Il Piano Mattei per l’Africa e l’anomalia Eritrea

Il Piano Mattei per l’Africa e l’anomalia Eritrea

di Habte Weldemariam


L’ITALIA NON CHIUDA GLI OCCHI SUL REGIME OPPRESSIVO DEL PRESIDENTE ISAIAS AFWERKI

Il 25 e 27 Giugno scorso la terza Commissione affari esteri e difesa del Senato della Repubblica, guidata dalla presidente, senatrice Stefania Craxi, insieme al vicepresidente, senatore Roberto Menia, e al senatore Enrico Borghi si è recata in missione in Eritrea. La delegazione ha avuto un lungo colloquio con il presidente eritreo Isaias Afwerki, nel quale si è discusso di cooperazione bilaterale in diversi settori e della sicurezza nella regione del Corno d’Africa e del Mar Rosso. La presidente Craxi e il presidente Isaias hanno concordato sull’importanza per Roma e Asmara di lavorare congiuntamente per costruire pace e stabilità nella regione. Fin qui le informazioni raccolte dall’ambasciata italiana in Asmara; l’unica ambasciata tra i Paesi Ue presente e che sarà designata come sede privilegiata per “monitorare” lo svolgimento e la promozione del Piano Mattei in Eritrea.

Nella storia coloniale l’Italia si presenta spesso come un paese che non essendo legato a un lungo passato in Africa può essere percepito come molto più neutrale rispetto ad altri paesi europei, in particolare la Francia. Paradossalmente, però, l’Italia non è oggi il giocatore neutrale che dice di essere. Il nazionalismo del governo Meloni si rifà a una tradizione più antica, che fin dall’unità d’Italia non ha fatto mistero delle sue mire coloniali, in particolare in Africa orientale.

Mentre il periodo successivo alla seconda guerra mondiale ha segnato una netta discontinuità con le politiche precedenti, il governo Meloni sta chiaramente rispolverando una “politica africana” e una certa “politica di potenza” che era stata abbandonata nell’Italia del dopoguerra.

Come scrive uno storico eritreo, «il colonialismo italiano, spesso frettolosamente liquidato come un colonialismo minore, ha lasciato tracce profonde nella società eritrea». Tra queste una delle più evidenti, ma anche più contraddittorie, è sicuramente quella rappresentata dalle aree urbane. Nell’architettura della capitale eritrea, Asmara, per fare un esempio – oggi patrimonio mondiale dell’Unesco, per la sua architettura modernista, progettata da architetti visionari in epoca fascista – si può rileggere la storia del colonialismo italiano.

Un partenariato strategico tra l’Italia e l’Eritrea, su quattro settori prioritari di intervento è quanto auspicato da parte Eritrea nel corso del vertice bilaterale con il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che si è svolto alla presenza di una rappresentanza delle grandi imprese italiane nel quale si è parlato di energia rinnovabile, acqua, manifatturiero e infrastrutture per lo sviluppo stradale, ferroviario e della portualità. In tutti questi settori strategici infatti l’Eritrea conta ancora sulle infrastrutture lasciate dagli italiani più di un secolo fa, come la stazione di Asmara, da dove parte il collegamento ferroviario verso Massaua realizzato dagli italiani; la fabbrica di vetro, anche questa realizzata dagli italiani ed abbandonata; gli stabilimenti tessili, ecc.

Alla delegazione italiana è stata poi mostrata una diga recentemente realizzata con un impianto fotovoltaico, un allevamento intensivo e una zona agricola recentemente convertita a piantagione. Nuove collaborazioni sono invece state prospettate nel settore minerario, nell’allevamento, nel turismo e nel trasporto aereo, in campo sanitario e farmaceutico e per il recupero del centro storico di Asmara .

Il ministro Urso ha commentato positivamente, affermando che «emerge ovunque il desiderio di Italia e la consapevolezza che il nostro Paese può svolgere proprio oggi un ruolo fondamentale per lo sviluppo eritreo e per la stabilità dell’area (…) Le imprese italiane hanno una naturale predisposizione a lavorare in Eritrea, come dimostrano i consolidati rapporti sviluppati negli anni e la presenza tangibile dell’Italia ovunque vi sia un sito produttivo, chiaramente ancora visibile nei macchinari e nel know-how».

Tale partenariato strategico tra l’Italia e l’Eritrea tra l’atro consentirebbe a questa nazione di uscire dal suo isolamento storico. E siccome ha con l’Italia rapporti storici e culturali profondi, avrebbe la possibilità di costruire un futuro in sicurezza aprendo una nuova importante fase, con il contributo decisivo delle sue imprese in settori primari per lo sviluppo di questa area prioritaria per il Piano Mattei.

Secondo molti osservatori, anche internazionali, il piano sembra però eccessivamente concentrato sui combustibili fossili, mentre organizzazioni della società civile africana sono preoccupate che l’Italia continuerebbe a chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani e sul rispetto dello stato di diritto in alcuni Paesi coinvolti come, appunto, l’Eritrea.

Politicamente l’Eritrea rimane una dittatura, rendendo impossibile la partecipazione politica ai cittadini, mentre i diritti civili, la libertà di espressione e di riunione sono assenti e i diritti umani regolarmente violati. Organizzazioni che si occupano dei diritti umani come “Amnesty International”, “Human Rights Watch”, “International Federation for Human Rights”, Human Rights First” e “Interights” puntualmente denunciano ogni anno la violazione dei più elementari diritti umani in Eritrea riportando drammatiche testimonianze.

Responsabile del clima di oppressione e repressione è il presidente Isaias Afwerki, 78 anni, ex leader del Fronte popolare Eritreo per la lotta per l’indipendenza del paese. I critici affermano che ha creato uno stato paria mentre secondo l’analista ghanese Fidel Amakye Owusu «ciò che la Corea del Nord significa per il mondo l’Eritrea significa per l’Africa essendo uno Stato solitario, riservato e isolato».

Nel BTI Eritrea Country Report 2004 si legge: «L’Eritrea continua a funzionare come uno stato di sorveglianza e ad aderire a un’economia pianificata e a un sistema politico autocratico. Ufficiali militari di alto rango sono coinvolti in attività illegali, tra cui il contrabbando di beni e la tratta di esseri umani che cercano di lasciare il paese. Inoltre, gli ufficiali militari applicano le proprie normative nelle regioni amministrative sotto il loro controllo, mentre l’apparato amministrativo civile è impotente. I leader militari e dell’unico partito PFDJ continuano a gestire i propri negozi. (…) La carenza all’accesso di bisogni primari dei cittadini è quotidiana: i blackout dell’elettricità, carenza di carburante, acqua potabile. Anche la situazione nutrizionale nel paese è peggiorata nonostante i massici rimesse della diaspora.  Il governo non ha investito i ricavi delle attività minerarie o i fondi motivati politicamente ricevuti da paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti per migliorare la situazione della popolazione, che soffre di scarsità di beni. I cittadini non sono in grado di comunicare interessi civici senza il rischio di arresto. In assenza di meccanismi di libero mercato, il commercio di import-export è rimasto sotto la stretta presa dell’élite del partito al governo».

 «Da trenta tre anni l’Eritrea non ha Costituzione, e non è stata redatta alcuna nuova costituzione. Il servizio nazionale, un obbligo a tempo indeterminato che le agenzie delle Nazioni Unite hanno etichettato come lavoro forzato istituzionalizzato, continua a essere applicato senza alcuna riforma, esacerbando la situazione. Gli uomini di età compresa tra 18 e 60 anni e le donne di età compresa tra 18 e 27 anni sono costretti a prestare servizio militare o nel servizio nazionale».

 «Il PFDJ al potere è l’unico partito politico autorizzato a esistere e, insieme all’esercito, mantiene il monopolio dell’economia. Tutte le imprese statali sono controllate dall’Hdri Trust Fund, di proprietà del partito, e il monitoraggio finanziario esterno non è consentito».

Documenti come questo sono tanti, più che sufficienti per chiedere il Governo italiano di valutare bene la cooperazione con un uomo autoritario come il presidente eritreo Isaias Afwerki.

In conclusione, tornando al progetto del Governo italiano, se il Piano riuscirà a costruire un approccio inclusivo e di lunga durata, che riunisca quanti più attori possibile e se sarà adeguatamente finanziato e ben coordinato con i principali partner europei e internazionali tenendo pienamente conto del settore privato potrà portare a un vero e proprio cambiamento di paradigma equivalente del FIIAPP spagnolo o dell’Expertise France francese, che si sono trasformati in strumenti di grande successo per mobilitare competenze tecniche pubbliche a supporto della progettazione e dell’implementazione di progetti in Africa e altrove.

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