Cosa abbiamo in comune con i santi?
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SOLENNITÀ I TUTTI I SANTI
Dal vangelo secondo Matteo 5,1-12
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
COMMENTO
La festa di oggi rischia di farci pensare che stiamo festeggiando qualcosa che non ci interessa. I santi del paradiso, i santi del calendario, una categoria di persone lontane dalla nostra realtà, una casta di super uomini o di super donne, così diversi da noi comuni mortali! È vero, ciascuno di noi ha qualche santo di cui è particolarmente devoto, a cui si rivolge più spesso, con cui ha maggiore, diciamo così, confidenza, ma è comunque un rivolgersi a qualcuno che, nella nostra mente, è profondamente, radicalmente diverso da noi.
In realtà non è così. Abbiamo tantissime cose in comune con i santi, e soprattutto la loro vicenda, la loro stessa esistenza è importante, è fondamentale per il nostro vivere quotidiano, per la nostra vita concreta, fatta di affetti, di lavoro, di impegno, di svago.
Cosa abbiamo in comune con i santi? Molte cose, e fondamentali. Non certo il fatto che noi siamo santi. Perlomeno posso affermare con sicurezza che chi vi sta parlando non lo è! Non per il fatto che siamo particolarmente malvagi, no. Ma per il fatto che nessuno nasce santo, nessuno nasce con l’aureola in testa. Santi si diventa, con impegno, fatica, sacrificio, e anche passando attraverso tanti insuccessi.
In realtà noi pensiamo che la santità sia qualcosa che è riservato a pochi, a una categoria eletta di persone, ai nomi che troviamo sul calendario, appunto, come dicevamo all’inizio. E che quindi è qualcosa che non ci riguarda, che non riguarda il concreto della nostra vita, e che soprattutto non ci interessa.
Non è così, dicevo. Tutti siamo chiamati a diventare santi. Tutti siamo nati per diventare santi. E non tanto perché ce lo dice una fonte molto autorevole, come l’ultimo Concilio ecumenico, che nella Costituzione «Lumen Gentium» ci parla di vocazione comune alla santità, ma perché per la santità noi ci siamo nati. Essere santi significa anzitutto piacere a Dio, piacere a Dio in questa vita e meritare di entrare nella vita eterna. Nell’aldilà c’è una sola alternativa all’essere santi: l’essere dannati. Nella vita eterna l’unica alternativa al paradiso, e quindi alla santità, alla pace e alla gioia è la dannazione, il dolore, la disperazione eterna dell’inferno.
Meritare, sì, non è un termine improprio. La vita eterna è un dono, non possiamo da un certo punto di vista meritarcela, perché ci da molto di più di quanto noi umanamente possiamo dare in cambio. È puro dono dell’alto, ma occorre collaborare a questo dono. I doni di Dio sono fatti così: sono grandissimi, immensi, ma richiedono impegno da parte nostra. Anche i santi che oggi ricordiamo (che non sono solo quelli che la Chiesa celebra nella liturgia e che i calendari riportano, ma tutti i felici abitatori del paradiso) non sono nati con l’aureola in testa. È un dono della grazia di Dio, ma l’hanno anche dovuta conquistare con sacrificio, con sforzo.
Le letture di oggi ci dicono cose molto importanti sulla santità: anzitutto la prima lettura, quella tratta dall’Apocalisse, ci da la consolante notizia che i santi sono tanti, che sono non una piccola elite ma una folla immensa. La santità, dicevamo, non è qualcosa destinato ad una piccola schiera di super uomini e di super donne, ma è per tutti: tutti gli uomini sono chiamati a diventare santi, e a ciascun uomo Dio da i mezzi necessari per poterlo fare.
Il vangelo delle beatitudini invece ci da il codice della santità, quello che occorre fare, che occorre essere per diventare santi. Le beatitudini ci mettono tranquilli, ci danno serenità, perché ci fanno capire che tutto ciò che è rifiutato dal mondo, che agli occhi degli uomini non vale niente perché sembra insufficiente e deficitario, sembra fallimentare, è cosa preziosa agli occhi di Dio.
Che cosa dobbiamo fare, dunque, per diventare santi? Non occorrono doti straordinarie, carismi eccezionali. Questi quando ci sono, sono un dono per la comunità, ma non sono necessari per diventare santi. Non solo non sono necessari, ma non sono neppure sufficienti.
Occorre fare la volontà di Dio, fare il nostro dovere nello stato di vita in cui ci troviamo, seguire Gesù, senza perdersi d’animo nelle difficoltà. In concreto occorre cercare di stare lontani dal peccato, abituarci a chiedere perdono, ricorrere spesso agli aiuti che ci ha dato, primi fra tutti i sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia, senza i quali è estremamente difficile rimanere fedeli a Dio.
Chiediamo al Signore la grazia di aiutaci a progredire nel cammino della santità. Questo cammino non è facile, è impegnativo, ma con l’aiuto della grazia di Dio non è certo impossibile: siamo stati creati per questo, siamo stati programmati per essere santi. Quando non lo siamo è perché ci allontaniamo dalla nostra vera natura, perché, in fondo, prima ancora di offendere Dio tradiamo noi stessi.
Chiediamo a Dio la grazia di vivere come piace a Lui, di vivere nella sua grazia, di sapergli chiedere perdono quando non lo facciamo, e di poter così giungere un giorno nel posto che ci è stato preparato, nella felicità eterna del paradiso.