La droga non fa bene e non cura
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PER LIBERALIZZARE LA DROGA SI CONTINUA A SPACCIARE IL MITO DELLE QUALITA’ TERAPEUTICHE DEGLI ALLUCINOGENI. IL CASO SVIZZERO
Che il processo di legalizzazione delle droghe passasse attraverso la fase del: «fanno bene, mi curano», è evidente ed è l’esperienza di tutti i paesi che hanno portato avanti la legalizzazione della droga, dalla cannabis in avanti. Gli allucinogeni sono una categoria di sostanze che viene spinta da alcuni anni, infatti si parla di “rinascimento psichedelico” sempre con lo stesso refrain: sono “terapeutiche”.
Il 15 agosto la TV svizzera ha dedicato un servizio, dal titolo significativo: “Presto delle terapie psichedeliche per tutti?”, su quello che viene presentato come «l’unico ospedale svizzero che offre la terapia assistita da sostanze psichedeliche» e che si trova a Ginevra. Sotto la guida del professor Daniele Zullino, responsabile della terapia assistita da sostanze psichedeliche presso l’Ospedale Universitario di Ginevra (HUG) sono stati trattati 200 pazienti con risultati riportati come confortanti. Ne parliamo con Ermanno Pavesi, medico psichiatra che lavora in Svizzera nel cantone San Gallo.
«Zullino, che afferma di essere tra “i primi al mondo a proporre una terapia legale con sostanze psichedeliche al di fuori degli studi clinici”, si attribuisce un “merito” che almeno dovrebbe condividere con altri», eordisce Pavesi. «Applicazioni terapeutiche degli allucinogeni avvengono per lo meno da più di trent’anni alla clinica universitaria di Zurigo, condotte da Franz Xaver Vollenweider. Addirittura nel 1985 è stata fondata una società medica svizzera di terapia psicolitica, che utilizza la somministrazione ripetuta di allucinogeni a dosi non elevate accompagnate da psicoterapia. Esiste anche una terapia psichedelica che utilizza soprattutto una singola dose più elevata. L’anno scorso una paziente ricoverata nel mio reparto per depressione era in cura da uno psichiatra che le somministrava ketamina: provava un effetto positivo ma di breve durata. La ketamina aveva un effetto euforizzante e disinibente, stati di questo tipo vengono descritti anche nella fase iniziale di una narcosi, che per la paziente che da mesi era in uno stato depressivo è stato positivo, ma dopo un po’ è passato l’effetto e doveva ripetere il trattamento. Io ho trattato la depressione con successo con antidepressivi».
Ma non tutto è così semplice e evidente, Claire-Marie Dikanska, che ha scritto il pezzo per tvsvizzera.it, sottolinea come «le sostanze psichedeliche hanno sconvolto il mondo della psichiatria, dove non si scoprono farmaci rivoluzionari dagli antidepressivi degli anni Cinquanta. Con un rischio di dipendenza risibile ed effetti collaterali minimi, infatti, sembrano essere più efficaci di molti degli psicofarmaci in commercio, almeno se somministrate nel giusto contesto». Ma questo ultimo punto è fondamentale per Laura Tocmacov, cofondatrice di Psychédelos, un’associazione di pazienti di Ginevra: «Circa un terzo di coloro che si rivolgono all’associazione dopo essersi sottoposti a una terapia assistita da sostanze psichedeliche non ha riscontrato alcun effetto terapeutico, o addirittura ha subito un nuovo trauma», spiega.
E qui si apre un altro problema, quello della eventuale sperimentazione del “farmaco”. Di solito si fanno i test “a doppio cieco” dove una parte di quelli che partecipano alla sperimentazione assumono un placebo. Per queste sostanze è impossibile tale prova perché è evidente all’assuntore la differenza tra il placebo e la droga assunta. Come si legge su Nature del 13 agosto 2014, «il 90% dei partecipanti agli studi Lykos ha indovinato correttamente se avevano ricevuto il farmaco o un placebo», concetto già sottolineato dal prof. Gaetano Di Chiara dell’Università di Cagliari e dal dott. Federico Soldani epidemiologo già all’Agenzia statunitense Food and Drug Administration, che dal suo blog PsyPolitics suggerisce come risolvere la questione con una semplice domanda: “Quale farmaco pensi che ti sia stata somministrato, l’allucinogeno o la pillola di zucchero?” Una semplice e rapida domanda, o una variante di questa, che aiuterebbe a sgonfiare l’efficacia apparente di queste sostanze.
Ma torniamo da Pavesi: «all’inizio si è utilizzato l’LSD per provocare psicosi sperimentali, ammettendo che i fenomeni psichici provocati dall’LSD fossero paragonabili a quelle delle psicosi, si sono utilizzate delle psicosi sperimentali per trovare degli antagonisti per il loro utilizzo come antipsicotici, cioè efficaci contro allucinazioni e idee deliranti. Successivamente, accettando il concetto freudiano di rimozione, si è pensato di utilizzare psicolitici per superare le resistenze nei casi nei quali non c’era riuscita la psicoterapia, portando alla coscienza contenuti rimasti fino ad allora inconsci. Perché iniziare una lunga e costosa psicoterapia se era possibile superare le resistenze con la somministrazione di qualche dose di psicolitici? Ma, chi non è un po’ nevrotico? Non farebbe bene una tale terapia anche per individui che si ritengono normali? Altro passaggio: la dissoluzione dell’Io con questi farmaci consentirebbe esperienze “oceaniche” di unione con il cosmo, l’allargamento della coscienza porterebbe a esperienze mistiche».
È forse questo il rinascimento che ci aspetta? Già Aldous Huxley ne aveva parlato, il soma de Il mondo nuovo anticipa LSD, e Hoffmann, che nel 1943 aveva scoperto gli effetti psichici dell’LSD, ne ha parlato come di una droga sacra. In prospettiva l’uso terapeutico esclusivo non basterà perché come dice all’emittente svizzera Maxime Mellina, che lavora per il Raggruppamento romando di studi delle dipendenze, «autorizzando la sostanza solo in ambito strettamente medico, si escludono tutti coloro che non hanno una grave malattia mentale, ma che vorrebbero comunque provare le sostanze psichedeliche per questioni di crescita personale, spingendoli a ricorrere a soluzioni illegali e prive di controlli». E il gioco è fatto.
Foto di Gordon Johnson da Pixabay