Piano Mattei, le aspettative della diaspora e dei governi
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UN PONTE PER UNA CRESCITA COMUNE MA GLI AFRICANI VOGLIONO PARTECIPARE
Il 25 Ottobre 2022, durante il suo discorso inaugurale alla Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha sviluppato il tema della necessità per l’Italia di promuovere un rinnovato rapporto con l’Africa, nella forma di un “Piano Mattei”, descritto come un modello virtuoso di collaborazione e crescita tra Unione Europea e paesi africani. L’annuncio di un “piano Mattei” è simbolico sotto diversi aspetti. Innanzitutto, pone l’azione esterna del governo Meloni sotto la figura tutelare di Enrico Mattei, fondatore della compagnia nazionale dell’energia ed ex comandante del gruppo combattente “Fiamme Verdi” durante la seconda guerra mondiale, rivendicando così la continuità con una tradizionale linea di politica estera italiana.
Come promessa, a fine Gennaio 2024, l’Italia ha ospitato un vertice sull’Africa durante il quale il premier Giorgia Meloni ha delineato la visione e i primi progetti del “Piano”, che mira a dare forma alla strategia dell’Italia per l’Africa negli anni a venire.
“Un ponte per una crescita comune” era il titolo della Conferenza Italia-Africa, riportando così l’Africa tra le massime priorità della politica estera italiana. Il Piano Mattei ha suscitato molte aspettative in Italia, in Africa e nell’Unione Europea ricevendo un’accoglienza molto calorosa da parte di diversi attori chiave africani ed europei, con la partecipazione di 13 capi di Stato, 9 capi di Governo, 5 vice presidenti, con i rappresentanti di 25 organizzazioni internazionali. A loro vanno aggiunti ministri e ambasciatori dei 46 Paesi africani, oltre ai ministri degli esteri e ai massimi rappresentanti dell’Unione Europea (Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel), della Banca Mondiale, del FMI, dell’OCSE e di molti altri che hanno partecipato al vertice di Roma.
Secondo quanto emerso dal summit, il Piano Mattei sarà inizialmente composto da nove progetti pilota in Algeria, Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Costa d’Avorio, Kenya, Marocco, Mozambico e Tunisia, concentrandosi su cinque pilastri chiave – istruzione e formazione, agricoltura (compresa la sicurezza alimentare) salute, energia e acqua. Meloni ha elencato poi diversi altri progetti pilota nell’ambito di ciascuno di questi pilastri, rivolti a diversi paesi africani, con l’obiettivo finale di replicarli nell’intero continente.
Il Piano mira a costruire una nuova forma di partenariato con i paesi africani, attraverso un “approccio incrementale” in cui obiettivi e target chiave sono co-progettati con i partner, e che sarà implementato in sinergia con le iniziative europee in corso come “Team Europe Initiatives” e “Global Gateway”.
Ma poiché il Piano ha suscitato grandi aspettative, deve fornire risultati concreti con una prospettiva di lungo termine e con livelli adeguati di risorse finanziarie. In questa partecipazione positiva però, deve essere ascoltata la richiesta fatta da Moussa Faki, presidente della Commissione dell’Unione Africana, di sviluppare piani in consultazione con gli stati africani: «Dialogo e partnership saranno fondamentali per il successo del Piano, evitando un approccio dall’alto verso il basso guidato dal vecchio paradigma donatore-beneficiario».
Anche durante l’incontro a Palazzo Madama, dopo la presidente del Consiglio e il ministro degli esteri Antonio Tajani, Moussa Faki ha preso la parola, ribadendo tra l’altro che in questa iniziativa così importante «avremmo voluto essere consultati» per le modalità di attuazione del Piano.
Per comprendere la rilevanza di questo commento è necessario contestualizzarlo. Nell’intenzione del governo italiano infatti il Piano doveva essere redatto insieme ai Paesi africani, come esplicitato dalla Meloni in occasione delle varie visite fatte in precedenza nel continente africano. La premier aveva insistito su questo punto più volte: il Summit non sarebbe stato una “scatola chiusa” da imporre dall’alto ai Paesi africani. D’altro canto, è stata anche fortemente rimarcata la totale assenza della società civile italiana e africana. Tutto sommato, resta da capire come si svilupperà una cooperazione efficace con i partner africani a più livelli – coinvolgendo sia i leader sia la società civile, come è peraltro previsto dalla legge che ha istituito il Comitato direttivo del Piano – e in diverse fasi: dalla definizione del progetto all’implementazione, senza dimenticare la dimensione chiave della valutazione d’impatto.
Un altro soggetto da coinvolgere è la diaspora africana in Italia che, come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella alla cena di apertura del Summit, ha contribuito fortemente a rafforzare il legame che unisce l’Italia ai Paesi africani.
Il Summit e i relativi annunci sul Piano Mattei rappresentano chiaramente solo un primo passo di un processo che sarà necessariamente lungo e complesso. Se stiamo assistendo a un vero «cambio di paradigma», come Giorgia Meloni sostiene e spera, lo vedremo tra qualche mese, soprattutto riguardo i Paesi che hanno un forte legame, anche storico, con l’Italia.