La legge del Signore deve essere amata prima ancora di essere rispettata
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SABATO DELLA DECIMA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
Dal vangelo secondo Matteo 5,33-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».
COMMENTO
L’insegnamento de Signore tocca la sostanza del nostro vivere quotidiano, vuole che incida nella nostra vita di ogni giorno. La legge del Signore deve essere amata prima ancora di essere rispettata, deve essere osservata con il cuore. Non la si può applicare come una legge fiscale, che viene obbedita perché si è obbligati a farlo, ma si cerca di farlo nel modo meno oneroso possibile. Questa sarebbe la giustizia degli scribi e dei farisei, che non ci fa entrare nel regno dei cieli.
Gesù ci insegna come la giustizia di Dio illumina l’uso della parola: è troppo poco evitare gli spergiuri e la falsa testimonianza in tribunale. Occorre invece coltivare una lealtà interiore, un’abitudine al parlare schietto, dove sì vuol dire sì e no vuole dire no.
Il Signore ci da una legge morale non per aggiungere un peso alla nostra vita, che talvolta è già pesante di suo, ma per liberarci dal peso del peccato e guidarci ad una vita più giusta, più gioiosa. È una dottrina liberante, ma è anche impegnativa e totalitaria. Il Signore proprio perché ci stima e ci ama è anche esigente con noi. Sta a noi scegliere da che parte stare. Dice il libro del Siracide: «davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,17).
La nostra vita è una continua scelta tra il bene e il male, tra la giustizia e il peccato. La giustizia, nella Bibbia, è fare la volontà di Dio. Ciò che ci aspetta, la termine della nostra vita terrena, sarà conseguenza di ciò che avremo liberamente scelto in questa vita.
Le letture di oggi, in ‘particolare il Vangelo, ci mettono davanti alla tremenda serietà di una vita terrena che altro non è che la breve preparazione alla vita vera, che può essere di infinita gioia, ma anche di infinita tragedia. È un richiamo alla misericordia, ma al contempo anche alla giustizia di Dio.
L’insistenza unilaterale che oggi spesso si fa sulla sola misericordia di Dio dimentica ciò che la Bibbia, e il magistero costante della Chiesa – il solo che interpreta la scrittura secondo verità – ci insegnano: cioè che Dio unisce all’infinita misericordia anche l’infinita giustizia. Dio è il Padre amoroso che ci aspetta a braccia aperte, al termine della nostra vita, ma nel contempo è il giusto giudice che peserà sulla sua infallibile bilancia il bene e il male delle nostre azioni. Nascondere uno di questi due aspetti di Dio non è cattolico, e soprattutto non è vero, in altre parole è falso. Il paradiso ci attende, e il paradiso è un dono di Dio, ma non possiamo dimenticare che per poterlo avere non lo dobbiamo rifiutare, allontanandoci dalla via del bene che il Signore, con i suoi comandamenti ci indica.