«Io accuso» e quella persuasione, occulta e attuale, dei media sull’eutanasia…
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QUELL’AUTENTICO DISTILLATO DEL PROGRAMMA DI STERMINIO NAZISTA CHE RISCHIA OGGI DI DIVENTARE ATTUALE ANCHE NELL’ITALIA DELL’EUTANASIA “LEGALE”…
«Io accuso» («Ich klage an») è un film tedesco diretto da Wolfgang Liebeneiner del 1941, che narra la storia di Hanna Heyt, una donna giovane e solare, che decide di dare una festa per celebrare la nomina del marito Thomas a capo di un istituto medico di Monaco di Baviera. Ma proprio nel bel mezzo di un concerto, un crampo improvviso le impedisce di continuare a suonare il pianoforte.
A seguito dell’impietoso responso di una visita specialistica (che diagnostica a Hanna la sclerosi multipla) il marito inizia la disperata ricerca di una cura nel proprio laboratorio. Tuttavia, la malattia si aggrava e la donna diventa poco alla volta sempre più debole. Visto il decorso infausto, Hanna prega il Dr. Bernhard Lang, medico e da sempre amico di Thomas, di sopprimerla quando il dolore diventerà insopportabile. Ma dato che Lang rifiuta, poco più tardi fa la stessa richiesta al marito, implorandolo di ucciderla quando lei non sarà più «la sua Hanna»: sorda, cieca o non più in grado di capire («idiotisch» in lingua originale).
Nel corso delle ricerche avviate dal Dr. Heyt improvvisamente si fa strada la speranza di aver trovato una cura, che però si rivela fallace. Hanna cade in un cupo pessimismo e infine, a seguito di un’impressionante crisi respiratoria, il Dr. Heyt somministra alla donna un’overdose di anestetico. Dopo un ultimo «ti amo» sussurrato tra marito e moglie, Hanna muore.
Quando il Dr. Lang viene a sapere che il Dr. Heyt ha ucciso Hanna, afferma, sconvolto: «L’aveva chiesto anche a me, ma non l’ho fatto, perché l’amavo!». Al che il marito replica: «Io l’ho fatto perché l’amavo di più!». Così, a fronte delle altre sue giustificazioni («Non l’ho uccisa, l’ho liberata»), Lang rompe l’amicizia con il collega.
Durante il processo per omicidio, Heyt rimane sempre in silenzio. Al suo posto parlano i testimoni per tentare di chiarire il movente del delitto. Grazie alla deposizione della domestica emerge che a uccidere la moglie è stato proprio Heyt, il quale si difende dicendo: «L’ho fatto perché amavo mia moglie».
A sorpresa, dopo molte esitazioni, Lang decide di testimoniare al processo. In attesa del suo arrivo, i membri della Corte trovano il tempo per un breve dibattito nel quale tutti i presenti concordano su un punto: perché un malato terminale dovrebbe continuare a vivere se può scegliere di morire? E oltretutto: se veramente il medico ha soppresso la paziente per evitarle ulteriori sofferenze, questo crea un precedente nella giurisprudenza; in tal caso il diritto a garantire l’uccisione compassionevole non spetterebbe al singolo medico ma allo Stato, che ha il dovere di concedere suoi cittadini il diritto di liberarsi dalle sofferenze, proprio come si riserva il colpo di grazia a un vecchio cane da caccia ormai cieco e malato.
Finalmente parla il Dr. Lang, il quale aveva salvato dalla meningite una bambina, che tuttavia è rimasta gravemente handicappata dalla malattia: per questo i genitori, paradossalmente, lo incolpano di non averla lasciata morire in pace. Lang è il testimone che potrebbe ribaltare l’esito del processo; ma se prima riteneva che un medico non avesse diritto di vita e di morte sul malato (perché in contrasto col Giuramento di Ippocrate), ora sembra aver cambiato parere proprio di fronte al caso della piccola, ormai ridotta a una larva. E invece di testimoniare contro l’ex-amico contribuisce a scagionarlo. Solo allora Heyt apre bocca per autoaccusarsi dell’omicidio della moglie, dichiarando di averlo fatto con motivazioni pietose e chiedendo che lo Stato approvi una legge per consentire ai malati gravi di morire in pace. Il finale del film rimane aperto.
Il film è caratterizzato da un’abile strategia di “persuasione morale” composta da diversi elementi. Nell’ordine:
– La malattia terribile.
– Il “caso pietoso” (la bambina colpita dalla meningite).
– Il Dr. Lang (il medico che l’ha salvata ma non ha potuto impedirne la disabilità) presentato come un irresponsabile, che però cambia idea verso la fine.
– La fallacia della “qualità della vita” (desiderare la morte quando non ci sono più certi standard).
– La negazione del senso cristiano della sofferenza (rappresentato dal pastore luterano durante il processo).
– La morte vista come unica soluzione alla malattia, inflitta “pietosamente” e “per amore” dal marito che, fra l’altro, è medico.
– Il processo e il capovolgimento della legge.
Il film «Io accuso» fu presentato nel 1941 alla Mostra del Cinema di Venezia (ai tempi “megafono” della propaganda fascista) e sortì l’effetto desiderato di giustificare presso l’opinione pubblica tedesca la soppressione delle “vite indegne di essere vissute” (disabili fisici e psichici) che si stava svolgendo proprio in quel periodo nel Terzo Reich.
L’unica opposizione di una certa veemenza venne dalla Chiesa Cattolica; in particolare il vescovo di Münster Clemens August von Galen, nelle sue prediche dell’estate 1941 sottolineò l’illiceità dell’eliminazione dei malati sia alla luce della legge divina che di quella dello Stato, appellandosi inoltre all’Articolo 211 del Codice Penale tedesco allora in vigore che puniva l’omicidio volontario e/o premeditato con la pena capitale.
La coraggiosissima denuncia di von Galen, che gli valse il soprannome di “Leone di Münster”, causò vibranti proteste in seguito alle quali l’Aktion T4 fu interrotta – anche se fu poi ripresa l’anno successivo e condotta in gran segreto fino alla fine della guerra.
Curiosamente, Wikipedia fa notare che in questo film la tematica del Terzo Reich è quasi assente, se si eccettua una brevissima sequenza dove i personaggi hanno il braccio teso nel saluto nazista. Tuttavia, la tecnica di prim’ordine fa da semplice “abbellimento” a una sceneggiatura che è un autentico distillato del programma di sterminio nazista (vedere i dialoghi più sopra!). Inoltre non bisogna dimenticare che questo film, come tutti gli altri film tedeschi della sua epoca, fu prodotto e approvato dal Ministero della Propaganda retto da Joseph Goebbels, e quindi fu giustamente bandito in Germania dopo il 1945. Ma se proprio si deve rivedere “Io accuso” (con stomaco ben corazzato) dopo 80 anni, è per farne una “accusa” a rovescio – giocando sul titolo – e riconoscere quali sono i meccanismi di persuasione sapientemente occultati nella pellicola, immutati allora come oggi e usati per giustificare l’aberrante pratica dell’uccisione dei pazienti incurabili.
Il film viene proposto in tedesco, ma con sottotitoli in inglese. Si consiglia la visione agli adulti e in presenza di un moderatore.