I fondamenti biblici neotestamentari della maternità ecclesiale di Maria

I fondamenti biblici neotestamentari della maternità ecclesiale di Maria

di Pamela Salvatori

LA MADRE DELLA CHIESA NEL NUOVO TESTAMENTO

In un articolo di ieri abbiamo passato in rassegna alcune figure di “matriarche” che annunciavano Maria, non solo come Madre di Dio, ma anche come Madre della Chiesa. L’Antico Testamento, infatti, è ricchissimo di immagini che prefigurano la Vergine, sebbene ne abbiamo proposte solo alcune.

L’intento è stato quello di consegnare un “assaggio” del disegno meraviglioso di Dio, che da sempre include Maria e la sua missione in nostro favore, Lei che per nulla è marginale del piano salvifico. Ma volendo andare oltre le antiche pagine, per giungere al Nuovo Testamento e vedere finalmente realizzata la sua maternità verso la Chiesa, senz’altro incontriamo episodi eloquenti, che possono aiutarci a crescere nella contemplazione del progetto divino e nella vera devozione a Maria, come pure nella gratitudine verso il Padre per aver predisposto fin dall’eternità, nella sua infinita Sapienza, una Madre per noi. 

Certamente nel Nuovo Patto la maternità ecclesiale di Maria si fa più esplicita, specialmente nella solenne “ora” di Gesù, quando il Figlio consegna Sua Madre al discepolo amato presente sotto la Croce. Ma non è questo l’unico momento che rivela il progetto della maternità spirituale-ecclesiale di Maria. Prima di quell’evento cruciale essa prende forma gradualmente nel corso della vita terrena della Santa Vergine. 

Passando in rassegna i Vangeli, l’attenzione cade anzitutto sull’Annunciazione. Certamente è il grande evento della maternità divina che qui si compie ma, a guardar bene, vi è pure un annuncio indiretto della maternità universale di Maria. All’inizio del Vangelo di san Luca (Lc 1,26-38), Gabriele è inviato dalla “piena di grazia” per rivolgerle la chiamata a divenire Madre di Gesù, in vista del Regno messianico atteso da secoli.

Dalle parole dell’Angelo si comprende che il progetto di salvezza è legato al consenso libero e coraggioso di Maria Santissima e che tale progetto comporta l’instaurazione di un Regno imperituro dalla portata universale. Da ciò si deduce che Maria, ascoltando l’Angelo, sia divenuta consapevole, nei limiti del possibile, che il suo “sì” all’Incarnazione del Verbo significava la realizzazione di un disegno salvifico universale. Così, da quell’istante, l’umile ancella consacrò tutta se stessa non solo al servizio di Dio, ma anche del genere umano. Come insegna la Tradizione della Chiesa, il Verbo nell’atto di assumere la natura umana nel seno di Maria ha unito a sé come capo tutta la Chiesa, suo mistico corpo, pertanto, al momento dell’Incarnazione, la Vergine divenne corporalmente Madre di Cristo-capo e spiritualmente Madre di tutte le sue membra. 

Secondo il teologo Jean Galot, nell’episodio della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta troverebbe conferma «l’estensione della maternità» della Vergine, in quanto ciò che avvenne in quella occasione dimostra che il suo ruolo materno si prolunga «nell’opera di espansione della grazia del Salvatore» (J. Galot, Maria. La donna nell’opera della salvezza, PUG, Roma 19852, 356-357), che già Elisabetta e Giovanni nel grembo ricevono al momento della sua visita.

L’orientamento ecclesiale della maternità di Maria, poi, si intravede nell’episodio della Presentazione di Gesù al Tempio (Lc 2,22-38), dove, al momento di offrire suo Figlio, Ella viene a sapere che Gesù è presente nel mondo per la resurrezione di molti, accettando così di collaborare alla Sua opera con il suo dolore/amore di Madre, prefigurato dalla spada di Simeone. 

Tale orientamento si fa ancor più esplicito negli Atti degli Apostoli, ove si menziona la Madre di Gesù nel Cenacolo nel giorno di Pentecoste (cfr. At 1,14). Vi è un evidente parallelismo tra l’episodio dell’Incarnazione, che fa di Maria la Madre del Verbo per opera dello Spirito, e quello della Pentecoste, che vede lo stesso Spirito effondersi sugli Apostoli e Maria radunati in preghiera. Dunque, agli inizi della Chiesa trova il suo prolungamento la cooperazione materna della Vergine all’azione dello Spirito iniziata con l’Annunciazione.

Che la maternità di Maria non si limiti al Verbo incarnato ma si estenda, in certo senso, a tutti gli uomini sembra un dato di fatto anche nel Vangelo di Giovanni. È quanto emerge da quei due brani “mariani” che fanno da cornice alla vita pubblica di Gesù: le nozze di Cana (Gv 2, 1-12) e la presenza di Maria ai piedi della Croce (Gv 19, 25-27).

Nell’episodio delle nozze di Cana risalta l’azione mediatrice di Maria e l’intervento di Gesù a favore degli sposi, benché non sia ancora giunta la Sua “ora” (cfr. Gv 2,4), come dichiara Egli stesso. Si rivela qui la sollecitudine materna di Maria verso gli uomini, la sua efficace intercessione, nonché la speciale relazione che intercorre tra la Madre e il Figlio, dal quale ottiene ogni grazia per noi. Il noto biblista Ugo Vanni vede anticipata nell’episodio delle nozze di Cana la maternità ecclesiale di Maria, che avrà la funzione di far sviluppare e ramificare nella storia la fede in Cristo. Maria svolge maternamente il suo compito di cogliere i bisogni degli uomini e presentarli al Figlio, rimettendo tutto a Lui con fiducia. Una cosa appare chiaramente in questo brano: 

«L’invito di Maria ai servi delle nozze di Cana può dirsi il suo testamento spirituale. Sono queste le ultime parole che i vangeli ci hanno consegnato di lei. Maria non parlerà più, ma ha detto l’essenziale. Il suo compito non è quello di aprire le finestre quando Cristo sembra chiudere le porte. Come “madre” nella Chiesa, ella prega e intercede perché i suoi figli aprano incessantemente il cuore alle parole gravi, ma liberatrici, del Signore Gesù. Esse sono “parole di vita eterna” (Gv 6, 68)» (A. Serra, Maria a Cana e presso la croce. Saggio di mariologia giovannea (Gv 2,1-12 e 19,25-27), Centro di cultura mariana, Roma 1991, 37).

A partire dall’ “ora” suprema di Gesù, quella del compimento doloroso e glorioso della Redenzione, Maria Santissima, resa Madre di tutti i discepoli del Figlio suo, sarà nella Chiesa ciò che fu a Cana. Ed è così che al momento della Crocifissione viene pienamente in luce il disegno della maternità universale di Maria, da sempre annunciata in figura. Così prega la liturgia rivolgendosi al Padre: «Ai piedi della croce, per il testamento d’amore del tuo Figlio, estese la sua maternità a tutti gli uomini, generati dalla morte di Cristo per una vita che non avrà mai fine» (Prefazio della Beata Vergine Maria III: Maria modello e madre della Chiesa, in CEI, Messale Romano, 1983).

Ecco il fondamento biblico più esplicito della maternità spirituale di Maria, secondo una linea interpretativa che va da Oriente a Occidente e, con qualche variazione, si ripete in diversi teologi e dottori medievali (In Occidente il primo è sant’Anselmo di Lucca, seguito da sant’Anselmo d’Aosta, Eadmero ed altri. In Oriente, questa interpretazione, ricorre in Giorgio di Nicomedia del IX secolo). Anche l’esegesi più recente afferma il valore “ecclesiale” del testamento di Gesù morente, a conferma delle più antiche intuizioni.

La consegna reciproca del discepolo alla Madre e della Madre al discepolo, infatti, non ha mero carattere privato. Il momento è solenne. L’“ora” della glorificazione del Cristo è giunta, ed è anche l’“ora” della massima espressione della misericordia divina; l’“ora” in cui la “nuova” maternità di Maria verso gli uomini, già adombrata alle nozze di Cana, viene stabilita definitivamente. Ella, protagonista attiva dell’Incarnazione, diviene, per volontà divina, destinataria di una missione ecclesiale ad un altro livello, che la rende protagonista dello sviluppo storico della Chiesa, dopo il ritorno di Cristo al Padre. In questo modo Maria è associata all’opera redentiva del Figlio che dà come frutto la Chiesa dei figli di Dio dispersi e finalmente radunati (cfr. Gv 11,52). 

Per concludere, l’ultima parola va al capitolo 12 dell’Apocalisse, ove campeggia la maestosa immagine della Donna vestita di sole. Come fa notare Ugo Vanni, tra i maggiori esperti dell’Apocalisse, alcuni tratti di questa immagine sembrano riferirsi direttamente a Maria, altri alla Chiesa. In particolare, non si addice a Maria il travaglio del parto, che secondo l’antica tradizione cristiana non è avvenuto nel dolore. Al contrario, tale metafora si applica perfettamente alla Chiesa che ha la missione di generare Cristo lungo la storia tra le forze avverse simboleggiate dal drago rosso e dalle due bestie delle visioni del capitolo 13.

La corona di stelle sul capo della donna, simbolo e premio di un cammino ormai concluso, è certamente sulla testa di Maria, ma non ancora su quella della Chiesa itinerante. Secondo il Vanni, la corona sul capo della Vergine ha la funzione di illuminare la Chiesa nel suo pellegrinaggio terreno con la luce di Cristo, che giunge mediante la dottrina e la testimonianza dei dodici Apostoli di cui Maria è Regina.

La Chiesa, ricevendo il dono del Figlio da Maria, viene ricolmata di Lui (la Donna della visione è incinta!) per generarlo nelle anime, lungo la storia, in una lotta dolorosa contro le forze diaboliche, nemiche di Cristo. Tuttavia, Maria e la Chiesa non si sovrappongono né si identificano: Maria genera progressivamente nella Chiesa i tratti del Cristo di cui Ella è perfetta trasparenza, ma ciò avviene sempre in proporzione alla ricettività della Chiesa stessa, quindi di ciascun fedele. La Chiesa, accogliendo il Cristo, diviene a sua volta madre per generarLo lungo la storia umana (Cfr. U. Vanni, Apocalisse libro della Rivelazione. Esegesi biblico-teologica e implicazioni pastorali, EDB, Bologna 2009, pp. 124-129).

Questa, dunque, la grandezza della maternità di Maria che, Assunta al cielo, si fa presente oggi accanto a noi per condurre la Chiesa intera alla vittoria eterna.

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