La denuncia di un vescovo: “La sanità pubblica vive di annunci”
di Bruno Volpe
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INTERVISTA AL VICEPRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
In Italia, secondo l’Istat, 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure mediche per motivi economici o lunghezza dei tempi di attesa. Ne parliamo in questa intervista con Monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio e Vice Presidente Nazionale Cei.
Eccellenza Savino, sono numeri che devono far meditare e soprattutto portare a soluzioni rapide…
“Più di 45 anni fa, con una legge dello Stato, venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale, con un provvedimento che io considero tra i più giusti ed importanti. Alla base del SSN vi erano, e vi sono, tre criteri: universalità, uguaglianza nelle e delle prestazioni sanitarie ed equità, cioè nessuna discriminazione in base a censo, religione e condizione sociale. Oggi i numeri che lei ha citato dicono esattamente il contrario e comunque ci portano a meditare”.
Che cosa vuole dire?
“Che la questione sanitaria è prima di tutto un fatto di giustizia ed oggi viviamo una ingiustizia, dimenticando che la stessa Costituzione chiama la salute diritto fondamentale e da questa norma ne discendono altre. Io penso che una delle cause di questa situazione delicata sia stata la riforma del titolo V della Costituzione, un errore, col quale si è devoluta la sanità alle regioni e le conseguenze negative sono evidenti, una devolution che ha creato caos e confusione. Io sinceramente come cittadino e vescovo sono molto preoccupato e lo sono ancor di più dalle conseguenze che potrà avere in tema di partità la cosiddetta autonomia differenziata che accentuerà le differenze tra nord e sud, mentre sarebbe auspicabile solo se servisse a calmierare i limiti di spesa”.
Qual è il grande limite della sanità pubblica?
“Ce ne sono tanti. Uno dei primi è l’aziendalizzazione, ovvero vedere l’ospedale coe azienda attento più al budget che alla visione umana del paziente parte debole e volto di Cristo. I medici, che sono vittime di questo sistema, per forza di cose, devono lottare con i tempi, pensare alla produttività e ricevere con l’orologio alla mano e poi la carenza della medicina del territorio. Il paziente non è chiamato più tale, ma utente e già questo la dice lunga sul senso e sulla impostazione. Siamo arrivati alla triste conseguenza che se hai soldi vai dal privato, paghi ed hai soddisfazione. Se sei indigente o caduto in difficoltà devi aspettare. Questo non è giusto. Oggi la sanità non è equa e la politica investe poco su di essa. La sanità pubblica vive di annunci”.
Cosa ne pensa dei casi di medici malmenati nei pronto soccorso?
“Una vergogna, chi alza le mani su un infermiere o medico al pronto soccorso sbaglia e va punito severamente. Ma questo è il risultato nefasto di anni di degrado della sanità pubblica. Tanti medici vanno via all’estero dove lavorano meglio e sono più pagati e rispettati. Dicevo che alzare le mani su un medico è roba incivile, ma quello che sta avvenendo è un cane che si morde la coda. Tanta gente in attesa da ore, penso a vecchi e sofferenti nei pronto soccorso, alla fine sbottano come i parenti. Lo ripeto: nessuna giustificazione, ma tutto è frutto di un sistema allo sbando dove occorrerrebbero maggiori investimenti in assunzione di personale e aumento stipendi. Insomma, lo Stato investa maggiormente sulla sanità pubblica, se non vogliamo che il SSN imploda a tutto svantaggio dei non abbienti. Corriamo questo rischio e quello di una americanizzazione del sistema con la corsa alle assicurazioni o chi ha conoscenze, amicizie, potere e soldi sarà sempre favorito”.
Tanta gente rinuncia alle cure…
“È il segno di una nazione non civile”.
Che parabola del Vangelo prenderebbe ad esempio?
“Quella del buon samaritano, perchè abbiamo il dovere di prenderci cura del malato, di qualunque ceto sia. Il samaritano lo fece senza calcoli. L’attuale sanità pubblica ricorda per molti versi la figura del levita di quella parabola. Vede e passa avanti. Per mancanza di tempo e risorse. E alla fine pagano poveri e medici”.