Quanto siamo vicini alla Terza guerra mondiale?

Quanto siamo vicini alla Terza guerra mondiale?

di Pietro Licciardi

NESSUNO OGGI SEMBRA VOLER SCATENARE UN CONFLITTO MONDIALE COME NEL 1914 E NEL 1939; MA SAPPIAMO COM’E’ ANDATA. PARLA LO STORICO MARCO CIMMINO

Soffiano forte, almeno a dar retta a certi media non solo nostrani, venti di guerra. Una guerra guerreggiata non solo in certi teatri – pensiamo ovviamente innanzitutto all’Ucraina e al Medio Oriente – ma che rischia di diventare globale. 

Tuttavia seguendo un po’ la politica internazionale sembra che ci si stia dando da fare per scongiurare il pericolo di una escalation.

La Russia di Putin ha molto minacciato la Nato, ma al momento non ha fatto seguire i fatti alle parole, nonostante siano partiti gli attacchi ucraini al suo suolo patrio.

Gli americani da parte loro continuano a negare a Zelensky l’autorizzazione a usare le armi a lungo raggio per colpire il territorio russo.

In Medio Oriente gli iraniani stanno appoggiando Hezbollah e di conseguenza Hamas ma dopo il bombardamento israeliano della loro ambasciata in Siria hanno sì reagito con un massiccio attacco missilistico, però senza fare volutamente troppi danni e anche ultimamente hanno detto di non volere scatenare una guerra.

Dal canto suo Tel Aviv ha risposto alla ritorsione iraniana in maniera poco più che simbolica, anche se Netanyahu è deciso a colpire gli sciiti di Hezbollah portando la guerra in Libano

Purtroppo ci sembra di vivere un deja vu. Anche nel 1914 e nel 1939 le cancellerie europee non volevano una guerra mondiale e invece sappiamo come è andata.

Di questo abbiamo parlato con Marco Cimmino, storico e saggista, oltre che apprezzato conferenziere, il quale è già stato con noi sul canale di InFormazione cattolica [QUI, QUI, QUI, e QUI].

Professor Cimmino, ci descriva brevemente il sentimento delle cancellerie europee alla vigilia della Prima guerra mondiale e quali errori di valutazione portarono al macello.

«La cosiddetta dottrina Fisher, l’ipotesi che l’imperialismo e l’aggressività tedesca siano stati la scintilla che ha scatenato la Prima guerra mondiale credo sia tramontata. E’ una dottrina semmai nata con la Seconda guerra mondiale in cui si è attribuita ai tedeschi una sorta di aggressività genetica. Di fatto tutto si basava sul cosiddetto assegno in bianco: il telegramma del kaiser a Franz Josef dopo l’attentato a Sarajevo in cui si diceva in sostanza che se l’Austria-Ungheria fosse entrata in guerra la Germania l’avrebbe fedelmente seguita. La mia interpretazione è che il kaiser Guglielmo pensasse ad una guerra balcanica e certamente non ad una guerra mondiale. Visto che già dal 1908 esisteva un piano Konrad per attaccare la Serbia credo si alludesse ad una sorta di guerra lampo, considerato che la Bosnia-Erzegovina, provincia dell’impero, era molto vicina ai gangli vitali serbi, per rimettere a posto le cose con una terza guerra balcanica. A testimoniare la non volontà bellicosa di Guglielmo c’è anche l’altro telegramma allo zar Nicola II, col quale era imparentato direttamente, in cui si diceva di dover fare di tutto per scongiurare l’immane tragedia. Io escluderei una responsabilità unica della Germania nello scoppio della Prima guerra mondiale quanto una incoscienza dei governanti nei confronti del rischio di una escalation su scala mondiale, ma anche solo continentale, del conflitto».

Un conflitto che fu devastante anche a causa dei progressi in campo militare. Progressi che fanno paura pure oggi. Nonostante il conflitto russo-ucraino abbia mostrato che a dispetto – o magari a causa – della tecnologia si è tornati a combattere in trincea. 

«Come spesso accade si sottovaluta l’aspetto militare a favore dell’analisi sociale o socio-politica. A partire dagli ultimi anni dell’Ottocento industria e tecnologia militare avevano fornito agli eserciti armi straordinariamente potenti rispetto a quelle di prima. In secondo luogo i criteri di mobilitazione dei grand eserciti europei erano piuttosto macchinosi e lenti, per cui il rischio era anche di farsi trovare in braghe di tela nel caso la crisi fosse rientrata e si dovesse smobilitare. A questi si aggiungono naturalmente i problemi di carattere geopolitico, come il contrasto tra le due macro-ideologie: il panslavismo e il pangermanesimo oltre all’idea dell’accerchiamento economico della Germania o la improbabilissima alleanza tra Inghilterra e Russia, che dopo la guerra russo-giapponese del 1904-1905 nessuno avrebbe predetto. Tutto ciò circonda di un nuovo alone quella che sarebbe diventata la Triplice intesa, facendo si che gli elementi a favore della guerra aumentino. La Prima guerra mondiale, sotto tutti i punti di vista, ha preso in contropiede tutti quanti, perché nessuno immaginava una conflagrazione di quelle dimensioni e un tipo di guerra come quella che è stata»

Dunque una guerra inaspettata soprattutto dal punto di vista politico.

«Non solo dal punto di vista politico ma anche del sentimento e della percezione della guerra. E’ stato un evento che fino ad allora non era mai esistito. Il problema è che dalle guerre non si impara nulla. Anche perché non esiste una guerra uguale all’altra».

Mi sembra che gli storici siano abbastanza concordi nel dire che neppure nel 1939 sia Hitler che Francia e Inghilterra, memori dei massacri del ‘14-‘18 volevano un altro grande conflitto. Invece anche qui sappiamo come andò. Professore, a quanto pare qualcuno sbaglio i conti per la seconda volta.

«Infatti, come è possibile che dopo vent’anni abbiano fatto la stessa cosa? Il punto è che non l’hanno percepita come la stessa cosa, perché i due meccanismi messi in atto nel periodo tra le due guerre per scongiurarne un’altra sono stati la creazione della Società delle Nazioni, quindi l’idea di un organismo sovranazionale in grado di redimere le controversie, e un sistema di iper-fortificazioni campali, come la famosa linea Maginot, che facessero passare la voglia a chiunque di attaccare. Ma la Seconda guerra mondiale è stata militarmente diversa dalla prima, che inizialmente si pensava sarebbe stata una guerra di movimento e invece si è trasformata in statica e di assedio; mentre la seconda, che si pensava dovesse essere statica e di assedio è stata una guerra di movimento».

Dal punto vi vista politico quali sono stati gli errori e le sottovalutazioni che hanno portato al conflitto?

«I risultati di Versailles sono stati un errore pazzesco dal punto di vista politico. L’intransigenza della Francia nei confronti della Germania già in ginocchio e da umiliare a tutti i costi non ha fatto altro che alimentare una fiamma sotto la cenere divampata appena Hitler ha cominciato a parlare di denuncia del trattato di Versailles, balsamo alle orecchie dei tedeschi. Insomma, l’idea di annientare la Germania come stato e come nazione è stata un’idea fallimentare. In più si aggiunga che dopo la Prima guerra mondiale ci sono state una serie di rivoluzioni che hanno portato alla ribalta un nuovo modo di intendere la politica, non più diplomatico e di tipo liberale, ma con i moti di piazza e la violenza. Non penso soltanto all’Unione sovietica ma anche all’Ungheria, alla Romania, all’ austrofascimo, all’Italia e non dimentichiamo che anche in paesi insospettabili come Inghilterra, Francia e Belgio c’erano dei movimenti fascisti – in Francia e Belgio anche comunisti – che il borghese vedeva come una minaccia. La Guerra di Spagna è stato un altro elemento che ha acutizzato lo scontro ideologico prima della Seconda guerra mondiale; che è stata tutta diversa: guerra di movimento e ideologica, mentre la Prima è stata di assedio e nazionalista. L’analogia forte con l’attualità è la situazione geografica della Germania, che si sentiva e si è sempre sentita – come oggi la Russia -assediata: dal blocco comunista da una parte e da Francia e Inghilterra dall’altra. In più una Germania mutilata nei suoi territori e appena uscita da due crisi economiche».

E veniamo ad oggi. Secondo lei nell’attuale scenario internazionale vi sono analogie con quel passato di cui ha appena parlato?

«La cosa più probabile è che faremo errori nuovi, nel senso che, come dicevo, ogni guerra è un nuovo scenario e quindi si commettono nuovi errori. Lo storico sa che le analogie sono sempre rischiose, la più comune, banale e sbagliata è quella tra la campagna napoleonica in Russia del 1811 e la campagna di Hitler nel 1941. Nel nostro caso certamente ci sono dei punti in comune ma non bisogna pensare che la storia si ripeta. Certamente oggi c’è l’errore comune di demonizzare il nemico, Putin e la Russia – popolo che ha un forte senso della patria – per umiliarlo e rappresentarlo come il male assoluto. Questa idea del male assoluto non fa bene a nessuno. Una analogia forte che sento è l’assoluta ignavia della Società delle Nazioni prima della Seconda guerra mondiale e l’altrettanto assoluta ignavia delle Nazioni Unite oggi, le quali oltretutto nascono con una potenzialità di deterrenza militare – penso alla guerra di Corea – che però non usa. Le nazioni Unite non si interpongono mai in questi conflitti. Penso alla figuraccia che ha fatto l’Onu con la ex Yugoslavia. Ecco, credo una analogia sia questa: l’assenza della politica internazionale nel cercare di interporsi. La politica internazionale gioca invece sull’idea dei trattati, perché anche lei ha davanti un modello, che si chiama Vietnam e gli accordi di Parigi del 1973. Ovvero pensa che un conflitto, come fu quello del Vietnam, possa essere in qualche modo riportato alla situazione tra Russia e Ucraina e risolto, quando invece si tratta di una guerra completamente diversa. Tanto per cominciare non è una guerra asimmetrica ma talmente simmetrica che prima lei parlava giustamente di guerra di trincea. La storia insegna che quando una guerra si impantana ci si deve interporre seriamente, mettendo in campo magari anche iniziative diplomatiche, ma che offrano a entrambi i contendenti la possibilità di una uscita onorevole, mentre in questo caso sembra davvero si voglia solo umiliare Putin».

E per quanto riguarda il Medio Oriente?

«Anche qui assistiamo ad una duplice demonizzazione: da una parte palestinesi, siriani e iraniani e in generale adesso il mondo sciita, tutti potenziali terroristi; dall’altra parte la demonizzazione di Israele, ormai dipinto da tanti come uno stato canaglia. La verità è che lì c’è un contenzioso che non è mai stato affrontato dalla politica internazionale e che poteva essere risolto con due stati diversi. Non c’è mai stato un processo di normalizzazione e pertanto in quel territorio permane una situazione anormale da un punto di vista diplomatico e militare. Ma questo è colpa anche e soprattutto dell’assenza di quegli organismi internazionali che avrebbero il compito specifico di fare questa cosa»

Lei crede in Medio Oriente ci sia un rischio di allargamento del conflitto?

«Credo di no per un semplice motivo: nel conflitto mediorientale, che ormai si protrae dal 1948, c’è sempre stata questa cosa: se uno faceva qualcosa bisognava rispondere. La risposta è sempre una rappresaglia e a conti fatti non si arriva quasi mai allo scontro se non quando il mondo arabo ha la sensazione di essere larghissimamente dominante su Israele; altrimenti ci si limita a schermaglie. L’Iran ad esempio non può, davanti agli sciiti del mondo, fare la figura di uno Stato che si fa bombardare un’ambasciata e quindi lancia i missili, anche se ho perfino il sospetto che prima abbiano telefonato per avvertire Israele per fare un gioco delle parti. Insomma non credo si possa arrivare ad un conflitto come fu quello tra Iran e Iraq. Credo invece che Israele possa continuare con le incursioni militari a Gaza e in Libano un po’ per colpire Hamas ed Hezbollah ma anche perché Israele è come lo Stato Sabaudo tra il 1600 e il 1700, che ha sempre sfruttato le guerre per ingrandirsi un pezzettino alla volta. A questo si aggiunge la debolezza degli Stati Uniti, che sono sotto elezioni, e la oggettiva mancanza di interesse generale per la situazione. Penso che Netanyahu si comporti in modo estremamente provocatorio nei confronti del mondo arabo limitrofo perché è politicamente alla canna del gas; per cui distinguiamo tra Netanyahu, la Knesset e lo Stato di Israele, che sono tre cose diverse. Purtroppo la gente in piazza invece fa di tutta l’erba un fascio e come sempre l’impressione è che nella stanza dei bottoni ci sia gente che nemmeno sa dove sono i bottoni»

Adesso la domanda da un milione di dollari. Secondo la sua esperienza di storico militare stiamo veramente correndo il rischio di una guerra nucleare o quanto meno di un coinvolgimento della Nato?

«Nato fa rima con disarmato… La Nato non interviene da nessuna parte. Danno le armi balistiche a Zelensky ma gli dicono di non usarle, litigano su tutto, non c’è un esercito unico ma tanti pezzetti messi insieme. La Nato è un fossile storico, costituitosi per difendere l’occidente dalla minaccia sovietica sotto egida americana ma la minaccia sovietica non c’è più, l’Occidente sta cercando di diventare altro dall’America perché si rende conto di avere altri interessi. Noi europei purtroppo ci troviamo a metà del guado: non siamo gli Stati Uniti d’Europa ma non siamo neppure più nazioni che vanno ciascuna per proprio conto. Insomma, la Nato, che ripeto è espressione di un mondo che non c’è più, per di più affiancata ad una Unione europea che è unita come le famiglie che litigano per l’eredità… Ho l’impressione che i Leopard 2 non entreranno mai in territorio russo. La Nato si limiterà ancora ad abbaiare senza mordere»

Ci sembra che lo stesso si possa dire per la Russia, che ormai ha dimostrato di non essere più militarmente il mastino di una volta, ammesso che lo sia mai stata veramente.

«Certamente, ormai abbiamo capito che quelli che abbaiano non mordono. I russi hanno questi carri T14 Armada che sembrava fossero chissà che cosa e non li hanno neppure tirati fuori dai garage. Comunque attenzione anche a non sottovalutarli perché sono molto più forti di noi».

Una forza non tanto militare, aggiungiamo noi quanto morale. Considerata la disfatta subita all’inizio dell’invasione dell’Ucraina e la catasta di morti patita in quasi tre anni di guerra i russi continuano a combattere mentre Putin rimane saldo al suo posto, certo che comunque vincerà questa guerra, grazie allo spirito di sacrificio del suo popolo e alla poca determinazione occidentale. Intanto prendiamo in mano il santo rosario e seguiamo gli inviti della Regina della Pace, come si è presentata la Nostra Signora a Medjugorje, perché dei politici non ci fidiamo molto, visto che come ha spiegato il nostro interlocutore hanno il brutto vizio di prendere clamorosi abbagli, come nel 1914 e nel 1939.

 

QUI L’INTERVISTA INTEGRALE

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