Il patrono dei liturgisti, San Giuseppe Maria Tomasi
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PAGINE SCELTE DA “ISABELLA TOMASI DI LAMPEDUSA – LA PIU’ GRANDE DEI GATTOPARDI“
Giuseppe Maria Tomasi nacque a Licata (AG) il 12 settembre 1649, morì a Roma, il 1º gennaio 1713. È stato un cardinale italiano, dell’Ordine dei Teatini, nominato il 18 maggio 1712 da papa Clemente XI. È stato beatificato il 29 settembre 1803 da papa Pio VII, canonizzato il 12 ottobre 1986 da papa Giovanni Paolo II. È sepolto nella chiesa di Sant’Andrea della Valle a Roma. Fu il primogenito maschio di don Giulio Tomasi, duca di Palma (di Montechiaro nel 1868 per R.D.) e principe di Lampedusa – fratello gemello ed erede di Carlo il fondatore di Palma il 3 maggio 1637 – e di Rosalia Traina, baronessa di Falconeri e di Torretta. Il 25 marzo 1666 rinunciò al maggiorascato e cedette i suoi diritti patrimoniali e feudali al fratello minore, don Ferdinando. Grande studioso di liturgia e di numerose opere a carattere biblico, teologico e liturgico, pubblicò diverse opere di liturgia. A Roma fu ammesso al circolo degli eruditi, e alla biblioteca, della regina Cristina di Svezia. Fu autore anche delle Costituzioni delle monache benedettine del famoso Monastero della Vergine Maria del Rosario di Palma. Nel 1747 tutti i suoi scritti furono raccolti in undici volumi e pubblicati. Fu detto Principe dei liturgisti romani ed è considerato uno dei patroni liturgisti.
Pubblichiamo uno dei capitoli dedicato a lui nel libro del nostro collaboratore, professor Francesco Bellanti, Isabella Tomasi di Lampedusa – La più grande dei Gattopardi (Catanzaro, Carello Edizioni, 2022) dedicato alla sorella Suor Maria Crocifissa della Concezione, dichiarata Venerabile il 15 agosto 1787 da papa Pio VI. (È la Beata Corbera de Il Gattopardo, scritto dall’ultimo erede della nobile famiglia, Giuseppe Tomasi Principe di Lampedusa).
Giuseppe, è lui il genio di famiglia. Lui conosce già tutto, la sua storia, il suo destino. Lui già sa quello che diventerà, Giuseppe Maria Tomasi il Santo. Solo lui conosce tutti i sogni di Isabella. Conosce anche i sogni del giardino, i sogni che Isabella fa nel suo giardino, ma lui vuole governare i sogni di Isabella, il mondo deve conoscere solo i suoi sogni. Perché lui è un genio. Lui nasce destinato alla corte del re di Spagna, o al Papato, a qualcosa di grande. Lo zio Carlo gli prepara la strada, il Duca Padre e la Duchessa Madre preparano il suo tempo, il suo destino. Lui è il primogenito maschio ma rinuncia al Ducato, rinuncia ai suoi diritti di primogenitura in favore di Ferdinando. Lui studia a Messina, Ferrara, Modena, Roma, conosce il latino, il greco, l’ebraico, il siro-caldaico, l’etiopico, l’arabo. Conosce tutte le lingue, forse conosce anche la lingua di Dio. Lui è il genio, è il riformatore del culto divino, della Sacra Liturgia. Lui è l’intellettuale dalla cultura immensa, amico di artisti, poeti e scrittori, di papi e di regine, vive a Roma, al centro del mondo.
Giuseppe è lo scrittore fecondo, quegli che ha capito il secolo, è il teatino dalle grandi doti spirituali, tutta Europa lo apprezza. È il Cardinale che può diventare santo, che diventerà Santo. Giuseppe non è minore, Giuseppe è grande. Lui è l’erudito, l’intellettuale di prestigio della Regina di Svezia, colui che dedica alla Regina Cristina i suoi capolavori. Lui è il colto del suo salotto, è l’amato dai dotti. Giuseppe è lo studioso eccelso, si occupa di tutto, anche della piccola nuova Terra di Palma. Scrive le Costituzioni delle monache benedettine del Monastero della Vergine del Rosario di Palma. Si occupa di Palma, fonda il Collegio, l’Istituto delle Scuole Pie, chiama i Padri Scolopi a gestirlo. Giuseppe completa l’opera del padre, il Duca Santo.
Sono quattro gli edificatori della nuova Terra di Palma, Giuseppe, il Duca Santo, Carlo, Isabella. Giuseppe è il sacerdote, il maestro umile, che non indossa la porpora di seta, che rifiuta il titolo di eminenza. La sua casa è modesta, quasi disadorna, con una corte di persone umili ai quali darà tutto il patrimonio. Lui è sepolto a Roma come i grandi, in una sontuosa urna. Giuseppe è il Cardinale, il Beato, il Santo. Giuseppe parla con Isabella, è la guida di Isabella, perché lui, sì, è lui il genio della famiglia. È lui il direttore spirituale, lui che governa il misticismo di Isabella. I sogni di Isabella. Lui non deve essere il santo colto eppure lo sarà, Isabella sì, lei è obbediente semplice ignorante, lei è la monaca umile pastorella rinchiusa in una cella.
Giuseppe veglia su di lei, lui conosce tutte le leggi della Chiesa, è l’erudito, l’intellettuale, lo studioso. Lui conosce anche i sogni, i sogni di Isabella. Isabella deve avere i suoi sogni. Isabella vorrebbe inseguire i suoi sogni e invece deve mortificare il suo corpo, e il suo corpo è pieno di malattie, è piagato, è sofferente, le torture e le mortificazioni lo hanno indebolito. Giuseppe vigila anche sulle flagellazioni di Isabella.
Perché Giuseppe è la scienza, è il recupero della memoria, è la filologia, è la dottrina, la teologia, è il futuro della Chiesa. Lui è il cardinale, è l’erudito, è il genio. Lui è il filologo eccellente, il ricercatore della verità. Lui è il teologo, il filosofo. Sì, lui conosce le lettere, conosce il latino, conosce il greco, conosce l’ebraico, conosce le lingue. Giuseppe è il gran conversatore, l’uomo di mondo, l’uomo dei salotti e delle biblioteche, il teatino educatore dei nobili, il favorito della regina Cristina di Svezia.
Isabella vuole giungere a Dio attraverso la purezza, Giuseppe con l’intelletto, con la scienza. Due fratelli, due strade, una sola luce. Lui è l’erudizione congiunta alla pietà, lui è il cattolico illuminato. Lui è il riformatore. La devozione dev’essere contenuta, dice Giuseppe, gli eccessi, le straordinarie rappresentazioni allontanano da Dio. Giuseppe è l’autorità dei padri e dei secoli, è la liturgia che fa vivente la Chiesa. Lui vuole andare incontro al popolo, ma il popolo è ancora lontano. Il popolo non conosce la lingua dei cardinali, non conosce la lingua della Chiesa, non conosce il latino. Il popolo conosce solo la lingua di Isabella.
Giuseppe è lontano, molto lontano. Giuseppe è lontano da Palma, lontano dal popolo, lontano da Isabella. Giuseppe è la guida del Monastero da Roma, è la guida di suor Serafica, la guida di suor Maria Lanceata, è la guida di suor Maria Crocifissa, nel mondo Isabella. Giuseppe è la disciplina di Isabella, quella che governa il suo misticismo, il suo fervore, il suo percorso di santità. Giuseppe vuole istruire i poveri, gli umili, i figli dei poveri con la dottrina cristiana di Bellarmino, con l’autorità della Chiesa.
Giuseppe è la finestra sul mondo di Isabella, è il confessore, lei gli chiede libri, consigli, gli chiede di essere presente per lei nei luoghi santi, di visitare per lei il mondo. Giuseppe è lo sguardo di Isabella. Ma Giuseppe ha bisogno del tormento di Isabella per trovare la pace. La sua malinconia, la sua ipocondria, i suoi cattivi umori trovano riparo nell’anima umile di Isabella. La sua superbia, la sua presunzione, le sue tribolazioni spirituali, le sue tentazioni orribilissime di scrupoli, di cadute, di peccati, di negligenze e di vizi, trovano pace nell’anima pura di Isabella. È lei che vince, Isabella, la più piccola, l’umile serva di Dio, la Venerabile. La mano tremante che invoca, giunge a Dio.
Le piaghe di Isabella sono le piaghe di Giuseppe, così i tormenti, le disperazioni, le tentazioni del Demonio. Isabella teme il Demonio, teme che tutto sia opera del Demonio, le manifestazioni che segnano la carne, le ferite, le lacerazioni. È lei la più forte, Isabella, non l’apostolo, non il predicatore, che può servirsi del mondo per giungere a Dio. Lo sguardo di Isabella è quello del fratello, percorre le tortuose strade del mondo. Ma lo sguardo di Isabella va oltre lo sguardo di Giuseppe, va oltre le quattro mura del Monastero, valica monti vola sui mari, va nelle estreme solitudini dei deserti, nelle foreste, nei confini indistinti dell’Oriente, nelle memorie e nei ricordi dei grandi viaggiatori cristiani in Cina e in Giappone.
Lo sguardo di Isabella va nelle foreste dei grandi mistici, dei grandi solitari, degli eremiti, degli anacoreti, degli avatara, degli illuminati. Isabella è la più forte perché il suo sguardo oltrepassa mura e serragli, sfugge con la sua mente alla via segnata dal potere, l’autorità, il prestigio di Giuseppe. Isabella ora è perfetta e santa, il mondo vuole entrare in lei, vuole parlare con lei, vuole scrivere a lei, e lei risponde, ed è una gran fatica, la gloria le toglie lo spazio, le toglie il tempo, le toglie il respiro. Lei ha un suo percorso che il potere non può conoscere, lei va oltre la fama, le visioni, le scritture e la leggenda su di sé. Isabella soffre lo sguardo del padre spirituale, si sente spiata dalle consorelle, scrivono per lei, parlano per lei, vogliono costruire la loro santa. No, non è quella la fama che desidera, quella della Sicilia, della patria, dei parenti, dei conoscenti. Lei vuole fuggire dal Monastero, andare in un altro chiostro lontano, molto lontano, ma la Sicilia non è l’Oriente.
Isabella vuole una “commutazione di loco”, vuole andare via, in un “loco più incognito e di maggior penitenza”, in realtà vuole andare via per le strade del mondo. Isabella vuole volare, non vuole essere controllata, spiata, come un animale in un laboratorio. Lei è grande, non vuole restare in un mondo piccolo, Palma è piccola, il Monastero è piccolo. Troppi parenti vigilano su di lei, prima lo zio Carlo, la Duchessa Madre, il Duca Padre, poi il fratello Giuseppe, la sorella badessa, le altre sorelle. Io sono peccatrice e loro mi credono santa, lei dice. Stai tranquilla, le dice Giuseppe, con questa mania mistica, che il mondo non sa nemmeno che esiste Palma col suo Monastero.
Ma lei non vuole annullare sé stessa, il suo ideale mistico non è “nell’annegazione di sé”, lei vuole uscire, agire. È frustrata, Isabella. Lei vuole disobbedire, dire di no, partire, operare. Una vita non passiva, non nell’assoluta rinunzia. Isabella come Teresa vuole fondare monasteri, vorrebbe cominciare da Scicli. Vuole conoscere regnanti, cardinali, papi. Vorrebbe ritornare a “quei benedetti tempi a “quei benedetti tempi in cui li S. Apostoli, li martiri di Christo non otiorno momento per propagare la nostra santa Fede”, a confronto “de’ nostri immarmoriti tempi”.
Ormai è tardi, per Isabella. Ha già percorso tanta strada. Anche se ha il fuoco dentro. Lei deve rinunciare ai suoi sogni, ai suoi ultimi sogni. Lei invoca la croce dell’annichilamento, dove c’è posto anche per la rovina dell’anima, per il perdono del peccato, dell’annullamento della propria femminilità. Isabella vuole andare oltre l’apparenza, oltre gli inganni, nella profondità del puro essere, nel totale abbandono, nel mondo senza clamori, nella storia senza storia, nel silenzio di Dio. Isabella non può andare via dal Monastero, la Chiesa non vuole, Giuseppe non vuole, la comunità, il suo popolo non vuole. Ma questo castigo è la sua gloria, Isabella deve restare nella sua terra, deve restare a Palma, in un tempo che non produce più santi. Lei ha dietro di sé il vuoto di una famiglia, il vuoto della storia, lei deve riempire questo vuoto, il vuoto della sua terra, lei, Isabella Tomasi di Lampedusa, la più grande dei Gattopardi.
Sì. Ormai è tardi, per Isabella. Ha già percorso tanta strada. Anche se ha il fuoco dentro. Anche se ha ancora i sogni. I sogni che Giuseppe non conoscerà mai. I sogni che arrivano in un luogo dove lo sguardo degli altri non arriverà mai. I sogni di Isabella che volano sui secoli e giungono a noi. Non indugiamo più, andiamo a vedere questi sogni.