pieno, è naturale presentarsi con un’altra immagine nel mondo, anche se essenzialmente io sono rimasto lo stesso. Dalla vita rassicurante di docente stimato dopo decenni di professione, sono passato a quella di scrittore sottoposto al rischio del fallimento, insomma di non essere compreso. Eppure si deve agire. Dice nella sua poesia “Il fiume e l’oceano” Khalil Gibran, il grande poeta libanese cristiano-maronita, che non dobbiamo avere paura del cambiamento. Si deve essere come il fiume che prima di entrare in mare trema, sì, di paura, solo a guardare indietro tutto il lungo e tortuoso cammino che ha percorso, e ha davanti a sé un oceano così grande che se entra in lui può sparire per sempre, ma non ha alternative perché nessuno può tornare indietro, e allora non resta che accettare la propria natura e entrare nell’oceano. Diventare oceano.

“Solo entrando nell’oceano

la paura diminuirà,

perché solo allora il fiume saprà

che non si tratta di scomparire nell’oceano

ma di diventare oceano”.

Ecco, così anch’io ho vinto la paura: non ho più l’angoscia, perché ho compreso di non scomparire nell’oceano, io sono diventato oceano. Con questi sentimenti io mi sono trasformato da docente in scrittore. Ho avuto la percezione di essere diventato veramente uno scrittore quando, quasi cinque anni fa, ho scritto – e qualche mese dopo pubblicato – il mio libro su Isabella Tomasi di Lampedusa, il mio libro più ispirato, scritto all’inizio della pandemia del 2020 e dedicato alla mia terra, alla mia gente. Isabella Tomasi di Lampedusa, nome secolare di Suor Maria Crocifissa della Concezione, nobile, mistica, dichiarata alla fine del Settecento Venerabile. Una suora che visse alla fine del Seicento, figlia di Giulio I Duca e fondatore di Palma di Montechiaro, antenata dell’autore de “Il Gattopardo”, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Personaggio venerato dal popolo palmese ma guardato con diffidenza da tanti altri, anche alti esponenti della Chiesa. Anche lei, soprattutto lei, fiume che diventa oceano.

Un libro che parla di una vita singolare, ma è soprattutto un’indagine psicologica, storica e poetica di una grande mistica. Anche se tutto ciò che ho scritto prima e dopo questo libro in un modo o nell’altro parla del mio paese, questa biografia romanzata di Isabella Tomasi di Lampedusa è una sorta di testamento spirituale. Credo di avere scritto un libro bello e originale, poetico, psicologico, diverso da tutti gli altri, e di avere reso un buon servizio alla mia terra e alla cultura. Con l’auspicio anche che potesse far convergere interesse e positività verso il mio paese, che sta vedendo il suo territorio spopolarsi di tante forze e intelligenze. Avevo già scritto diversi libri, tra i quali un poderoso romanzo ambientato in Sicilia e un libro storico-psicologico su Hitler originale e profondo, e altri ne ho scritti dopo, ma solo con questo libro mi sono sentito veramente scrittore. Il mio cambiamento è avvenuto con un libro su una suora benedettina, un libro sul Cristianesimo. Sulla religione. Doveva essere un destino.

Scrivendo Il Cardinale e il labirinto di Dedalo, poi edito con il titolo L’ultimo eremita – Il guardiano della storia, il poderoso romanzo ambientato in Sicilia di cui ho detto, mi ero imbattuto per l’ennesima volta nel pensiero buddista, ma non era scattata la scintilla del cambiamento, che pure è alla base del pensiero buddista. Avevo, sì, approfondito il problema del dolore. E trovato molti punti di corrispondenza con la natura della mia anima. Per Buddha, la cessazione del dolore avviene attraverso l’abbandono dell’attaccamento alle cose. Tutto è impermanente, l’impermanenza è la vacuità di tutte le cose, l’abbandono di tutto ciò che procura dolore. Tutto ciò che esiste è impermanente. I fenomeni, dice Buddha, sono manifestazioni effimere che durano un solo momento. “Questa è la consistenza della realtà: il mutamento, il divenire. Tutto è transitorio, ogni cosa deve perire, perché contiene in sé stessa la necessità della dissoluzione.

Nel mondo non c’è permanenza, né identità. Come le gocce di una cascata, tutto cambia di istante in istante. Tutti i fenomeni sono soggetti al nascere e al morire. Senza l’impermanenza la vita non è possibile. Anche la nostra personalità, la nostra individualità non è un fatto reale e ultimo, ma una combinazione di forze ed energie in continuo mutamento. La sofferenza è perché noi sviluppiamo sentimenti di attaccamento e avversione verso tutti fenomeni. La sofferenza è quando non si accetta che le cose cambino. L’unica cosa durevole è l’impermanenza, l’errore è nel fatto che ci afferriamo a ciò che per sua natura è inafferrabile. Questo è il mio insegnamento: non attaccatevi alle cose del mondo, solo così si può avere il coraggio per affrontare i cambiamenti, la perdita della ricchezza e della giovinezza, della vita, degli affetti, del lavoro. Accettare il presente significa accettare la vita. L’origine del dolore è nell’attaccamento a tutto ciò che esiste”.

Un grande pensiero. Eppure non era scattata la scintilla. La scintilla del cambiamento in me. Forse perché non ero pronto, non ero arrivato di fronte all’oceano. Forse perché mancava la luce, o semplicemente non ero ancora un individuo preciso, non ero più professore ma non ero ancora scrittore compiuto. Sostiene Italo Calvino che per avere rapporti costruttivi con gli altri è necessario diventare individui, e individui si diviene approfondendo la conoscenza di sé e mantenendosi fedeli al proprio codice personale di valori, al proprio stile. Insomma, bisogna lasciare che la propria singolarità emerga, anche a costo di apparire degli eccentrici. È questa la via per sfuggire al conformismo dilagante, alla massificazione, all’accettazione di modelli di comportamento predefiniti. Una riflessione identica aveva espresso Pier Paolo Pasolini. La scintilla non era scattata, ho compreso dopo, perché mi mancava l’incontro con una grande mistica, eppure io avevo cantato nei miei libri i grandi eremiti, gli anacoreti, i misti, i solitari, i profeti, i monaci, gli eremiti. Eppure nella mia non breve vita avevo affrontato tanto il problema del cambiamento.

Con il tempo avevo imparato a escludere dalla mia vita persone che non meritavano il mio amore, perché non volevano cambiare e non erano pronte ad amarmi, anche se avevo cercato di dedicare il mio tempo, la mia energia e la mia umanità anche a chi non mi corrispondeva purché accettasse la mia individualità, la mia originalità fatta di puri sentimenti, di cultura, di generosità. Di amore. Nella mia professione di docente, ho sempre pensato di aver dato più di quanto abbia ricevuto, ma il più che ho dato, l’ho dato per amore, e dall’amore sono stato gratificato, soprattutto dall’amore, dalla stima e dal rispetto dei miei studenti.

Quando ho cominciato a realizzare a tempo pieno la mia attività di scrittore, ho avuto spesso la sensazione di avere sprecato molto del mio tempo come docente, ma ho cercato anche di non farmi abbattere dai rimpianti per non cadere nella depressione e perché ho accettato sempre la vita come un destino pur di non scaricare sugli altri i miei fallimenti. Probabilmente avrei meritato di più nella vita, ma forse avrei potuto soffrire di più. Nel corso della mia esistenza, avevo cercato sempre persone positive, ma non nel senso della ricchezza materiale, e per questo ho accettato il cambiamento, e il cambiamento mi ha dato amore, gioia, felicità. Accettare il cambiamento vuol dire accettare l’idea di non essere perfetti. Ho sovente avuto anche la sensazione di essere nato postumo, talvolta per il mio modo di essere docente, e poi principalmente per l’incomprensione che non di rado avvolge la mia attività di scrittore presso il pubblico, molte persone apprezzano il mio lavoro e la mia cultura, ma questo non sempre mi basta. Forse potrei fare meglio, forse è colpa mia. Ma, come ho detto, non mi lascio andare ai rimpianti.

Il cambiamento è allora adattamento, che non è un atteggiamento passivo, ma un modo eccellente per affrontare una realtà sempre mutevole, oggi più che mai. Dice papa Francesco che “Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo” (papa Francesco a Firenze, 10 novembre 2015). Quest’affermazione di papa Francesco esprime quanto incisive e profonde siano le trasformazioni che stiamo vivendo nella società, non solo nella Chiesa a cui lui fa riferimento. Il cambiamento è uno degli aspetti più ordinari dell’esistenza, noi cambiamo ogni giorno, ogni momento, spesso senza accorgercene. Tutto cambia, la famiglia, la società, le nazioni sono in continuo cambiamento, allo stesso modo delle forze della natura. Noi spesso non ci accorgiamo del cambiamento, non vi siamo molto abituati. Quando ce ne accorgiamo, può accadere che questi cambiamenti ci causano insicurezza e un certo senso di malessere, e vorremmo che essi non avvenissero, soprattutto quelli inaspettati, come la morte di una persona cara, la perdita di un lavoro, un terremoto, una guerra che causa distruzione.

Adattarsi oggi ai cambiamenti è molto più difficile del passato, perché nella comunicazione, nella scienza, nella medicina, nella scuola, si stanno verificando cambiamenti epocali che spesso colgono l’umanità impreparata, o in una condizione di precarietà, con conseguenze funeste. Sono cambiamenti che hanno stravolto il nostro modo di vivere, di pensare, di relazionarsi con gli altri, di rapportarsi con generazioni diverse, di comprendere e di vivere la letteratura, la scienza, le ideologie politiche, la fede.

Contro il pessimismo di gran parte della letteratura italiana, soprattutto degli ultimi due secoli – e mi sovvengono subito nel ricordo le parole cult del più famoso romanzo del Novecento, il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” – io penso che è in queste due ultime categorie che bisogna sfidare il cambiamento, l’ideologia politica o visione del mondo, e la fede. Non si può vivere solo di amici, una visione della società e del mondo in genere è indispensabile, oggi più che mai. Anche la fede è necessaria, anche se essa è, per la verità, un dono, noi dobbiamo fare di tutto per incontrarla. La fede accompagnata dal discernimento. Afferma papa Francesco (discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2019) che “l’atteggiamento sano è piuttosto quello di lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente e di coglierle con le virtù del discernimento. Il cambiamento, in questo caso, assumerebbe tutt’altro aspetto: da elemento di contorno, da contesto o da pretesto, da paesaggio esterno… diventerebbe sempre più, e anche più cristiano”. La fede oggi è fondamentale per far fronte a cambiamenti culturali, sociali, politici e religiosi che si configurano come attacchi alla libertà religiosa; che sono l’indifferenza, il secolarismo, il fondamentalismo, l’individualismo, il relativismo, la disillusione, ritorni di tentazioni totalitaristiche, l’imperialismo culturale, l’’omologazione, e così via, perché i cambiamenti investono tutti gli aspetti della vita, materiale e spirituale.

Vivere, dunque, è cambiare, ecco perché è necessario il mutamento, si vive in un mondo che cambia velocemente, e chi rimane indietro è perduto. Cambiare non è importante solamente per stare al passo col tempo che rapido passa, è fondamentale anche per la nostra vita, per realizzare i nostri sogni, che danno senso alla nostra esiistenza.

Quando ci svegliamo la mattina, la prima domanda che dobbiamo porci è questa: Qual è il senso della mia vita? Solo dandoci una risposta possiamo vivere pienamente la nostra vita, e realizzare i nostri sogni. Cambiare significa affrontare un rischio, ma ne vale la pena, perché solo così si può crescere, e vedere in ogni traguardo raggiunto un punto di partenza per nuove sfide da affrontare, essere in sintonia con lo spirito del tempo. Trasformarsi, fiume che diventa oceano. Immergersi nell’oceano – come è accaduto a me incontrando una mistica di un paese di periferia -, oceano che ci trasporta sempre da qualche parte, forse anche negli abissi, ma anche negli abissi splende la luce di Dio.

 

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