«Io sono il pane disceso dal cielo»

«Io sono il pane disceso dal cielo»

di don Ruggero Gorletti

DICIANNOVESIMA DOMENICA PER ANNUM – ANNO B

Dal vangelo secondo Giovanni 6,41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

COMMENTO

Di fronte all’affermazione di Gesù («Io sono il pane disceso dal cielo») i giudei che avevano seguito Gesù cominciano ad assumere un atteggiamento ostile verso di Lui. Ricordiamo brevemente il brano di vangelo che abbiamo ascoltato nelle ultime due domeniche: Gesù aveva miracolosamente sfamato la folla che lo aveva seguito. Dopo questo prodigio la gente aveva pensato che Egli fosse il Messia tanto atteso, che doveva liberare il Paese dalla dominazione romana. Ma Gesù se ne era andato. Raggiunto ancora dalla folla, l’aveva rimproverata perché da Lui cercava solamente il pane che nutre lo stomaco in questa vita, e non il pane che nutre l’anima per la vita eterna. Gesù aveva poi parlato di se stesso come del pane della vita. E a questo punto l’atteggiamento entusiasta della folla si era trasformato in un atteggiamento di diffidenza e di ostilità. 

Da dove nasce questo cambio di atteggiamento? Perché l’entusiasmo si è trasformato in ostilità? La ragione della mormorazione dei giudei è la stessa persona di Gesù. I giudei non riescono a convincersi che Gesù è Dio. Non riescono a convincersene perché Egli, apparentemente, è uomo come tutti loro, come tutti noi. Non riescono a convincersene perché non riescono a superare la loro visione di Dio. 

Queste difficoltà incontrate dagli ebrei le incontriamo spesso anche noi. Molte persone spesso si avvicinano alla Chiesa per qualche bisogno materiale, per risolvere qualche problema, magari anche solo per avere un sollievo spirituale. Quando la Chiesa agisce per risolvere qualche problema di natura contingente, pratica, sociale, allora generalmente incontra il plauso della gente. Quando invece si parla di Gesù unico salvatore, della salvezza dell’anima, della necessità di vivere una vita di grazia e di combattere il peccato, della vita eterna ecco che allora l’interesse diventa molto meno forte, e la simpatia diventa indifferenza, derisione quando non addirittura ostilità.

Mi ricordo un missionario impegnato in un Paese molto povero dell’Africa che, anni fa, mi raccontava: «quando noi missionari chiediamo aiuti per costruire ospedali, per scavare pozzi d’acqua per la popolazione povera, molta gente ci segue, si impegna, ci aiuta; quando invece lo facciamo per acquistare i  catechismi, per costruire una chiesa di cui c’è reale necessità, allora l’interesse delle persone è molto molto minore».

Anche noi la pensiamo così, generalmente. Le cose che contano sono quelle di questa terra. Le altre, la salvezza dell’anima, la vita eterna, il rischio vero e reale per ciascuno di noi della dannazione eterna, sono considerate fantasie, o al limite cose lontane e incerte a cui eventualmente penseremo a suo tempo. Peccato che Gesù invece non la pensi così. Ce lo dice chiaramente in questo brano, nella parte che abbiamo ascoltato settimana scorsa: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna». L’altro, il cibo materiale, serve ma non basta. Infatti la manna del deserto, di cui si erano nutriti gli ebrei fuggiti dall’Egitto con Mosè, non ha impedito che morissero. 

La fede sta proprio qui: accogliere Gesù, accogliere il suo insegnamento, accogliere i sacramenti per quello che sono, per quello che è il loro fine ultimo, non per quello che a noi interessa. Per accogliere davvero Gesù, e quindi per fare una vera esperienza di Dio, dobbiamo uscire dal nostro modo di ragionare, e cercare di interpretare le cose, la vita, gli avvenimenti del mondo e della nostra vita personale con gli occhi di Dio. E’ questa la vera sapienza, che è il primo dei doni dello Spirito Santo, cioè essere capaci di vedere le cose con gli occhi di Dio, riuscendo ad andare al di là delle apparenze. Fare questa esperienza di Dio ci permette di comprendere che la nostra vita è una strada indirizzata verso una meta, non è un insieme caotico di esperienze, negative e positive, ma comunque fini a se stesse, non dirette a qualcosa di più grande. Esperienze che comunque perderanno ogni senso con la nostra morte. Gesù Cristo ci aiuta a superare questo modo di vivere, limitato e in fondo triste. Gesù ci invita ad accogliere Lui, il suo insegnamento, il suo amore, e a ricambiare il suo amore osservando i suoi comandamenti («chi mi ama osserva i miei comandamenti», Giovanni 14,23). E’ questo il vero pane della vita, che dona nutrimento ed energia a questa nostra vita, e, pur tra le difficoltà e i dolori che talvolta costellano i nostri giorni, ci fa capire che in questo cammino non siamo soli, ma accompagnati dall’amore di Dio. 

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