Le follie religiose dell’Afghanistan
A cura dell’ACS ITALIA – Aiuto alla Chiesa che Soffre*
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AFGHANISTAN: QUADRO GIURIDICO RELATIVO ALLA LIBERTA’ RELIGIOSA ED EFFETTIVA APPLICAZIONE
Secondo le ultime stime sulla demografia religiosa, i musulmani sunniti rappresentano tra l’85 e l’89 per cento della popolazione afgana. Il resto è composto per lo più da musulmani sciiti (10-15 per cento), in prevalenza di etnia hazara. La Costituzione del Paese riconosce ufficialmente 14 etnie, tra le quali vi sono i pashtun, i tagichi, gli hazara e altri.
I pashtun vivono principalmente nel sud e nel sud-est e costituiscono il gruppo più numeroso (circa il 42 per cento), seguiti dai tagichi (circa il 27 per cento), che vivono nel nord e nel nord-est, dagli hazara (9 per cento), dagli uzbechi (9 per cento), dai turkmeni (3 per cento) e dai baluchi (2 per cento), mentre le altre etnie rappresentano l’8 per cento del popolo afgano.
Il ritorno al potere dei talebani, oltre vent’anni dopo la loro destituzione, e la conseguente istituzione di un emirato islamico hanno cambiato totalmente il quadro giuridico del Paese.
La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan del 2004 non è più in vigore e rimangono molti dubbi sull’attuale quadro giuridico, i cui elementi si possono ricostruire soprattutto attraverso le dichiarazioni dei nuovi governanti.
Poche settimane dopo la caduta di Kabul, un portavoce dei talebani ha annunciato la restaurazione dell’emirato come sistema politico del Paese, mettendo fine alla Repubblica post-2001, aggiungendo che Amir ul-Muminin, il Comandante dei Credenti, sarebbe stato il capo dello Stato afghano.
La leadership ha inoltre comunicato che gli affari del Paese sarebbero stati gestiti da un governo provvisorio, composto esclusivamente da talebani e guidato da un primo ministro. Tuttavia, si sa poco della struttura istituzionale dell’emirato.
Già durante il primo emirato (1996-2001), un consiglio di ulema aveva redatto una Costituzione volta a ufficializzare la forma di governo. Non fu mai attuata e si basava in gran parte sulla Carta costituzionale del 1964, adottata sotto l’ex re Mohammed Zahir Shah.
Nel settembre 2021, i talebani hanno dichiarato che avrebbero applicato temporaneamente lo stesso documento. L’annuncio è giunto dopo un incontro a Kabul del Ministro della Giustizia ad interim dei talebani, Abdul Hakeem Sharaee, con l’ambasciatore cinese. Sharaee ha detto che, al fine di governare il Paese, l’emirato islamico adotterà temporaneamente la Costituzione reale laddove essa «non sia in conflitto con la shari’a (legge) islamica».
Tuttavia, all’atto pratico, i talebani non hanno fatto ricorso alla Costituzione del 1964, che prevedeva una monarchia costituzionale con elezioni e separazione dei poteri, elementi sempre respinti dai talebani, e includeva una Carta dei Diritti come limite al potere statale.
Dall’agosto 2021, importanti nomine e decreti in ambito amministrativo, legislativo e giudiziario sono stati emessi dall’emiro in base alla propria autorità, senza alcuna separazione dei poteri. Inoltre, rispetto alla Carta del 1964, la componente islamica è predominante.
Nel suo ultimo rapporto sull’Afghanistan, pubblicato il 16 dicembre 2022, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha affermato che il Paese deve «mantenere i propri impegni nei confronti dei princìpi, delle norme e degli standard internazionali contro la discriminazione, l’iniquità, la disuguaglianza, l’ingiustizia e l’impunità».
Le autorità de facto non hanno ancora affrontato le persistenti ambiguità sulle linee guida del sistema politico e giuridico, sebbene il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, abbia dichiarato nell’ottobre 2022 che si stava ancora lavorando «per redigere una nuova Costituzione».
Nonostante le promesse fatte dopo la presa di Kabul, il nuovo governo talebano non è riuscito ad essere inclusivo in termini di rispetto delle donne e delle minoranze. Spicca la mancanza di donne e di pluralità etnica nel governo talebano.
La Costituzione della Repubblica Islamica dell’Afghanistan (articolo 4) nomina 14 gruppi etnici diversi come parte della nazione afghana, ma 30 dei 33 incaricati sono stati selezionati da un solo gruppo etnico, i pashtun.
Nel maggio 2022, i talebani hanno pubblicato un manifesto di 312 pagine intitolato “Al Imarat al Islamiah wa Nizamuha”, ovvero “L’Emirato Islamico e il suo Nizam” (quest’ultimo significa amministrazione, sistema, istituzioni o ordine).
Il manifesto cerca di fornire ai talebani un documento di base, rispondendo a due domande: Che cos’è un Emirato islamico e come viene gestito? Il manifesto è redatto da Abdul Hakim Haqqani, Ministro della Giustizia ad interim dei talebani, il quale definisce tre elementi costitutivi di uno Stato guidato dai talebani: 1) sistema giudiziario indipendente; 2) esercito islamico; 3) legge divina. L’autore avverte inoltre che uno Stato islamico non avrà successo senza l’attuazione delle leggi del Corano e della Sunna.
Nel documento, si fa particolare riferimento alla scuola di giurisprudenza islamica che dovrebbe essere seguita nel Paese e che, secondo Haqqani, dovrebbe essere quella della maggioranza, ovvero la scuola hanafi.
Questo rappresenta un passo indietro rispetto alla Costituzione del 2004, che per la prima volta nella storia del Paese riconosceva in ambito giuridico un ruolo pur limitato anche alla giurisprudenza Ja‘farī (sciita). La minoranza sciita rappresenta circa un sesto della popolazione afghana. Il Consiglio degli Ulema sciiti dell’Afghanistan ha chiesto pubblicamente che gli sciiti siano esentati dal pagamento di una tassa sui prodotti agricoli (ushr) imposta dai talebani in conformità alla giurisprudenza hanafi. Tuttavia, non vi è alcuna indicazione di un provvedimento o di un’esenzione per i musulmani sciiti a tal proposito.
Vi sono state invece segnalazioni relative al fatto che le autorità talebane abbiano rimosso la giurisprudenza Ja‘farī dal programma di studi dell’università di Bamiyan, una provincia a maggioranza sciita in Afghanistan.
Da un punto di vista giudiziario, i talebani non hanno mostrato alcun riguardo per un giusto processo giuridico. Molte delle regole sono stabilite attraverso decreti che non vengono comunicati correttamente a coloro che dovrebbero applicarli. In alcuni casi, è sufficiente la dichiarazione di un leader del gruppo perché il decreto diventi effettivo. Inoltre, pochi casi raggiungono effettivamente i tribunali e l’esecuzione delle sanzioni è per lo più affidata ai combattenti talebani e ai comandanti locali, che puniscono le persone accusate di un crimine sul posto o dopo un breve processo. Le pene vanno dalla pubblica gogna alle punizioni corporali e, nei casi più gravi, si può arrivare alla pena di morte.
Il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio (MPVPV) emette la maggior parte delle direttive. Sciolto nel 2001, questo dipartimento governativo, noto per i suoi duri metodi di polizia, è stato ristabilito nel settembre 2021, prendendo il posto del Ministero degli Affari Femminili. Attraverso le sue direttive, il nuovo ministero fa spesso rispettare alcune disposizioni che considera obbligatorie per i musulmani afghani (o per i sudditi di uno Stato musulmano, nel caso dei non islamici).
Le donne hanno sofferto maggiormente a causa di queste restrizioni. I leader talebani hanno di fatto vietato l’istruzione secondaria femminile. Nel marzo 2022, hanno dichiarato che le scuole secondarie femminili sarebbero rimaste chiuse fino a quando non fossero state stabilite condizioni islamiche e culturali adeguate per le studentesse dai 12 anni in poi. È stata inoltre emessa una serie di decreti volti a limitare la libertà di movimento delle donne, il loro abbigliamento, l’attività sportiva, il diritto al lavoro e l’assistenza sanitaria.
La situazione delle donne è talmente disastrosa che il Rapporto Global Gender Gap 2022 del Forum Economico Mondiale ha classificato l’Afghanistan all’ultimo posto su 146 Paesi.
I talebani hanno anche vietato la musica. Secondo il loro portavoce, Zabihullah Mujahid, «la musica è proibita nell’Islam… ma speriamo di poter convincere le persone a non fare queste cose, invece di far loro pressione». Tuttavia, invece di convincere le persone, i talebani hanno preso di mira musicisti e artisti, e persino coloro che ascoltano musica nelle loro auto.
La pena di morte per reati come l’apostasia e la blasfemia rimane in vigore. Inoltre, i talebani hanno reintrodotto le punizioni corporali e le mutilazioni, come l’amputazione degli arti, in caso di furto. «Il taglio delle mani è estremamente necessario ai fini della sicurezza», ha dichiarato Nooruddin Turabi, un fondatore dei talebani, parlando con l’Associated Press. Durante il primo regime talebano, Turabi divenne famoso per la sua dura applicazione della legge.
I talebani hanno fatto molto poco per includere le minoranze religiose, per sostenere i loro diritti o per proteggerle dai numerosi attacchi di gruppi come lo Stato Islamico-Provincia di Khorasan (IS-KP). Tuttavia, i talebani rifiutano di essere etichettati come oppressori.
Il 5 giugno 2022, in risposta a un rapporto della Commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale (USCIRF), Zabihullah Mujahid ha twittato: «I diritti religiosi e civili di tutte le minoranze in Afghanistan sono garantiti. A questo proposito, il rapporto del Dipartimento di Stato è incompleto e basato su informazioni false. Tutti i nostri sunniti, sciiti, sikh e induisti praticano liberamente la loro religione. Respingiamo il rapporto del Dipartimento di Stato».
È interessante notare come i cristiani non vengano menzionati perché, secondo un portavoce dei talebani, «non vi sono cristiani in Afghanistan. La minoranza cristiana non è mai stata conosciuta o registrata qui».
Nel 2022, l’amministrazione talebana ha rimosso Ashura e Nowruz come festività nazionali dal calendario afghano, ma ha permesso alle comunità minoritarie di celebrare pubblicamente le proprie ricorrenze.
Sia nel vecchio che nel nuovo regime talebano, gli hazara sciiti rimangono la minoranza più perseguitata. Sono il terzo gruppo etnico più numeroso dell’Afghanistan, dopo i pashtun e i tagiki, e sono prevalentemente musulmani sciiti. Durante il periodo in esame, hanno subìto numerosi attacchi sia da parte dei talebani che dell’IS-KP.
Anche i musulmani sufi sono stati oggetto di attacchi nel periodo in esame. Questo gruppo ha svolto un importante ruolo spirituale in Afghanistan per secoli, ma ora le loro convinzioni religiose sono in netto contrasto con quelle dei talebani e dell’IS-KP.
Nel maggio 2022, dopo una missione in Afghanistan, Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani in Afghanistan, ha chiesto un’indagine sugli attacchi contro le comunità hazara, sciita e sufi, osservando che questi «stanno diventando sempre più sistematici e riflettono elementi di una politica organizzata. Pertanto, tali atti hanno le caratteristiche di crimini contro l’umanità».
Già perseguitati sotto il precedente governo talebano, gli ahmadi non versano in condizioni migliori, ora che sono considerati eretici e non musulmani. Prima dell’agosto 2021, si stima che circa 450 ahmadi vivessero nel Paese. Alcuni sono presumibilmente stati arrestati dai talebani.
Citando il leader ahmadi, Califfo Hazrat Mirza Masroor, il sito Press Ahmadiyya ha twittato: «I musulmani ahmadi in Afghanistan stanno attraversando difficoltà estreme e alcuni sono persino detenuti». Il Comitato Internazionale per i Diritti Umani (IHRC) ha riferito che almeno 13 musulmani ahmadi sono ancora in carcere dopo essere stati arrestati durante l’Eid al-Adha del 2022.
La maggior parte dei non musulmani afghani è fuggita durante il regime talebano tra il 1996 e il 2001, ma alcuni sono rimasti. Ora vivono sotto la minaccia della persecuzione, in particolare i bahá’í, i buddisti, gli zoroastriani e i cristiani.
Il Cristianesimo è visto come una religione occidentale ed estranea all’Afghanistan. Anche prima che i talebani prendessero il potere, i cristiani riferivano di una forte ostilità nell’opinione pubblica, sui social media e altrove, nei confronti dei convertiti al Cristianesimo e del proselitismo cristiano.
I cristiani afghani erano soliti praticare il culto da soli o in piccoli gruppi nelle case private. Nel 2019, poiché i convertiti avevano sempre più figli, molti decisero di includere la loro religione nei documenti d’identità, in modo che i loro figli non dovessero nascondere la propria fede, ma solo 30 cristiani riuscirono a farlo prima del ritorno al potere dei talebani.
Dopo cent’anni, l’Afghanistan è rimasto senza una presenza cattolica. Padre Giovanni Scalese, sacerdote barnabita e superiore della missione sui iuris in Afghanistan, presente nel Paese dal 1921, è stato costretto a rientrare in Italia il 26 agosto 2021, insieme a cinque suore, alcune delle Missionarie della Carità di Madre Teresa, più una suora in servizio presso “Pro Bambini Kabul” (PBK), una ONG intercongregazionale.
Quest’ultima ha raccontato i suoi ultimi giorni in Afghanistan: «È stato un periodo molto difficile, eravamo chiusi in casa e avevamo paura». All’epoca, don Scalese era l’unico sacerdote cattolico ancora presente in Afghanistan.
Secondo il Consiglio dei Sikh e degli indù dell’Afghanistan, nel 2020 la propria comunità contava circa 550 membri, con una netta diminuzione dai 900 membri del 2018. Anche prima del ritorno dei talebani, i templi sikh erano stati presi di mira in attentati spesso rivendicati dall’IS-KP, come nel caso di quello contro il Gurdwara Har Rai Sahib a Kabul, il 25 marzo 2020, che ha provocato la morte di 25 persone. Con l’avanzata dei talebani verso Kabul, nell’agosto 2021, alcuni indù e sikh si sono rifugiati in un tempio sikh della capitale, mentre altri hanno cercato di fuggire, soprattutto in India, dove il governo ha aiutato sikh e indù a lasciare l’Afghanistan.
Si ritiene che, al mese di ottobre 2021, siano rimasti nel Paese meno di 250 indù e sikh. I rapporti pervenuti alla Commissione degli Stati Uniti per la libertà religiosa internazionale (USCIRF), hanno rilevato che subito dopo la presa di potere dei talebani, uomini armati delle nuove autorità hanno visitato il Gurdwara Sikh di Karte Parwan, un quartiere di Kabul, chiedendo a sikh e indù di non lasciare l’Afghanistan.
Alla fine del XX secolo, quasi tutti gli ebrei afghani erano emigrati in Israele a causa della mancanza di sicurezza. Dopo la presa del potere da parte dei talebani, quello che si credeva essere l’ultimo ebreo ancora nel Paese, Zebulon Simentov, ha tentato di rimanere, ma nel settembre 2021 anche lui ha lasciato Kabul. Alcune settimane dopo, una donna fuggita all’estero dopo la presa di Kabul, lontana cugina di Simentov, ha affermato di aver sempre mantenuto la propria fede ebraica, nonostante fosse sposata con un musulmano.
Per quanto riguarda la comunità bahá’í in Afghanistan, vi sono poche informazioni. La comunità ha vissuto in un relativo anonimato dopo la dichiarazione del 2007 della Direzione Generale delle Fatwa e dei Conti della Corte Suprema dell’Afghanistan, che ha dichiarato che la fede bahá’í è blasfema e i suoi seguaci infedeli.
Anche i musulmani uiguri dell’Afghanistan, che sono circa 2.000-3.000, sono una minoranza in pericolo. In ragione delle strette relazioni dei talebani con la Cina, che il gruppo ha descritto come il loro «partner principale» nella ricostruzione del Paese, gli uiguri ora temono sia per la loro vita in Afghanistan che per un possibile rimpatrio e persecuzione in Cina.
Il periodo in esame ha visto un cambiamento radicale nella situazione del Paese, a seguito della presa del potere da parte dei talebani, con conseguenze molto gravi per i diritti umani, e in particolare quelli delle minoranze, compresa la libertà religiosa.
Il 20 luglio 2022, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha pubblicato una relazione che delinea la situazione dei diritti umani nel Paese nei primi dieci mesi dall’insediamento dei talebani. L’UNAMA ha registrato 2.106 vittime civili, principalmente attribuibili ad attacchi mirati da parte dell’IS-KP contro le minoranze etniche e religiose, commessi in luoghi di culto, istituti educativi e in aree in cui tali comunità trascorrono la vita quotidiana.
L’UNAMA ha espresso particolare preoccupazione per l’impunità con cui i membri delle autorità de facto sembrano commettere violazioni dei diritti umani. Il rapporto descrive in dettaglio le uccisioni extragiudiziali, così come le punizioni crudeli, inumane e degradanti, le esecuzioni sommarie di persone accusate di crimini “morali” e la brutalità poliziesca da parte delle forze dell’ordine.
Nei primi 10 mesi di governo, i talebani sono stati responsabili di 237 esecuzioni extragiudiziali, 113 arresti e detenzioni arbitrarie e 118 casi di uso eccessivo della forza. Gli “studenti” hanno inoltre violato i diritti umani di 163 giornalisti e operatori dei media e di 65 difensori dei diritti umani, mentre dopo il 15 agosto 2021 sono stati segnalati 217 casi di punizioni crudeli, inumane e degradanti. Queste includono punizioni inflitte a persone accusate di zina, ovvero di rapporti sessuali illegittimi. Ad esempio, il 14 febbraio 2022, un uomo e una donna sono stati lapidati nella provincia di Badakhshan, nel nord-est dell’Afghanistan, perché ritenuti colpevoli di adulterio.
Nel dicembre 2022, le Nazioni Unite hanno rilasciato una dichiarazione in cui chiedevano ai talebani di interrompere immediatamente le fustigazioni e le esecuzioni pubbliche, avanzando dubbi sull’iter processuale che aveva portato a queste punizioni, che non sembrano aver soddisfatto le garanzie fondamentali di un equo processo. Come già sottolineato, molti degli attacchi alle minoranze religiose sono stati opera dell’IS-KP. Gli hazara sciiti sono stati i più colpiti da aggressioni rivendicate o attribuite a questo gruppo jihadista.
Un episodio recente è stato l’attacco al Centro Educativo Kaaj nel quartiere Dasht-e-Barchi di Kabul, un’area a maggioranza sciita hazara, teatro di diversi attacchi raccapriccianti negli ultimi anni.
Il 30 settembre 2022, un attentato suicida ha distrutto il centro educativo, uccidendo 54 persone, per lo più giovani donne hazara. Secondo lo Human Rights Watch, da quando i talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan, l’affiliato dello Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità di 13 attacchi contro gli hazara ed è stato collegato ad almeno altri tre, in cui sono state uccise o ferite almeno 700 persone. Il crescente giro di vite dei talebani sui media, soprattutto nelle province, significa che probabilmente altri attacchi non sono stati denunciati.
Tra i principali attacchi contro gli hazara, spicca quello di venerdì 7 ottobre 2022, quando un attentatore suicida si è fatto esplodere in una moschea nella provincia nord-orientale di Kunduz, uccidendo decine di fedeli in quello che è stato il terzo attentato a un sito religioso in una sola settimana. Lo Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità di questo attacco, che si ritiene abbia ucciso tra le 70 e le 80 persone. La settimana successiva, più di 40 persone sono state uccise e decine di altre ferite dopo che alcune esplosioni hanno squarciato una moschea sciita durante la preghiera del venerdì nella città di Kandahar.
Anche i talebani hanno continuato a prendere di mira gli hazara, esattamente come avveniva quando erano al potere nel 1996-2001. Secondo Human Rights Watch, all’inizio di ottobre 2021, i talebani e le milizie associate hanno costretto a sfollare con la forza centinaia di famiglie hazara dalla provincia meridionale di Helmand e dalla provincia settentrionale di Balkh. Questi sfratti hanno fatto seguito a quelli precedenti dalle province di Daikundi, Uruzgan e Kandahar.
Un’indagine di “Amnesty International” ha incolpato i talebani del brutale omicidio di 13 persone di etnia hazara – tra cui nove ex soldati governativi che si erano arresi e una ragazza di 17 anni – avvenuto nella provincia di Daykundi il 30 agosto 2021.
Anche il gruppo musulmano sufi è stato preso di mira durante il periodo in esame, in particolare nei primi mesi del 2022. Il 29 aprile, la Moschea Sahib Khalifa, uno dei siti sufi più venerati di Kabul, era piena di fedeli che si preparavano per la festa dell’Eid al-Fitr, quando una violenta esplosione ha ucciso più di 50 persone dopo la preghiera del venerdì.
Pochi giorni prima, anche la Moschea Mawlawi Sekandar Sufi nella provincia di Kunduz è stata attaccata durante la preghiera del venerdì, causando la morte di almeno 33 persone. Nell’agosto 2022, è stato ucciso un importante studioso sufi. Appena una settimana dopo, si è verificato un altro attacco, un’esplosione all’interno della Moschea Siddiquiya a Kabul, con la morte di 21 persone. Dopo l’ultimo attacco, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) ha invitato le autorità talebane ad adottare misure concrete per prevenire ogni forma di terrorismo nel Paese e consegnare alla giustizia i responsabili di tali attacchi.
Prospettive per la libertà religiosa
Anche prima del 15 agosto 2021, l’Afghanistan era un Paese messo in ginocchio da 40 anni di guerra, disastri naturali ricorrenti, povertà cronica, siccità e pandemia Covid-19, con oltre 24 milioni di persone che necessitavano di assistenza umanitaria. Le forze della coalizione, durante la loro permanenza in Afghanistan, non sono riuscite a garantire che i diritti umani fossero regolamentati, promossi o protetti. Inoltre, le forze della coalizione non hanno assicurato la registrazione delle comunità religiose non sunnite, con la conseguente totale mancanza di documenti circa la loro presenza. Nonostante le promesse iniziali di rispetto dei diritti umani e di inclusione, il regime talebano sta portando via quel poco di diritti e prospettive rimasto agli afghani.
A ciò si aggiunge un’intensa attività terroristica. Per il quarto anno consecutivo, l’Indice globale del terrorismo 2022 ha classificato l’Afghanistan come la nazione maggiormente colpita dal terrorismo nel mondo. Questo è certamente legato alla presenza dell’IS-KP, che, dopo una battuta d’arresto iniziale a seguito della presa di Kabul da parte dei talebani, ha ripreso slancio, anche grazie alla liberazione di molti suoi combattenti detenuti nelle carceri afghane, tra cui l’attentatore suicida responsabile dell’attacco all’aeroporto di Kabul dell’agosto 2021.
Attualmente, l’IS-KP è sempre più attivo in diverse parti del Paese, compiendo numerosi attacchi contro le minoranze etniche e religiose. Attacchi che, nonostante le promesse, i talebani non sono riusciti a fermare.
Per quanto riguarda Al-Qaeda, alla luce del contesto appena descritto, resta da vedere se e come si riposizionerà dopo la morte del suo leader di lunga data Ayman al-Zawahiri, ucciso dai droni degli Stati Uniti il 31 luglio 2022 a Kabul, dove la mente degli attacchi dell’11 settembre 2001 aveva trovato rifugio in seguito al ritorno al potere dei talebani.
È chiaro che in un quadro di simili violazioni sistematiche dei diritti umani, la situazione delle minoranze e della libertà religiosa è di gran lunga peggiore rispetto a prima che i talebani prendessero il potere. Per citare Fereshta Abbasi, ricercatrice di Human Rights Watch, «la libertà religiosa non esiste in Afghanistan».
* Estratto da: Libertà religiosa nel mondo, Rapporto 2023
Il Rapporto 2023 è la XVI edizione del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo di Aiuto alla Chiesa che Soffre, che viene realizzato ogni due anni.
È pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, portoghese e spagnolo