L’ultimo miracolo prima della passione

L’ultimo miracolo prima della passione

di don Ruggero Gorletti

GIOVEDÌ DELLA OTTAVA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Dal vangelo secondo Marco 10,46-52

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

COMMENTO

È questo dunque l’ultimo miracolo operato da Gesù prima della sua passione, ed è significativo che consista nella guarigione di un cieco. Di un uomo cioè i cui occhi hanno perso la luce. Bartimeo infatti non è cieco dalla nascita. Prima ci vedeva, e poi ha perso la vista. È stato visto come modello, come simbolo dell’uomo decaduto, che ha conosciuto la luce di Dio e l’ha persa con il peccato. I Padri della Chiesa hanno visto nella cecità la condizione dell’uomo che ha bisogno della luce di Dio, della luce della fede, per conoscere la verità sulle cose, sulla vita, sul senso della sua stessa esistenza. Perché questa luce, la luce della fede, ci possa illuminare, è necessario riconoscere di essere ciechi, di essere bisognosi di Dio, di non bastare a noi stessi. Bartimeo riconosce di essere cieco, di aver bisogno di aiuto. Bartimeo non ha perso la speranza di poter recuperare quanto aveva perduto, ha capito che Gesù lo avrebbe potuto guarire. È interessante notare che quando Bartimeo alza la voce per invocare Gesù, la folla cerca di farlo tacere. Non è la prima volta che incontriamo la folla nei racconti del Vangelo. Non una persona precisa, con nome e cognome, ma la folla, un insieme indistinto di persone, una massa senza nome e identità, che si frappone fra Dio e l’uomo che desidera incontrare Dio ed essere da Lui guarito. La folla tenta di far tacere Bartimeo: il suo grido è inopportuno, da fastidio. La folla rappresenta il modo ordinario, banale di pensare, di vivere. Taci. Sta zitto. Disturbi. Sei un mendicante e disturbi il passaggio di una persona famosa. È la cosa più ovvia, più normale. Ma non sempre la cosa più ovvia, più normale è la cosa giusta. In realtà è la cosa che impedisce a Bartimeo di avere ciò che desidera: la vista. La folla rappresenta quel buon senso piccolo piccolo, quel modo di ragionare  e di vivere che ci impedisce di fare ciò che è giusto, che ci impedisce di fare cose grandi, che ci impedisce, in fondo, di essere felici. La folla rappresenta quello che la gente si aspetta da noi, che non sempre è quello che è giusto, che è secondo i piani di Dio. Non sempre quello che la gente si aspetta da noi è il meglio per noi, perché è solo pensando e agendo come piace a Dio che noi possiamo essere felici. E Bartimeo se ne infischia della folla, del parere della gente, di quello che gli altri si aspettano da lui, e agisce, facendo quello che il cuore gli suggeriva. E così facendo ha avuto quello che voleva: ha riacquistato la vista. Insieme alla vista Bartimeo ha riacquistato la dignità: si è alzato in piedi, ha smesso di essere mendicante, e ha cominciato a seguire Gesù. Bartimeo è come noi: aveva la luce e l’ha persa. Ma ha avuto il merito di riconoscere il suo male, di capire che Gesù lo avrebbe potuto guarire, e ha avuto il coraggio di andare contro alla folla, al quel modo tutto umano di pensare che in fondo ci impedisce di vivere pienamente la nostra vita.

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