L’economia va malissimo. Ecco perché

L’economia va malissimo. Ecco perché

di Bruno Volpe

INTERVISTA AL PROFESSOR LEONARDO BECCHETTI, DOCENTE DI ECONOMIA A TOR VERGATA (ROMA)

Non arrivano notizie particolarmente esaltanti per l’economia italiana dal rapporto Caritas presentato di recente sullo stato di salute del Paese, o meglio sulla distribuzione della ricchezze.

Emerge, dato impietoso, che un italiano su dieci vive in condizioni di povertà asssoluta, che gli stipendi sono tra i più bassi (anche per chi è regolarmente inquadrato) e che, cosa quasi incredibile, la povertà avanza più al nord che al sud.

La povertà assoluta in Italia interessa quasi 5,7 milioni di persone (per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie, l’8,4% dei nuclei), quasi un decimo della popolazione. Dall’analisi dei dati emerge che il lavoro povero e intermittente dilaga, con salari bassi e contratti atipici che impediscono una vita dignitosa. I giovani e le famiglie con figli sono le fasce più vulnerabili.

Ancora, il disagio abitativo rappresenta un’emergenza, con famiglie senza casa o in condizioni abitative inadeguate.

Come spiegare tutto ciò? Lo abbiamo domandato in questa intervista al noto economista di area cattolica Professor Leonardo Becchetti, docente di economia a Tor Vergata, Roma.

Professor Becchetti, assistiamo ad un apparente paradosso. I conti sembrano in ordine, l’occupazione tiene, eppure il rapporto Caritas dice che un italiano su dieci vive in condizione di povertà assoluta…

“Il problema della povertà è spiegabile in questo modo. Ovvero, tanti italiani, pur avendo un lavoro, sono in povertà in quanto gli stipendi, persino per chi è regolarmente occupato, sono bassi e vivere, se si è monoreddito con 900.000 mila euro al mese è impossibile, non si arriva a fine mese specie, se si deve pagare il fitto di casa. In poche parole il paradosso italiano, direi tutto italiano, è quella dello stato di povertà in cui vive persino chi ha un lavoro regolare. Bisognerebbe elevare i salari o ridurre il costo del lavoro, non abbiamo scelta. Se riuscissimo a detassare il lavoro, penso alla misura strutturale delle decontribuzione sud, otterremmo un dobbio vantaggio: maggior leggerezza per le imprese e buste paga più pesanti e dunque maggior reddito del dipendente non dimenticando che il reddito è ricavato dal lavoro”.

A tanto si aggiunge la questione sanitaria. Oltre quattro milioni di italiani in povertà relativa hanno rinunciato a curarsi…

“Sono oltre 4 milioni, lo dice l’Istat. Il problema qui è dato dai tempi esagerati delle liste di attesa. Si sta creando una doppia sanità. Chi non può permettersi il privato o aspetta i tempi lunghi per una visita o un esame,che spesso aerrivano qando è tardi o non servono, o va dal privato. Ma dal privato si presenta chi ha soldi, non tutti. Ecco spiegata la rinuncia. Poi vi è chi neanche è in grado di comperarsi le medicine o pagare il ticket”.

Che panorama si presenta?

“Quello di un Paese in cui esiste una rilevante fetta di benestanti che possono ricorrere al risparmio bancario, ma assieme a questa fetta, troviamo chi al contrario sopravvive e non arriva alla fine del mese e non si cura più”.

Il rapporto Caritas dice che il fenomeno si sta accentuando maggiormente al nord che al Sud…

“Si spiega così ed è abbastanza normale ma apparentemente sorprendente. Il tenore di vita del nord è da sempre più alto del sud e la soglia di povertà è calcolata su stipendi più elevati. In concreto, prima un soggetto che a MIlano guadagnava 2000 euro e ora ne prende 900000 è ben diverso dai 500.000 euro della Sicilia o della Calabria dove il costo della vita è più basso. In sintesi molto dipende dal tenore della vita e servizi in loco”.

Quali le cause dell’impoverimento?

“Tante, ma la principale è l’inflazione che ha ridotto il potere di spesa delle famiglie e delle stesse imprese, assieme al costo esagerato delle materie energetiche e al costo del denaro. Poi manca a livello europeo una politica idustriale ed economica che garantisca competitività ai nostri prodotti e adesso non siamo in grado di contrastare Cina e Usa”.

Che cosa occorre?

“Maggior competitività per le imprese e una distribuzione più solidale delle ricchezze nel mondo. Non è vero che manchino i beni, ci sono e sono sin troppi. Quello che non va è la distribuzione delle ricchezze detenute da pochi e mal divise senza spirito di solidarietà. Dopo l’ elezione di Trump, pochissimi al mondo hanno guadagnato in borsa 64 milioni, segno che appunto il benessere è concentrato nelle mani di pochi”.

Che fare?

“La ricetta è difficile, ma passa dalla competitività dei prodotti, dalla distribuzione maggiormente equa delle richezze, dal contenimento della spesa e dalla incentivazione del lavoro regolare e ben retribuito, evitando la vergogna del nero o del provvisorio. Poi una lotta seria alla evasione fiscale e il rilancio della moneta elettronica in modo da contrastare il sommerso. Aggiungo che è essenziale sia un piano industriale che uno energetico”.

Disoccupazione…

“Esiste specie tra giovani e donne. Tuttavia è anche innegabile che ante aziende cerchino e non trovino mandopopera specializzata e si crei uno squilibrio tra domanda ed offerta. In poche parole, oggi manca la manodopera specializzata e abbiamo bisogno di qualificazione, di studio , di ricerca e soprattutto di maggiori collegamenti tra mondo Universitario ed impresa. Non è casuale che aumentano i dipendenti a tempo determinato quando hanno una specializzazione. Le imprese davanti ad un lavoratore preparato e con conoscenze, se lo tiene stretto, è un capitale, si risparmia la formazione”.

Il Papa ha varie volte detto che questa economia uccide…

“Ha ragione, penso che si riferisca maggiormente alla finanza e alla ingiusta distribuzioe delle ricchezze nel pianeta dove essa è concetrata nelle mani di pochi. Tra l’altro, facendo una battura, uccide anche veramente e non metaforicamente quando per scarsi investimenti nella sanità, ma si doveva tener conto dei vincoli di bilancio e qui non me la sento di scagliarmi con furore contro il governo, non arrivano in tempo cure e visite e ci si lascia la pelle. Innegabilmente era lecito attendersi maggiori investimenti sulla sanità pubblica, occorrono maggiori medici ed infermieri, tuttavia, la coperta era corta. Abbiamo importato infermieri dall’estero e sinceramente, li ho sperimentati io stesso, la qualità non è cattiva. Ma bisogna investire maggiormente sui servizi essenziali e bilanciare le ricchezze, incentivando il lavoro e la produttività”.

Subscribe
Notificami
0 Commenti
Oldest
Newest
Inline Feedbacks
View all comments