Quando ero bambino

Quando ero bambino

di Davide Romano

L’INFANZIA IN UN’ALTRA ITALIA

Quando ero bambino, il mondo sembrava un posto magico, e la mia esistenza si svolgeva tra le mura di un universo che si rivelava a piccoli frammenti, come una favola che si svela lentamente a chi sa ascoltare. Quei giorni lontani, con le loro semplici verità e le loro innocenti illusioni, sono il terreno fertile di cui spesso mi nutro quando il presente si fa opaco e confuso.

Era un’epoca in cui le estati erano interminabili e i pomeriggi si trascorrevano con la spensieratezza di chi non conosce ancora le dure leggi del mondo. La mia infanzia si muoveva al ritmo del sole e della luna, e ogni giorno portava con sé nuove avventure, tra i giochi all’aperto e le storie che sembravano provenire da un’altra dimensione. Le risate echeggiavano nel vicinato, come un’eco di felicità che, col tempo, ho visto diventare sempre più flebile.

Ricordo bene le strade del mio quartiere, le vie acciottolate e i cortili, che sembravano allungarsi e accorciarsi a seconda delle esigenze di gioco. Era un mondo in cui le case avevano la forza dei miti, e gli anziani, seduti sui gradini delle loro dimore, erano i custodi di una saggezza che trasmettevano senza sforzo. Le loro chiacchiere, piene di ricordi e di verità, erano il nostro giornale quotidiano, e noi, bambini curiosi e avidi di storie, ascoltavamo come se fossero i racconti di un’era dorata.

L’infanzia, quella fase dell’esistenza che oggi sembra così lontana e quasi mitologica, era un periodo di grande semplicità e profonda autenticità. Ricordo le mani callose del mio nonno, che mi guidavano nei piccoli lavori del giardino, e le sue parole, sempre misurate e ponderate, che mi insegnavano a guardare il mondo con uno spirito critico e riflessivo. Erano anni in cui le promesse non erano state ancora tradite e in cui la fiducia nel futuro era una fede quasi indiscussa.

Le giornate trascorrevano lente e, a volte, interminabili. La scuola era un rito sacro e i compagni di classe, sebbene non sempre condividessero le mie opinioni, erano parte di una comunità che si sosteneva a vicenda. L’innocenza di quei giorni mi consentiva di sognare senza freni, di credere che ogni desiderio potesse essere realizzato e che ogni difficoltà fosse solo un’altra avventura da affrontare.

Oggi, quando mi volto indietro e osservo quel tempo lontano, mi accorgo di come l’infanzia sia stata una sorta di campo di prova per l’adulto che sono diventato. Le piccole gioie, i primi sogni, e persino le delusioni infantili hanno contribuito a forgiarmi. E, in questo processo di crescita, è stato il ricordo di quella semplicità, di quella purezza che ora mi guida nei momenti di confusione e di difficoltà.

Ciò che più mi colpisce, tuttavia, è come i ricordi dell’infanzia, sebbene sepolti sotto strati di esperienza e disillusione, rimangano sempre intatti e cristallini. Essi rappresentano una sorta di refugium peccatorum, un rifugio sicuro dove tornare nei momenti di crisi. È come se, in quella stagione della vita, avessimo assaporato il succo della vera essenza dell’esistenza, un’essenza che, con il passare degli anni, si perde nei meandri della quotidianità.

Quando ero bambino, dunque, il mondo era un luogo di meraviglie e di certezze, e quei giorni lontani rimangono come un faro che illumina le mie ore più buie. La nostalgia di quel tempo mi accompagna, non come un rimpianto, ma come un ricordo prezioso di un’innocenza perduta che continua a brillare, anche se solo nella memoria di chi sa ancora apprezzare il valore delle piccole cose.

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