L’uomo nella Costituzione americana

L’uomo nella Costituzione americana

di Marco Andreacchio

FINCHÉ CERCHEREMO LA NOSTRA IDENTITÀ AL DI FUORI DEL BENE COMUNE, L’UNITÀ DI “VITA, LIBERTÀ E PERSEGUIMENTO DELLA FELICITÀ” RIMARRÀ PER NOI UNA CHIMERA

“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità” (Dichiarazione di Indipendenza, 4 luglio, 1776).

Coloro che giurano sinceramente fedeltà alla Costituzione americana ritengono che queste verità enunciate nella Dichiarazione del 1776 siano evidenti, cioè che tutti gli uomini sono creati uguali: creati uguali secondo la legge, il che significa che la legge tratta tutti i cittadini come aventi gli stessi diritti dati da Dio e che sono per ciò inalienabili.

La Costituzione fornisce una rivendicazione giuridica (evidentemente non assoluta) della dignità dell’essere umano sotto Dio. I nostri diritti dovrebbero essere concepiti come derivanti da nientedimeno che Dio – un Dio che è fonte assoluta (terminus a quo) e fine ultimo (terminus ad quem) di tutti i diritti. Tutti coloro che hanno la benedizione di possedere diritti concessi da Dio sotto una Costituzione legale sono come Uno (e pluribus unum): tutti ugualmente cittadini di una nazione e come tali partecipi di un commonwealth (1).

La Costituzione americana, così come ci dimostra la Dichiarazione del 1776, non definisce l’uomo in quanto uomo (l’anthropos), ma in quanto cittadino rispetto alla legge e a Dio. In effetti, è evidente che non siamo tutti intellettualmente e moralmente uguali; né dovremmo esserlo nel nostro mondo decaduto. Dio non ci definisce come uomini uguali sulla base delle nostre differenze morali, intellettuali, ecc., ma legalmente e quindi nell’interesse del bene comune (utilitas publica) che tutti dobbiamo servire (ciascuno di noi relativamente alle sue limitazioni personali). Al di là della nostra definizione legale, tuttavia, i nostri destini non sono affatto uguali. Per quanto riguarda l’essenza dell’uomo, o ciò che l’uomo è in definitiva (non semplicemente ciò che sembra essere), qui siamo di fronte ad un mistero divino, anche se questo mistero si manifesta in molteplici modi concorrenti (relativamente alla mente divina).

Ciò che la Costituzione non fa è definire l’uomo in quanto uomo. In effetti, non abbiamo alcuna definizione universale dell’uomo. Qualsiasi definizione del genere implicherebbe la riducibilità dell’uomo in quanto uomo ad una definizione; comporterebbe dunque una concezione legalistica dell’umano. Sia dunque chiaro che l’assenza di una definizione universale dell’uomo non dipende dalle nostre differenze, ma dal nostro trascendere la totalità delle nostre differenze in un mistero divino che trascende a sua volta qualsivoglia legge (2). Pertanto non siamo definiti come esseri umani dalla Costituzione giuridica di alcuna nazione, ma da Dio stesso e nella mente di Dio, sito proprio del nostro giudizio finale.

Nella nostra “Era della Morte di Dio” gli uomini tenderanno inevitabilmente a lottare per definirsi rispetto alle loro differenze. Laddove reputiamo che Dio non ci definisce nell’abisso della sua mente infallibile (mente che non erra, per dirla con il buon Dante), e nella misura in cui non accettiamo di essere definiti assolutamente da mere costituzioni giuridiche, siamo spinti a definirci relativamente alle nostre differenze, le più evidenti delle quali sono fisiche. Di conseguenza  – e qui nulla di sorprendente  –  per la più parte oggi ci ritroviamo a lottare quotidianamente tra di noi basandoci principalmente su apparenze fisiche, in competizione relativamente a vane considerazioni, contro gli interessi di qualsiasi bene comune.

Non vi è via d’uscita da questa tendenza distruttiva se non nel ritorno a un’antropologia legata ad una concezione matura sia della legge che di Dio; una  concezione che implichi che tutti gli uomini sono uguali legalmente – cioè al servizio del bene comune di una nazione – essendo radicati in definitiva in Dio. In altre parole, siamo da Dio nel contempo ugualmente uomini e cittadini: tutti creati uguali in quanto cittadini (uniti sotto una Costituzione legale), affinché tutti possiamo elevarci – necessariamente in modo diseguale – al riconoscimento della nostra identità – quindi di ciò che siamo fondamentalmente – in un mistero divino che trascende qualsiasi definizione giuridica e a maggior ragione la totalità delle nostre differenze biologiche.

Il nostro essere «tutti creati uguali» indica che siamo cittadini a partire da Dio – che non siamo uguali se non rispetto a Dio – e quindi che la strada che mena a Dio è contemporaneamente quella del servitore del bene comune. Finché cercheremo la nostra identità al di fuori del bene comune, l’unità di “vita, libertà e perseguimento della felicità” rimarrà per noi una Chimera. Perché allora vivremmo perseguendo non una felicità compatibile con la libertà, ma fini che sono distruttivi delle nazioni e che tendono inesorabilmente a rendere la vita brutale.

(1) La tendenza odierna ad invocare diritti umani in un contesto radicalmente secolare e dunque planetario contribuisce ad oscurare il senso della Dichiarazione del 1776 e per conseguenza quello della Costituzione del 1787.  Secondo l’ideologia globalista, i “diritti umani” sarebbero definiti in un contesto strettamente evoluzionistico che invita la tecnologia a gestire il nostro “ambiente” senza presupporre alcuna distinzione essenziale tra l’uomo e la bestia.  Qui, non solo si estende il diritto in linea di principio a qualsiasi essere vivente (dove per vita si intende l’organizzazione di un “ecosistema,” termine che presuppone come finalità un’autonomia immanentista universale), ma si relativizza il diritto umano diacronisticamente, aprendo le porte ad un revisionismo comportante la possibilità di stabilire universalmente che l’uomo in quando specie è d’intralcio alla consolidazione di un sistema biologico ideale.

(2) La questione delle differenze non è risolta “biologicamente”, o definendo particolari relativamente ad una specie  biologica (definita a sua volta da una selezione di tratti distinti). “La specie umana” non è minore astrazione che qualsiasi definizione giuridica dell’uomo; anzi, in quanto “classe” a cui apparteniamo, è meno certa, essendo concretamente meno primordiale della classe nazionale (che di sia qui di lezione l’associazione semantica sottolineata da Giambattista Vico tra nazione, natura e nascimento). Molto prima di iniziare a considerarci appartenenti ad una specie biologica/fisica, giungiamo a conoscerci in termini di appartenenza sociale/familiare. Il fisico in quanto tale è un’astrazione che presuppone realtà socio-politiche.

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