Sionismo e giudaismo, gli errori di Giorgio Agamben

Sionismo e giudaismo, gli errori di Giorgio Agamben

di Sergio Caldarella

COM’È GENTILE AGAMBEN A SPIEGARE IL GIUDAISMO AGLI EBREI

Giorgio Agamben, in appena mezza paginetta postata online il 30 settembre 2024 sul blog ospitato da Quodlibet, ha vergato l’ennesimo pezzo anti-israeliano dal titolo: La fine del Giudaismo.

L’accademico ottantaduenne il quale, unendosi alle schiere di coloro il “cui occhio è cieco ed il cuore chiuso”, si sta particolarmente distinguendo per la virulenza delle sue opinioni contro Israele, esordisce scrivendo: “Non s’intende il senso di quanto sta oggi avvenendo in Israele, se non si comprende che il Sionismo costituisce una doppia negazione della realtà storica del Giudaismo.”

Cosa dovrebbe mai significare tale dichiarazione e perché Agamben scrive “sionismo” e “giudaismo” con la maiuscola? Per chi ed a chi scrive?

Il sionismo è, come dovrebbe esser noto, la tesi politica secondo cui il popolo ebraico ha, come altri, il diritto all’autodeterminazione nella sua patria originaria nella quale, nonostante la diaspora, si è sempre avuta una costante presenza ebraica nei millenni.

Oltre a quelli che non ne sanno nulla ma hanno tante opinioni su Israele ed a quelli che tendono artatamente ad ometterlo, oppure a dimenticarlo, si può osservare che le tanto venerate moschee sul Monte del Tempio di Gerusalemme sorgono sulle rovine del tempio originario del popolo ebraico distrutto dai Romani nel 70.

Basterebbe già questo elemento per far capire che il popolo ebraico è tanto indigeno in Israele quanto lo sono i Navajo o i Cherokee in America.

Monty Noam Penkover, in una raccolta di saggi intitolata, The Emergence of Zionist Thought (1991) ha anche aggiunto: “Il sionismo (…) è saldamente radicato nei valori spirituali che hanno sempre reso unico l’ebraismo” e la costituzione dello Stato d’Israele rappresenta quel momento in cui il popolo ebraico della diaspora torna ad autodeterminarsi politicamente. Il sionismo dell’ebreo assimilato Theodor Herzl non possiede una caratteristica teologica quanto politica e laica; a riprova di questo si può anche far osservare che proprio gli ebrei ultraortodossi vi si oppongono in virtù dell’assioma teologico secondo cui lo Stato d’Israele dovrebbe esser rifondato solo quando arriverà il Messia. Gli ultraortodossi vedono infatti i “sionisti” come una sorta di non ebrei o, comunque, di avversari, dunque questa relazione che Agamben pone tra sionismo e giudaismo è già in sé fallace: il sionismo è un movimento ebraico, ma il giudaismo ed il sionismo che ha dato vita allo Stato laico e democratico nel 1948 differiscono, innanzitutto, perché uno possiede una dimensione politica, l’altro una teologica.

L’esilio ebraico (galut) ha una caratteristica teologica che è lontana dalle categorie politiche del sionismo di Herzl. Il giudaismo (minuscolo) indica, infatti, “la religione del popolo ebraico e l’insieme della sua cultura…” (Vocabolario Treccani) e non il sionismo il cui progetto politico consiste nella creazione di uno Stato secolare e democratico.

L’oggetto del contendere nel blog di Agamben s’intende invece subito dalla frase: “L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra…”.

Agamben pare convinto, insieme ai suoi sodali con la kefiah, di poter determinare, aggiungendo di suo a discorsi altrui, quale debba essere “la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra”!

Molti, nella storia, hanno già tentato di fare la stessa cosa, ossia decidere, in loro vece, sul destino degli ebrei. Agamben sembra non avvedersi del paradosso ma, con la sua dichiarazione egli dà, suo malgrado, proprio ragione ai fondatori del sionismo i quali ritenevano che solo la costituzione dello Stato d’Israele avrebbe reso possibile l’autodeterminazione politica del popolo ebraico.

Il progetto sionista è, infatti, quello di dare una patria al popolo ebraico, non al giudaismo che è esistito e continua ad esistere anche al di là d’Israele. Il post online del Nostro è, in sostanza, l’ennesima filippica anti-israeliana uscita dalla tastiera dell’autore il quale, in questo caso, riprende pezzi e frattaglie di discorsi fatti da autori come Amnon Raz-Krakotzkin, un lettore (senior lecturer) all’università Ben Gurion del Neghev. Chissà perché non appena scovano qualche accademico israeliano che esprime opinioni bizzarre questo viene prontamente elevato, nel panorama accademico occidentale, al ruolo di annunciatore di nuovi vangeli, mentre autori seri e precisi come Benny Morris, Jeffrey Herf, Richard Landes o Joshua Muravchik, per menzionarne solo alcuni, vengono invece ignorati e sono quasi sconosciuti al grande pubblico.

Sarà una delle tante ben strane coincidenze cui si dovrebbe ormai essere abituati, oppure c’è dell’altro? Non sarà che, proprio l’Europa, ha una cattiva coscienza che vorrebbe cancellare e, per questo, trova facile porsi dalla parte degli aggressori e non degli aggrediti? 

La purezza escatologica, “accettazione” dirà Agamben, è quella “che fonda la superiorità degli ebrei rispetto alle religioni e ai popoli che si sono compromessi con lo Stato.”

Oltre alla purezza che, secondo il Nostro, deriva dal rinunciare alla propria autoderminazione, questo vuol implicitamente dire che gli ebrei devono stare zitti e buoni nell’esilio perché questa è la loro “forma d’esistenza”. Fantozzi direbbe qui – con Agamben nei panni candidi del megadirettore galattico Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam – “com’è buono Lei Duca Conte Agamben…”. Sembra quasi che i comici di un tempo avessero già capito tutto e, sapendo che non è più possibile argomentare razionalmente in un mondo impazzito, abbiano risposto con il riso e la satira che, speriamo, ancora una volta seppellirà questi rigurgiti di un odio antico che si sperava, almeno sul suolo europeo su cui è stato perpetrato uno dei più mostruosi crimini della storia, fosse stato sconfitto. Si può solo aggiungere che, ancora una volta nel tempo, l’intellighenzia europea sta offrendo il peggio di sé.

La conclusione iperbolica nella nota online di Agamben connette, poi, la presunta negazione “alla radice” dell’esilio con una “rimozione” la quale “ha prodotto un altro esilio, quello dei palestinesi e ha portato lo stato d’Israele a identificarsi con le forme più estreme e spietate dello Stato-nazione moderno.”

Per chi ha senno e coscienza, quest’ulteriore bassezza si commenta da sé. È preoccupante – per quei pochi che si è rimasti a darsi pensiero del significato proprio delle parole e della storia – che proprio all’interno delle accademie il discorso su Israele sia ormai talmente stravolto dall’odio cieco da impedire una discussione lucida, razionale e morale sul tema. 

Agamben non considera, neanche per un momento, la tragedia di proporzioni storiche che ha coinvolto il popolo ebraico nello scorso secolo dando una motivazione politica ed umanista ben sostanziale alla necessità della fondazione dello Stato di Israele.

In molti hanno giustamente osservato che Israele nasce dalle ceneri della Shoah, ma bisogna anche osservare che non è il solo Stato ad esser sorto nell’area mediorientale e dintorni. Gli Stati moderni di Siria, Libano e Giordania vengono artificialmente costituiti da inglesi e francesi nel 1946, due anni dopo nasce lo Stato d’Israele che, diversamente dagli altri, verrà immediatamente attaccato da questi.

Nel 1951 è il turno della Libia, il Marocco e l’Algeria – alcuni direbbero “otterranno l’indipendenza”, ma la vicenda è più complicata – rispettivamente nel 1956 e nel 1962, mentre l’Iran cadrà sotto il giogo degli Ayatollah nel ’79. La stessa repubblica turca ha avuto origine nel 1923, l’Iraq nel 1930 e l’Arabia Saudita nel 1932.

L’intera area è, dunque, il prodotto delle politiche del XX secolo di cui ancor’oggi risente. Queste sono le analisi e gli spunti di discussione che l’intellighenzia dovrebbe fornire e non la mera ripetizione, con linguaggio fintamente forbito, degli stessi strepiti del primo demente in strada con la kefiah.

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