L’invidia, la superbia, il suicidio

L’invidia, la superbia, il suicidio

di Francesco Bellanti 

L’INGIUSTA MORTE DI PIER DELLA VIGNA: La potente riflessione di Dante sulla ‘meretrice’ dagli ‘occhi putti’, l’invidia, sulla superbia e sul suicidio. Storia triste di Pier della Vigna grandissimo letterato e giurista, morto suicida e protagonista di un famoso canto della Divina Commedia, tra i fondatori della più antica università laica e statale del mondo, l’Università degli Studi di Napoli Federico II, avvenuta il 5 giugno 1224.

Io son colui che tenni ambo le chiavi
del cor di Federigo, e che le volsi,
serrando e diserrando, sì soavi,
che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi:
fede portai al glorioso offizio,
tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi.
La meretrice che mai da l’ospizio
di Cesare non torse li occhi putti,
morte comune e de le corti vizio,
infiammò contra me li animi tutti;
e li ’nfiammati infiammar sì Augusto,
che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
Per le nove radici d’esto legno
vi giuro che già mai non ruppi fede
al mio segnor, che fu d’onor sì degno.
E se di voi alcun nel mondo riede,
conforti la memoria mia, che giace
ancor del colpo che ’nvidia le diede.

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XIII, vv. 58-78)


Il 5 giugno 1224, il re di Sicilia e Imperatore del Sacro Romano Impero Federico II, Stupor Mundi, fondava l’Università degli Studi di Napoli, una delle più famose e più importanti del mondo, certamente la più antica università laica, perché fondata con un provvedimento statale, cioè non religiosa o fondata da corporazioni o associazioni di studenti e intellettuali. Tra i fondatori dell’Università di Napoli, per la quale redasse nel 1224 la lettera circolare che sanciva la fondazione dell’istituzione, fu il capuano Pier della Vigna. 

Chi era Pier della Vigna? Noto anche come Pier delle Vigne (Capua, 1190 circa – Pisa, 1249), fu uno dei più importanti politici e funzionari alla corte del grande Imperatore normanno-svevo. Oltre che altissimo funzionario, fu anche un grandissimo e fine letterato, scrittore e poeta della Scuola Siciliana, ambasciatore imperiale, logoteta e protonotaro, cancelliere, ministro e giudice che presiedette alla stesura delle Costituzioni di Melfi del 1231, la più perfetta sintesi della cultura giuridica normanno-sveva di quel tempo. 

Pier della Vigna fu attivo non solo nella Magna Curia imperiale ma anche nella vita culturale del Regno di Sicilia, coordinando spesso i lavori di scienziati, medici e artisti. Insomma, era una specie di Viceré, soprattutto durante le ripetute assenze di Federico. È facile capire che per i suoi servigi accumulò vasti patrimoni prima di cadere in disgrazia. Dante, nel XIII canto dell’Inferno, ce lo presenta trasformato in pianta nella selva dei suicidi, condannato a essere un arbusto secco per sempre e infine a riprendere il suo corpo dopo il Giudizio Universale e a vederlo appeso per l’eternità su un albero nell’inferno. 

Pier della Vigna invoca Dante di ristabilire il suo onore sulla terra, perché lui, vittima dell’invidia di corte, la meretrice, come lui la chiama, non ha tradito il suo Signore, né si è macchiato di corruzione. Dante, con versi fra i più memorabili del poema, lo assolve da tutte le accuse e soprattutto da quella di tradimento, che lo indusse al suicidio in carcere a Pisa, secondo la tradizione, sbattendo la testa contro una parete della cella, dopo che era stato accecato con un ferro ardente. Dante mette in bocca a Pier della Vigna parole piene di raffinatezze e di elementi retorici (“Cred’io ch’ei credette ch’io credesse…”) propri dello stile elevato e aulico, qui consono al prestigio culturale dell’illustre personaggio, e financo metafore venatorie (per esempio, i verbi “adeschi”, “inveschi”) che richiamano alla memoria il suo “segnor” che, come è noto, scrisse un trattato in latino sulla falconeria, il De arte venandi cum avibus

Come tutti i personaggi dell’Inferno, anche Pier della Vigna è tenacemente attaccato alla vita terrena, e perciò è più interessato alla riabilitazione della sua fama nel mondo terreno che a comprendere la natura del suo grave peccato, che egli esprime ancora con un bello artificio retorico. Ma era veramente innocente Pier della Vigna? I cronisti dell’epoca parlarono di una questione di donne tra l’Imperatore e il suo ministro, forse Pier della Vigna s’invaghì della preferita di Federico, forse l’Imperatore sedusse la bella e giovane moglie del suo ministro, che – scoperti il suo “segnor” con la mogliettina a letto – avrebbe ordito una congiura. Inverosimile. 

Più seriamente, si parlò anche di un fallito attentato a Federico II del 1249, voluto dai Guelfi, se non addirittura da papa Innocenzo IV in persona e appoggiato dal nostro Pier, che avrebbe convinto il medico di Corte ad avvelenare l’Imperatore con una pozione avvelenata, tesi condivisa, pare, dal famoso Salimbene de Adam da Parma, che nella sua Chronica parlò di presunti colloqui segreti intercorsi fra il Pontefice ed il ministro, ma questo tentato omicidio sembra sia avvenuto in tempi in cui sarebbe stata impossibile una partecipazione diretta del logoteta. 

Il Sommo propende più prosaicamente per una vile congiura di palazzo, di notabili che avrebbero calunniato il braccio destro dell’Imperatore diventato troppo ricco e potente, ma anche questa ipotesi ci appare poco probabile, uno esperto di intrighi come il ministro che conosceva “ambo le chiavi del cor di Federigo” si sarebbe opposto facilmente a tale congiura. La tesi più probabile, anche se meno fascinosa e romantica, condivisa da storici recenti, è quella di un reato di corruzione, certamente vile e basso per un insigne letterato e poeta, storici che riportano come testimonianza una lettera dell’Imperatore che esprime dubbi sulla condotta morale del suo ministro, che avrebbe sottratto grandi somme di denaro e pure abusato della propria posizione per perseguitare nemici dell’Imperatore e incamerare i loro beni. No, non ci piace questa banale storia dell’uomo venuto dal nulla che si fa travolgere dal fascino della ricchezza e rinnega quelle leggi che egli stesso aveva dettato e delle quali aveva richiesto il rispetto. 

Noi crediamo a Dante e al suo viaggio benedetto da Dio, come sempre, e al mito di un uomo giusto distrutto dalle calunnie che cercò di trovare nel suicidio la fuga dalla realtà. Sbagliando, perché fece agire in modo ingiusto una persona giusta contro sé stessa. Commettendo il suicidio, uno dei più gravi peccati, che spesso si commette per superbia, e superbo lo fu Pier della Vigna, perché chi commette suicidio deve andare all’inferno per aver rifiutato la vita che Dio ha dato, e, soprattutto, per aver rifiutato la salvezza mediante Cristo.

(Dipinto Gustave Doré) 

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