La razionalità e la libertà del cattolicesimo
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“L’UOMO PUÒ CAPIRE TUTTO CON L’AIUTO DI QUELLO CHE NON CAPISCE” (G.K. CHESTERTON)
È con la consueta inclinazione al paradosso e all’ironia che G.K. Chesterton (1874-1936) ci parla di un’esperienza eccezionale, come la sua conversione religiosa, avvenuta nel 1922. Qualsiasi convertito, come chi scrive, ha un ricordo che non finisce mai dei primi avvicinamenti e dei moti interiori dell’anima, che desiderano capire, sgomberando il campo da ogni forma di pregiudizio.
Nelle pagine de “La Chiesa Cattolica – dove tutte le verità si danno appuntamento”, come sempre eleganti, brillanti, appassionate, Chesterton accompagna l’anima che si interroga continuamente del convertito attraverso le tre fasi che precedono l’ingresso nella Chiesa Cattolica: l’assunzione di un atteggiamento completamente onesto nei confronti di essa; la sua progressiva e irresistibile scoperta; l’impossibilità di abbandonarla.
La religione più antica si rivela sorprendentemente la più nuova, soprattutto delle cosiddette religioni nuove – come protestantesimo, socialismo o spiritismo – perché, a differenza di esse, da duemila anni la tradizione e la verità cattoliche conservano intatta la propria validità. Le fonti della Rivelazione si dimostrano immutabili e perennemente attuali, perché Parola di Dio nelle Sacre Scritture o doni dello Spirito Santo, attraverso la Santa Tradizione.
Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) fu un religioso gesuita che si distinse per l’eterodossia della sua concezione filosofica e teologica e per l’inconsistenza della sua preparazione scientifica. Il fulcro del suo pensiero è l’adorazione della Materia, su cui egli fonda una cosmogonia evoluzionista e panteista.
Jacques Maritain definì la sua cosmogonia «una grande fiaba»; per Etienne Gilson, Teilhard contrappone «al Cristo storico del Vangelo, un Cristo cosmico al quale non crede alcuno scienziato»; per il cardinale Journet, Teilhard dissolve le nozioni cristiane di «creazione, spirito, male, Dio, peccato originale, croce, resurrezione, parusia, carità».
Nel Monito del 30 giugno 1962 del Sant’Uffizio, si affermava che «vengono diffuse alcune opere, anche postume, del Padre Teilhard de Chardin, che ottengono non poco successo. A prescindere dal giudizio su quanto riguarda le scienze positive, risulta abbastanza chiaramente che dette opere abbondano di ambiguità, e, persino, errori gravi in materia filosofica e teologica, tali da offendere la dottrina cattolica».
Per Chesterton, al contrario del teologo gesuita, il solido fondamento dell’ autentica universalità (al di là dell’azione della Grazia, mistero sempre sotteso alla fede) risiede nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo. “Trovai, per parlar chiaro, che non c’era più una sola ragione di appartenere alla fede protestante – scrisse ne “Il Soprannaturale è naturale” (Ed. Marietti, 1820). “Vedevo, con mio grande stupore, molti dei miei colleghi liberali avidi di proseguire la lotta protestante, pur non avendo più la fede protestante. Non ho nessun titolo per giudicarli, ma devo dire che mi pareva una mancanza d’onore piuttosto grave. Scoprire che si è calunniato qualcuno di qualcosa, e rifiutargli la riparazione; anzi, architettare un’altra storiella più plausibile contro di lui, per seguitare a nutrire lo spirito della calunnia, mi parve fin dal principio una maniera molto misera di comportarsi”.
Che cos’è, dunque, ragionevole per Chesterton? La fede, o, come lui dice la “credulità”, quel metodo di conoscenza per cui affermo come vero per me quello che ho ascoltato da altri. La ragionevolezza parte dal realismo. C’è un dato, l’esistenza, che non è frutto di una scelta, ma oggetto di riconoscenza. Non come crede la modernità, dimenticando che l’abortista può chiamare “diritto” la soppressione volontaria di un concepito, come se uccidere in grembo materno fosse un desiderio lecito, solo perché il diritto positivo si permette di sopprimere quello naturale.
Un uomo, io, quello che incontro per strada, è di per sé stupefacente «Quel ragazzo avrebbe potuto essere un grande», si dice di solito di una mancata promessa, ad esempio nel calcio. «No», risponde Chesterton. «Quel ragazzo è un grande perché avrebbe potuto non essere» (Ortodossia). Che grande lezione per Emma Bonino e sodali!
La vera tentazione del pensiero moderno non era il materialismo, ma lo spiritualismo. I pensatori moderni non hanno avuto il coraggio di essere materialisti fino in fondo, non sono mai saliti così in alto (come san Francesco) perché non sono mai scesi così in basso, non si sono mai messi nudi sulla nuda terra.
Per Chesterton «soltanto l’opera divina è materiale nella creazione di un mondo materiale: quella del demonio resta puramente spirituale». San Tommaso d’Aquino ebbe il coraggio di questo materialismo: «Il sistema del d’Aquino parte dal punto di vista universale che un uovo è un uovo. Ora, un hegeliano replicherà che un uovo è una gallina, perché esso fa parte dell’infinito processo del Divenire. Il tomista non ha bisogno di guastarsi il cervello per evitare di guastare le sue uova, né di guardare le uova in cagnesco, né di chiudere gli occhi per meglio meditare una nuova semplificazione delle uova. Dominatore nella luce sfavillante della fraternità umana, egli constaterà che le uova non sono galline, né sogni, né supposizioni; bensì cose attestate dall’autorità dei sensi, ch’è di Dio.
La novità del cristianesimo, infatti, non è lo spirito, è la carne, la materia. Non è l’eternità, è la storia, l’attimo, l’istante, la rivalutazione di tutto ciò di cui è fatta la vita. Il cristianesimo «non è una filosofia perché, essendo una visione, non è un modello, ma un quadro; non è di quelle semplificazioni che risolvono ogni cosa in un’astratta spiegazione: che tutto è ricorrente, che tutto è relativo, che tutto è illusorio. Non è un meccanismo ma un racconto; ha le proporzioni che si riscontrano in un quadro o in un racconto; non ha le ripetizioni regolari di un modello o di un meccanismo; ma le rimpiazza con l’essere convincente come un quadro o come un racconto. In altre parole è esattamente, ecco la frase, come la vita. Perché infatti è vita».
«Il logico pretende di rinchiudere il cielo nella sua testa, e la testa scoppia», «La coerenza del suo spirito è quello che lo rende stupido e pazzo allo stesso tempo»; non è il poeta a essere lunatico, ma il ragionatore.
Quindi ecco la stupenda definizione:«Il pazzo non è l’uomo che ha perduto la ragione, ma l’uomo che ha perduto tutto fuor che la ragione» (laddove la ragione è ridotta alla sola logica). Provate a discutere con un pazzo, non ne uscite, all’interno della sua logica è imbattibile. Qual è il problema allora? Il pazzo ha sempre coerenza e lucidità, ma è chiuso in un mondo piccolo: «La sua mente si muove in un cerchio perfetto ma ristretto. Un cerchio piccolo è infinito, come un cerchio grande, ma pur essendo ugualmente infinito non è ugualmente grande. Allo stesso modo una spiegazione assurda è completa come una spiegazione giusta, ma non abbraccia un campo altrettanto vasto. Una pallottola è tonda come il mondo, ma non è il mondo».
Chiuso nell’autoreferenzialità del suo pensiero l’uomo moderno è incapace di stupore. Lo stupore – l’abbiamo già visto – è la molla che mette in moto la ragione: «Noi vediamo una cosa obiettivamente quando la vediamo per la prima volta». Per vederle sempre così, bisogna essere bambini. Infatti Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli». (Matt. 18,1-5).