La croce non è l’ultima parola

La croce non è l’ultima parola

di don Ruggero Gorletti

6 AGOSTO – TRASFIGURAZIONE – ANNO B 

Marco 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

COMMENTO

l brano di vangelo di che abbiamo appena ascoltato, nel suo testo originale, inizia dicendo: «sei giorni dopo». Dopo che cosa? Dopo l’episodio in cui Cristo ha annunciato la sua passione e morte ai suoi apostoli.

Dopo aver annunciato la croce e la morte, sei giorni dopo Gesù mostra ai suoi discepoli un bagliore della resurrezione, come a dire: guardate che la morte non è tutto. La croce è un passaggio obbligato, ma non è la tappa finale del nostro cammino: la conclusione è la resurrezione, la gloria del paradiso, la beatitudine eterna.

Ma andiamo con ordine: Gesù prende con sé tre dei suoi apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, e li porta su un alto monte. Questi tre apostoli sono i tre che Gesù prende con sé in diverse occasioni importanti: quando richiamerà alla vita la figlia di Giairo, nell’episodio della trasfigurazione, e quando, nell’orto degli ulivi, affronterà l’angoscia che preludeva alla passione.

Questa volta li prende con sé e li porta su un alto monte, come dire che li sottrae per un po’ di tempo alla quotidianità, alle normali vicende della vita. Il monte è il luogo della rivelazione di Dio, ricordiamo, uno per tutti, Mosè sul Sinai che riceve la legge, i dieci comandamenti.

Quando sono sul monte, Gesù si trasfigura. Appare lo splendore della sua persona divina, non nascosta dalla natura umana che ha assunto divenendo uomo nel grembo di Maria.

La tradizione orientale della Chiesa ha letto l’episodio della trasfigurazione in modo un po’ diverso da come siamo abituati ad osservarlo noi. Non punta l’attenzione su Gesù ma sui tre apostoli. Noi siamo abituati a pensare: Gesù sale sul monte con i tre apostoli, e cambia aspetto davanti a loro. Guardando agli apostoli, la Chiesa d’Oriente legge l’episodio in questo modo: i discepoli sono stati accompagnati da Gesù su un alto monte, sono saliti, si sono purificati, purificati da ciò che allontana da Dio, anzitutto dal peccato, ma anche dal modo tutto umano (e quindi errato e parziale) di considerare la realtà. Hanno così ricevuto il dono della sapienza, che è il dono che ci fa vedere la realtà con gli occhi di Dio. E così hanno potuto vedere Gesù come realmente è: nello splendore della sua divinità.

I discepoli, contemplando la divinità di Gesù, hanno raggiunto la beatitudine; «è bello per noi essere qui!». Non desiderano altro, non vogliono tornare al piano. Vedono uno scorcio di paradiso, che è tutto quello che l’uomo possa desiderare. È un’esperienza che neppure si riesce a descrivere: l’evangelista Marco, che ha appreso questo episodio direttamente da Pietro, non è in grado di spiegare compiutamente quello che è successo, e infatti quasi balbetta nel descrivere l’accaduto: «le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche».

Insieme a Gesù appaiono Mosè ed Elia, che parlano con Lui. Mosè ed Elia raffigurano i due elementi fondamentali dell’Antico Testamento: la legge e i profeti. E nel brano di Luca, parallelo a quello di Marco che stiamo commentando, si dice di cosa stavano parlando: del suo esodo da Gerusalemme, della crocifissione e morte e della resurrezione.

Il brano di vangelo di oggi ci dice che la croce non è l’ultima parola, la fine di tutto. La croce e la morte sono un esodo, un passare il Mar Rosso per giungere alla terra promessa. La vera terra promessa, a cui ci conduce Gesù con il suo esodo, passando dal Calvario, è il paradiso, quella situazione in cui c’è tutto quello che serve perché possiamo essere pienamente felici e non desiderare altro. Ma se la croce non è il termine del cammino, è tuttavia un passaggio obbligato per il paradiso. La croce non vuole dire solo sofferenza, la croce indica anzitutto l’accettazione della volontà di Dio sulla nostra vita, che naturalmente comprende anche l’aspetto della sofferenza e della rinuncia. Ma sofferenza e rinuncia non sono fini a sé stesse, ci dice il brano di oggi, perché ci aprono il paradiso.

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