U cannistru
di Francesco Bellanti
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CONTRO HALLOWEEN E LE MACABRE CELEBRAZIONI NEOPAGANE AVULSE DALLA VERA ESSENZA DEL CATTOLICESIMO OCCORRE RISCOPRIRE LE NOSTRE AUTENTICHE TRADIZIONI
In un tempo misterioso in cui, nella terra arcana e favolosa di Sicilia, non distinguevamo noi bambini fra la festività di Ognissanti e la Commemorazione dei defunti (ma per noi era sempre il Giorno dei morti), era un’avventura meravigliosa u cannistru (il canestro) della nostra incantata infanzia.
Aspettavamo quella notte tra il primo e il due di novembre con trepidazione e con un’impazienza angosciosa, perché temevamo che – diventando ogni anno più grandi – i morti si sarebbero dimenticati di noi.
Io ebbi la fortuna di avere per tante belle stagioni stagioni molti zii e tutti i nonni vivi, e di cannistri perciò ne trovavo quattro o cinque, uno dei miei genitori, due dei nonni, un altro paio degli zii che mi coccolavano perché ero un bambino educato e studioso, affettuoso.
La mattina presto, dopo una notte insonne, dove sognavo morti a me sconosciuti, che non avevo mai visto da vivi, ma solo in fotografie ingiallite, con i volti austeri, severi, arrabbiati, con quei vestiti neri che intimorivano, che sembravano fatti per tutti gli accadimenti di una vita, matrimonio e morte compresi, accompagnato da mia mamma, andavo alla ricerca del primo cannistru, e nel semibuio dell’aurora avevo terrore che quei volti così severi dei morti si trasformassero in terribili fantasmi con lenzuoli e gli occhi profondi incavati, e il ghigno feroce.
Poi, dopo le solite corse frenetiche fra le tante stanze della nostra grande casa di piazza Sant’Angelo, al centro di Palma di Montechiaro, nel tempo e nel modo giusti che solo mia mamma sapeva, perché c’erano tante altre ricerche da fare, trovavo in un posto sempre diverso il mio cannistru.
In un grande cesto di vimini si spalancava davanti a me il travolgente paradiso di Sicilia fatto di profumi, colori, forme, disegni, era un trionfo di pupe di zucchero multicolori, frutta martorana – albicocche, pesche, arance, melagrane, pere -, caramelle di ogni tipo e gusto, di carruba, miele, cioccolati (pochi) e surrogati di cioccolato (molti), biscotti di mandorla, al latte, all’uovo, ossa di morto, taralli, reginelle, frutta secca, castagne, fichi secchi e datteri, mandorle, noci, bacche di mirti neri, rametti di ulivo, sorbe, azzalori.
Dopo la prima conquista, andavamo, io e mia mamma e mio fratello, alla ricerca degli altri cannistri, da una mia zia che abitava vicino casa nostra, da mia nonna materna, e così via, ed erano cannistri in genere più piccoli, ma sempre graditi, appetitosi, profumati. Ed io e mio fratello dopo il bottino di guerra facevamo, stabilivamo il programma mattutino per divorare tutto quel ben di Dio, negli ultimi giorni aiutati da nostro padre, che ci vedeva smarriti e confusi e in grave ritardo nella distruzione di tutte quelle leccornie.
Fu in quel tempo indimenticabile che nacque la mia passione per il ricordo dei morti e per i legami misteriosi che essi intrattengono con i vivi, passione che si è materializzata in studi antropologici e di tradizioni popolari.
La tradizione dei cannistri era diffusa in mille modi in ogni angolo della Sicilia. Il cannistru, in fondo, che cos’era, era un’offerta che i vivi facevano ai loro familiari defunti per esorcizzare l’idea stessa della morte e trasformare il giorno dei morti in una festa – che era un auspicio – dell’abbondanza e della prosperità, nel tempo gramo ma dignitoso della civiltà contadina.
Oggi la tradizione dei cannistri si è praticamente perduta, un po’ per la scomparsa della civiltà contadina, un po’ per l’affermarsi di una società sempre più frenetica e superficiale, preda di usanze sempre più estranee alle nostre tradizioni, come Halloween e altre tradizioni neopagane, espressione di puro consumismo, dove tutto viene inghiottito e annullato, la memoria storica e la consapevolezza della nostra identità.
La festa dei morti era per i bambini la festa più bella dell’anno, quella dove essi erano al centro dell’attenzione, dove solo loro erano i protagonisti. Già, loro, i bambini, con i loro morti, in una “celeste corrispondenza d’amorosi sensi”, disse il grande poeta Foscolo nei Sepolcri, che superava e univa le generazioni, il tempo, la memoria, la vita e la morte.
Continuando questa meravigliosa, cattolica, tradizione, io e mia moglie, come ogni anno, abbiamo inviato due cannistri a due nipotini lontani.