Chiese brutte, perché?

Chiese brutte, perché?

di Pietro Licciardi

LA MODERNA ARCHITETTURA, CHE HA FATTO BRUTTE LE NOSTRE CITTA’, HA CONTAMINATO ANCHE I LUOGHI DI CULTO

Purtroppo girando per le periferie cittadine è facile imbattersi in hangar impropriamente chiamati chiese, edificate col freddo cemento e adorne anziché di statue dalle figure riconoscibili con ghirigori colorati e crocifissi talmente stilizzati da risultare incomprensibili. Non bisogna essere un sottile critico d’arte né un raffinato intenditore per rendersi conto del brutto che ha fatto irruzione anche negli edifici di culto. Come è potuto accadere che l’architettura sacra sia potuta scadere così tanto, passando dalla magnificenza delle cattedrali e dallo splendore del barocco all’odierna sciatteria?

InFormazione cattolica ha chiesto lumi a padre Luca Franceschini che dopo essersi laureato in storia a Pisa ha fatto parte della Commissione diocesana di Arte Sacra, quindi della direzione dell’Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici e edilizia di culto della diocesi di Massa Carrara – Pontremoli per poi svolgere il servizio di incaricato regionale per i beni culturali e l’edilizia di culto per la Conferenza episcopale toscana. Dal 2022 dirige l’Ufficio nazionale per i beni culturali e l’edilizia di culto della Conferenza episcopale italiana che tra l’altro si interessa dell’assegnazione dei fondi dell’8xmille per la costruzione dei nuovi complessi parrocchiali e il restauro delle chiese.

Padre, in Occidente l’architettura sacra ha dato forma a stili sempre diversi a seconda delle epoche, pensiamo al romanico, al gotico delle cattedrali, al barocco. Esiste uno stile cattolico per eccellenza?

«La Chiesa cattolica non ha mai sposato uno stile artistico o architettonico, ha piuttosto prodotto sempre nuovi stili in dialogo con tempi e luoghi diversi nonché in risposta alle esigenze di situazioni e provocazioni differenti. Certamente la Chiesa è stato uno dei grandi committenti di importanti opere non solo nelle grandi cattedrali e basiliche; la capillarità della sua presenza sul territorio e l’edificazione di oltre ottantamila chiese è la più sua più grande e importante esperienza».

 Quali sono gli elementi irrinunciabili che fanno di un edificio una chiesa cattolica in linea con la sua tradizione?

«Il “tempio” si caratterizza per la sua destinazione e dedicazione esclusiva al culto e al radunarsi dell’assemblea; la parola chiesa, infatti, identifica proprio un’assemblea convocata, radunata nel nome del Signore. Una caratteristica che connota ordinariamente una chiesa cattolica è lo spazio di una grande assemblea orientato verso l’altare e lo spazio ad esso dedicato, il presbiterio, più o meno delimitato da un gradino, da una balaustra, da un’iconostasi. La presenza di altri poli liturgici quali l’Ambone per la proclamazione della Parola di Dio, il Tabernacolo per la custodia dell’Eucaristia al di fuori della celebrazione, il Fonte battesimale, la sede per il celebrante, esprime in modo plastico e visibile quanto la Chiesa celebra nei suoi Sacramenti; tutto questo rende visibile i contenuti liturgici anche nel tempo in cui nella chiesa non si svolge nessun rito. L’ultimo elemento che connota l’edificio di culto sono le immagini sacre, prima fra tutte quella del Crocifisso accompagnata ordinariamente almeno dall’immagine della Madre di Dio e del Santo patrono. Ogni chiesa poi può avere cicli iconografici più o meno sviluppati».

Dagli anni Sessanta del secolo scorso sembra che anche l’architettura sacra stia vivendo una profonda crisi: garage al posto di chiese, caos di materiali; invece di statue crocifissi che sembrano tralicci, o pareti desolatamente spoglie. Cosa è successo?

«Non sono uno storico dell’architettura, ritengo tuttavia che si siano intrecciati diversi aspetti di tipo culturale ed anche economico con la storia della nostra arte e architettura liturgica. Da una parte credo si sia sperimentato, in quel periodo, un rifiuto delle forme tradizionali, che nei decenni precedenti non sempre risplendevano per bellezza e ricchezza di materiali rasentando talvolta il kitsch. Si è poi sperimentata la novità del cemento armato che ha consentito grandi realizzazioni, ma, al contempo, prodotto anche molte architetture brutte, chiese e non; tutti gli edifici hanno risentito di questi cambiamenti, purtroppo.

Una decadenza che sconcerta molti…

«Il “brutto” è dilagato nelle nostre città e la Chiesa non è stata in grado di essere committente di grande spessore proponendo qualcosa di alternativo. Ha, tuttavia, cercato di entrare in dialogo con l’architettura e l’arte della seconda metà del secolo scorso condividendone con fatica il cammino. Credo che, più ancora che non la Chiesa, siano state l’arte e l’architettura a non saper dialogare con la gente che ha percepito la produzione soggettiva di quel periodo come poco comprensibile quando non, addirittura, di cattivo gusto»

E’ la liturgia che ha influenzato il modo di costruire le chiese o il contrario? Colpisce come in tante chiese moderne i tabernacoli non occupano più la posizione centrale, gli inginocchiatoi sono scomparsi, i fedeli sono disposti a ventaglio, in cerchio attorno all’altare o, come nel caso di Gesù Redentore a Modena, la comunità è divisa in due schiere contrapposte.

«Negli edifici del post-Concilio si è cercato di sperimentare come mettere in pratica la richiesta proposta da Sacrosanctum Concilium, il primo documento conciliare avente proprio la Liturgia come tema. Veniva richiesto di ripensare la Liturgia favorendo una attiva, piena, consapevole partecipazione dei fedeli a quanto veniva celebrato. Alla fine del medioevo e nelle chiese costruite dopo il Concilio di Trento a partire dalla fine del XVI secolo sono scomparsi gli amboni, sono scomparse le grandi tavole in legno con fondo dorato, trittici e polittici per lasciare posto alla centralità del tabernacolo e a nuove forme iconografiche. Si sono costruiti pulpiti a metà navata per una predicazione al di fuori della liturgia e collocate gradinate sugli altari con selve di candelieri. Il popolo partecipava in ginocchio in preghiera e con devozione a liturgie delle quali non era pienamente partecipe se non perché presente nel luogo in cui si svolgevano. D’altra parte, in un determinato momento storico, erano queste sottolineature ad essere ritenute essenziali per celebrare, annunciare ed esprimere la fede immutata nei contenuti ma perfettibile nelle forme».

Poi cosa è cambiato?

«Nelle chiese di oggi il tabernacolo c’è ed è posto in un luogo adatto per l’adorazione personale e la preghiera, anche in ginocchio. La Liturgia eucaristica richiede invece prevalentemente di stare seduti o in piedi, in ginocchio solo al momento della consacrazione. In questa prospettiva la collocazione a semicerchio che consente di stare “attorno” all’altare è una delle possibilità che nulla toglie ai ruoli ministeriali e alla centralità di Cristo che proprio dall’altare e poi dall’Eucaristia che sopra ad esso si celebra è reso simbolicamente (dall’altare) e sostanzialmente (dall’Eucaristia) presente. La collocazione contrapposta del Gesù Redentore a Modena, con i due poli ai lati, è una sperimentazione; credo sia adatta ad una comunità che sa celebrare bene; dovrebbe consentire di spostarsi, almeno idealmente, dal luogo della Parola che connota la prima parte della celebrazione all’altare nella seconda parte. Non ho sufficienti riscontri per dire se questa proposta funzioni come dovrebbe».

Come giudica il fatto che negli ultimi decenni gli architetti dello star system internazionale hanno inizialo a cimentarsi con le chiese cattoliche, con esiti spesso discutibili, come nel caso del parallelepipedo di Foligno progettato da Massimiliano Fuksas o la basilica di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo?

«Senza entrare in merito ai risultati vorrei sottolineare l’importanza del coinvolgimento dei più grandi architetti nella progettazione delle chiese. L’argomento dell’edilizia sacra era assente dagli studi di architettura e dalle università, oggi è motivo di approfondimento, discussione e studio. Considero questo cambiamento di rotta un merito della Chiesa italiana e in particolare del mio predecessore, l’architetto e sacerdote milanese monsignore Giancarlo Santi del quale ricorre proprio in questi giorni il secondo anniversario della morte».

Nelle chiese la comunicazione è essenziale. Ma l’arte contemporanea, che a molti non comunica un bel niente, ha fatto irruzione anche negli edifici sacri. Non sarà che se anche in Italia la frequenza alla Messa è crollata ad un quasi insignificante 12% la colpa è anche del fatto che si continuano a costruire chiese che non sembrano più chiese?

«Tutto contribuisce nel bene e nel male. Celebrare bene la Liturgia, avere sacerdoti e assemblee di persone che hanno fede e la esprimono con il canto, con la gioia, il silenzio, la fraternità è uno dei primi annunci della presenza del Signore risorto. Non c’è dubbio che la bellezza aiuti la contemplazione. Mancano belle Liturgie, mancano belle musiche, si è spesso abbandonato l’organo, mancano talvolta anche belle chiese. Certo, qualcuno dirà che la bellezza è soggettiva; personalmente credo profondamente nella necessità di valorizzare le cose belle che ci hanno trasmesso i nostri padri ed essere anche noi impegnati in quest’opera di rendere più bello il mondo. Non solo con l’arte, ovvio, ma anche con quella. Che poi la diminuzione della partecipazione della fede dipenda dall’aver costruito “chiese che non sembrano più chiese” non lo credo. C’è stato un calo anche nelle chiese più belle e ho visto comunità meravigliose celebrare in posti brutti, stretti, inadeguati. E per finire, mi si consenta di apprezzare anche molte opere di architettura e di arte realizzate in questi anni. Non tutto è brutto e non tutta l’arte contemporanea è incomprensibile e avversata dalla maggioranza dei fedeli. C’è da lavorare molto su questo tema. Confido che anche il nostro Ufficio nazionale possa fare la sua parte a servizio della Chiesa in Italia e dell’Italia tutta».

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