I Valdesi, 850 anni di un’eresia duratura ma inoffensiva

I Valdesi, 850 anni di un’eresia duratura ma inoffensiva

di Davide Romano

I VALDESI NON SONO MAI RIUSCITI A DIVENTARE UN VERO E PROPRIO MOVIMENTO DI MASSA 

Quest’anno i Valdesi festeggiano un anniversario davvero importante: 850 anni di storia. Ma chi sono? Forse non tutti li conoscono nel nostro Paese in cui l’ignoranza religiosa domina sovrana. Già il nome suona come un’eco lontana di qualche ribellione medievale ormai archiviata. Eppure, resistono ancora, fedeli a un’idea nata nel XII secolo con Pietro Valdo, mercante di Lione, che decise di interpretare il Vangelo a modo suo, diventando il capostipite di una delle più longeve minoranze religiose in Italia. E sì, avete capito bene: in Italia. Dove gli eretici, di solito, fanno una brutta fine. O si convertono o si estinguono. I Valdesi, invece, hanno scelto una via di mezzo: rimanere vivi, ma senza far troppi danni.

La povertà evangelica e l’inizio dell’avventura

Pietro Valdo, quasi come un Francesco d’Assisi ante litteram, decise di abbandonare i suoi beni per vivere in povertà, predicando il Vangelo. Solo che, a differenza di San Francesco, Valdo non ebbe l’illuminata idea di mettersi d’accordo con il Papa. No, lui volle fare tutto da solo, senza passare per il via, come direbbero al Monopoli. Il risultato? Dichiarato eretico nel 1179 e costretto a scappare tra le montagne per sfuggire all’Inquisizione. Un altro genio del marketing ecclesiastico.

Eppure, come direbbe Papa Gregorio IX, “non c’è nulla di nuovo sotto il sole”. I Valdesi, con la loro predicazione e la lettura autonoma delle Scritture, sembravano destinati a scuotere il mondo. Solo che, a un certo punto, deve esserci stato un corto circuito, perché di grandi rivoluzioni valdesi nella storia italiana non ne abbiamo viste. Si sono limitati a qualche predica qua e là, finendo per essere un gruppo un po’ esotico, più da curiosità culturale che da minaccia teologica.

I tentativi di protestantizzare l’Italia, missione impossibile

Nel XVI secolo, i Valdesi tentarono il grande salto: unirsi alla Riforma protestante. E qui, la loro storia prende una piega quasi comica. Immaginatevi una minoranza nascosta nelle valli piemontesi che, con grande entusiasmo, decide di unirsi a un movimento che, in Germania, stava scuotendo le fondamenta della Chiesa cattolica. L’idea, ovviamente, era quella di “protestantizzare” l’Italia. Un po’ come tentare di vendere ghiaccioli al Polo Nord.

La realtà dei fatti è che l’Italia, terra di papi e santi, ha accolto il protestantesimo con lo stesso entusiasmo con cui si accoglie una nevicata a ferragosto. Come osservò ironicamente lo storico inglese Christopher Duggan, “i Valdesi provarono a cambiare l’Italia, ma furono l’Italia a cambiare i Valdesi”. Si adattarono, insomma, più che provocare qualche vero cambiamento.

Le battaglie mancate e la resistenza passiva

Va detto, però, che i Valdesi ci hanno messo l’anima. Per secoli hanno resistito alle persecuzioni, spesso pagate con il sangue. Intere comunità furono decimate, e l’Inquisizione non fu certo clemente con loro. Ma qui si inserisce il paradosso valdesiano: sopravvissero, sì, ma senza mai veramente influenzare la grande storia. Mentre Lutero faceva tremare i palazzi di Roma e Calvino metteva a ferro e fuoco l’Europa, i Valdesi resistevano con le loro piccole comunità montane, fedeli, coraggiose, ma sempre irrilevanti sul piano nazionale.

Papa Pio V, in uno dei suoi consueti slanci di carità cristiana, li definì “zizzania da estirpare”. Ecco, estirpare. Ma chi se n’è accorto? Alla fine, nessuno si prese il disturbo di farlo per bene. I Valdesi non erano un pericolo tale da giustificare sforzi enormi: pochi numeri, poca diffusione e, francamente, poca capacità di fare proseliti in un’Italia in cui la religione cattolica è sempre stata più che radicata.

Una modernità ironica

Arriviamo al XIX secolo. I Valdesi ottengono finalmente la libertà di culto con il Regio Decreto di Carlo Alberto nel 1848. Ma a quel punto, l’Italia è già in pieno Risorgimento, e la questione religiosa non è più centrale come una volta. L’Italia unita è più interessata a costruire strade e ferrovie che a combattere eresie medievali. I Valdesi, nel frattempo, cercano di approfittare della nuova libertà, ma i loro tentativi di evangelizzazione restano confinati a pochi borghi e qualche famiglia sparsa.

Papa Benedetto XVI, parlando dei movimenti protestanti in Italia, osservò: “La verità del Vangelo non può essere compromessa, ma allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che il fenomeno della pluralità religiosa in Italia ha avuto un impatto limitato”. Ed è qui che l’ironia si fa più evidente: i Valdesi, con tutti i loro sforzi, non sono mai riusciti a diventare un vero e proprio movimento di massa. Hanno resistito, sì, ma più come curiosità storica che come forza rivoluzionaria.

L’erba cattiva non muore mai (ma neanche fa fiori)

Alla fine, i Valdesi restano una testimonianza vivente di come anche le eresie possano durare a lungo senza mai cambiare veramente nulla. Hanno tentato di protestantizzare l’Italia, ma sono stati fagocitati dall’indifferenza generale. Il loro messaggio di ritorno alle Scritture, pur nobile, non ha mai trovato terreno fertile in una terra dove il cattolicesimo è più una tradizione che una fede.

E oggi? Sono lì, silenziosi, rispettati, ma pur sempre ai margini. L’Italia resta cattolica, i Valdesi restano una minoranza, e l’idea di una nazione protestante è stata archiviata da tempo. E in questo fallimento, c’è qualcosa di straordinariamente italiano: non c’è bisogno di vincere o cambiare il mondo. Basta esserci, sopravvivere e, alla fine, trovare il proprio posto, anche se piccolo, in una storia che non si è riusciti a scrivere.

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