Il matrimonio dei preti. Una farsa a puntate che non fa più ridere nessuno

Il matrimonio dei preti. Una farsa a puntate che non fa più ridere nessuno

di Davide Romano

ITALIANI, IPOCRITI PATENTATI!

L’Italia è un Paese di santi, poeti e navigatori, ma forse dovremmo aggiungere un’altra categoria a questo elenco: quella degli ipocriti patentati. Non c’è spettacolo più grottesco, infatti, di quello offerto dai preti che, con un sorriso beffardo sotto i baffi e una Bibbia in mano, annunciano la loro intenzione di sposarsi. Come se il matrimonio fosse l’antidoto miracoloso a tutte le tentazioni carnali che per secoli hanno rintuzzato con il cilicio e l’acqua benedetta. Ma, badate bene, non lo fanno per amore di una donna – no, troppo banale – ma per amore della modernità, della libertà, della “nuova” Chiesa. Insomma, si sposano per il bene dell’anima, non per il piacere del corpo. Una scusa che, se non fosse ridicola, sarebbe quasi offensiva.

Da buoni italiani, abbiamo sempre avuto un rapporto singolare con la Chiesa. Ci inginocchiamo davanti agli altari, ma ci raddrizziamo in fretta appena usciamo dalle porte delle chiese. E in questo equilibrio tra sacro e profano, il prete ha sempre svolto un ruolo fondamentale: custode delle anime, certo, ma anche dell’ipocrisia nazionale. Perché, diciamocelo chiaramente, l’idea del prete sposato non è che un’altra trovata per far quadrare i conti di una fede che ormai traballa come un vecchio campanile. Siamo passati dai roghi per gli eretici alle porte aperte per chiunque voglia infilarsi la tonaca senza rinunciare ai piaceri terreni. Una bella contraddizione, vero?

E allora eccoli lì, questi preti novelli, che sfilano mano nella mano con le loro consorti, quasi fossero in un reality show più che in una processione. Parlano di amore e di Dio con la stessa facilità con cui si chiede un caffè al bar. Ma l’amore vero, quello predicato da Cristo, era un’altra cosa: era rinuncia, sacrificio, un dono totale di sé. Cosa ne resta, oggi, in questi matrimoni “ecclesiastici”? Forse qualche selfie ben piazzato sui social e una sfilza di benedizioni su Instagram.

Ma il vero problema, caro lettore, non è il prete che si sposa. È la Chiesa che acconsente, che chiude un occhio (se non entrambi) davanti all’evidente contraddizione. È una Chiesa che, pur di rimanere a galla in un mondo sempre più secolarizzato, è pronta a rinnegare se stessa, a sacrificare l’antica dignità sull’altare della popolarità. E così, quello che un tempo era un solido bastione della fede si trasforma in un circo mediatico, con preti-mariti che fanno l’occhiolino ai fedeli mentre spiegano le Scritture con una mano e sfogliano il catalogo IKEA con l’altra.

Dove finirà questa deriva? Forse, alla fine, arriveremo a una Chiesa completamente laicizzata, in cui il prete sarà poco più di un funzionario pubblico, con tanto di moglie, figli e un SUV parcheggiato fuori dalla parrocchia. Ma la domanda che dovremmo porci è: vale la pena perdere l’anima per una manciata di like? Forse i preti dovrebbero rileggere il Vangelo, non solo per citarlo nei sermoni, ma per ritrovare quel coraggio che oggi sembra mancare. Il coraggio di essere uomini di Dio, e non uomini del mondo. Ma forse chiedo troppo. Dopotutto, viviamo in tempi in cui la fede si misura in applausi, e la virtù si baratta al mercato delle vanità.

E così, il matrimonio dei preti diventa l’ennesimo episodio di questa farsa tutta italiana. Applaudite pure, cari lettori, ma ricordatevi che ogni applauso è un chiodo nella bara di quella Chiesa che fu, una volta, davvero Santa e Apostolica.

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