Trump, la Nato e il Medioriente

Trump, la Nato e il Medioriente

di Pietro Licciardi

COSA POTREBBE CAMBIARE NELL’ATTEGGIAMENTO USA RIGUARDO DUE QUESTIONI OGGI CRUCIALI NEL CONTESTO INTERNAZIONALE. NE PARLIAMO CON L’ANALISTA AMEDEO MADDALUNO

In una serie di tre interviste (questa è la seconda) l’analista Amedeo Maddaluno risponde ad alcune nostre sollecitazioni riguardo la politica estera del neoeletto presidente Donald Trump.

Dopo aver cercato di capire se Trump sarà davvero un isolazionista, come ci è stato dipinto, e se veramente sarà in grado di mettere fine al conflitto russo-ucraino, con l’analista Amedeo Maddaluno, esperto di storia ed economia politica e parte del think tank del canale Parabellum, vediamo come potrebbe cambiare l’atteggiamento americano riguardo la Nato, argomento che ci riguarda molto da vicino, e la Cina.

Dottor Maddaluno, per quanto riguarda i rapporti con la Cina quale potrebbe essere la politica di Trump e delle lobby che lo sostengono?

«Chi avrà un ruolo nella nuova amministrazione? Marco Rubio, senatore della Florida, è uno degli anelli di congiunzione fra il vecchio conservatorismo reazionario repubblicano e il trumpismo. È un uomo della destra repubblicana e non è mai stato esclusivamente trumpiano, ma uno a cui piace giocare in proprio ed è molto amato dagli elettori della destra americana. Rubio è uno di quelli per cui i cinesi sono brutti cattivi e comunisti. Con Trump, la dimensione ideologica, commerciale ed economica della avversione alla Repubblica popolare cinese dovrà combaciare con gli interessi di Elon Musk che quando va a Pechino viene ricevuto come un capo di Stato. E in effetti egli è più di un Capo di Stato, poiché sicuramente Musk da solo pesa molto più di qualsiasi singolo leader europeo. Sarà un bel vedere come il neopresidente riuscirà a mettere assieme le sue promesse con tutte queste spinte. Inoltre, dovrei chiedere: di quale delle due Cine stiamo parlando? Quali saranno i rapporti con Taiwan? E siccome anche in questo caso Trump è il tipo che ti dice: “pagate per la vostra difesa”, direi di allacciare le cinture perché ne vedremo delle belle».

Con Trump alla Casa Bianca pensa possibile l’apertura di una crisi anche militare nel mare della Cina? Pensiamo a Taiwan ma anche alla creazione di una cintura militarizzata di isole anche artificiali che la Cina sta costituendo e che sta creando tensioni con i Paesi dell’area, a cominciare da Filippine e Giappone

«Non so, è troppo presto per dire se è più o meno possibile; più che di possibilità mi occupo di probabilità. Il mio amico Alberto Forchielli è tranchant e dice che Trump abbandonerà Taiwan e che nel tempo del suo mandato la Cina sarà presa. Io mi limito ad escludere uno sbarco stile Normandia di truppe cinesi sull’isola, anche perché servirebbe una operazione militare che – almeno oggi – non è nelle possibilità di Pechino. I cinesi potrebbero fare un blocco dell’isola, un mega embargo gettando la palla nella metà campo degli Stati Uniti: volete venire a farci la guerra per Taiwan? Questo è uno scenario. Come si comporterebbe Trump? Mollerà Taiwan perché i suoi elettori non vogliono una guerra in un paese del quale non sanno pronunciare il nome o non vorrà passare alla storia da perdente, lui che ha costruito un’epica narrazione vincente? Si capisce che è difficilissimo fare previsioni. Personalmente dico che la probabilità c’è ma non saprei calcolarla. Dovrei vedere Trump in azione almeno nel primo anno di Presidenza».

Noi europei cosa ci possiamo aspettare? Potremo ancora contare sull’ombrello Nato? E in che misura?

«Non commettiamo l’errore di Zelensky che ha costruito tutta la sua strategia sulla benevolenza dei protettori stranieri. La NATO non è, e non possiamo più permetterci di vederla, come un cavaliere bianco che arriva da oltreoceano e ci salva; non è così ed è ridicolo anche solo pensarlo. Dovrebbe essere una alleanza tra pari ma è ovvio che l’America pesa un po’ di più del Montenegro. Quindi, finché noi europei continueremo a porre le questioni del tipo: “e adesso chi ci protegge?” saremo perdenti. Anche nel caso gli americani eleggessero domani il più buono e generoso presidente democratico che decide di venire a regalarci protezione, in cambio poi ci chiederebbe qualcos’altro; e potrei fare degli esempi piccanti. Si guardi l’attivismo in Italia di alcuni fondi di investimento, come la KKR. Noi europei dobbiamo capire che il nostro destino dobbiamo prendercelo in mano noi, senza illuderci che, se sopportiamo Trump per altri quattro anni, poi magari arriverà un democratico a regalarci protezione. Gli Stati Uniti non sono una Onlus e neppure i City Angels».

Quindi ci dobbiamo armare e pensare ad una difesa comune? Un po’ difficile in una inconsistente Europa in cui ciascuno cammina per proprio conto.

«Armarsi è una brutta parola e a me non piace proprio parlare di armi, perché poi si pensa subito al film di Nicolas Cage Lord of War. No, non funziona così. Gli elettori europei devono piuttosto domandarsi: la sicurezza è un servizio pubblico? È un bene comune? Sì o no. Se la risposta è sì, la sicurezza come si fa? Mettendo dei fiori nei cannoni, come si cantava negli anni ’60 e ‘70 o andando a fare guerre ovunque in giro per il mondo, come pensano appunto alcuni ambienti neocon americani? Forse in mezzo ci sono delle sfumature. Il mio maestro Aldo Giannulli dice sempre che le armi sparano anche quando sono chiuse in magazzino: la cara vecchia deterrenza. Se di armi si vuole parlare chiamiamola deterrenza, ovvero investiamo in difesa e sicurezza proprio per non doverle usare».

Comunque anche in Italia c’è chi la NATO non a vuole…

«C’è un mondo pacifista che è contrarissimo alla NATO e anche io sono uno di quelli che auspicano una autonomia strategica europea. Però i pacifisti sono gli stessi che appena si fa un investimento nella difesa si stracciano le vesti. Che cosa vogliamo? La botte piena e la moglie ubriaca?».

Riguardo l’area Mediorientale Gli Stati Uniti di Trump come vedono il tentativo di Israele di chiudere i conti con i suoi avversari iraniani e palestinesi avviandosi a diventare una potenza di area con la quale anche i tradizionali alleati dell’America, come i sauditi e le monarchie del Golfo, dovranno fare i conti?

«Gli Stati Uniti lo vedono benissimo. Al di là della retorica, ma nemmeno troppo, c’è assoluto accordo fra i democratici, tranne qualcuno, e i repubblicani senza eccezioni che vogliono ridisegnare la mappa del Medio Oriente. Questa è la convinzione di quasi tutti gli ambienti politici e strategici e forse anche economici americani secondo i quali Bush riguardo Iraq e Afghanistan non ha sbagliato il “cosa” ma il “come”. Nelle intenzioni americane cambia il metodo: non sono più loro a mettere gli stivali sul terreno, ma fanno fare a Israele. La differenza è che i democratici lasciano mangiare agli israeliani quello che vogliono chiedendo però loro di usare educatamente le posate e di non mettere le mani nel piatto, mentre i repubblicani non si preoccupano nemmeno del galateo a tavola. Mentre Zelensky le armi le deve pietire a Netanyahu sono arrivate “a pie’ di lista” anche con Biden: vorrà dire qualcosa?».

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