Senza Cristo non c’è vera civiltà
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IL RACCONTO DELLA EVANGELIZZAZIONE DEGLI INDIANI DEL QUEBEC DA PARTE DEI GESUITI
Di fandonie sulla Chiesa se ne sono scritte e raccontate tante e se certi pregiudizi resistono, purtroppo, è demerito dei troppi cattolici, compresi non pochi preti, a digiuno di storia, imbevuti come sono delle sciocchezze apprese nella scuola ideologica e laicista di Stato. Sono pochissimi infatti quelli che fanno lo sforzo di leggere qualche buon libro col quale rimettere gli avvenimenti nella giusta prospettiva.
Noi di InFormazione cattolica vogliamo colmare almeno una delle innumerevoli lacune offrendo alla lettura un libro che narra l’eroica evangelizzazione da parte dei padri Gesuiti degli indiani Uroni e Irochesi del Quebec francese. Un pezzo di storia oltretutto attuale, oggi in cui torme di acculturati sono preda dell’ideologia woke e della cancel culture mutuate dal movimento americano Black Lives Matter che sta tentando di cancellare e riscrivere la storia dell’Occidente, in cui i bianchi sono sempre i cattivi, gli oppressori, mentre gli altri sono i buoni e gli oppressi.
Una semplificazione puerile, frutto di ingiustificabile ignoranza – specialmente se si pensa che certe scemenze provengono dai campus universitari e da blasonati intellettuali – o piuttosto frutto di un odio per sé stessi e per la cultura occidentale. Da qui la rivalutazione dei “poveri pellerossa”, assieme alle calunnie verso i “conquistadores”, spagnoli o i missionari in generale.
Eppure non soltanto gli Irochesi e gli Uroni del Nord America ma tutte le “culture indigene” del Sud, Centro, Nord America, e di tutte le altre regioni del globo non raggiunte dalla civiltà occidentale e cristiana, erano dedite a pratiche bestiali che comprendevano tra l’altro il cannibalismo, la più efferata tortura, la guerra incessante tra tribù accompagnata dallo schiavismo. Non per nulla il Salmo 96 ammonisce che senza Cristo non c’è alcuna vera civiltà: «Quoniam omnes dii gentium daemonia».
Tanto per chiarire ecco la descrizione di come morì per mano irochese il gesuita Giovanni de Brébeuf: «Legato al palo, egli ebbe le membra bruciate ed arrostite; provò le lesine e il collare di accette infocate, il battesimo di acqua bollente, lo strappo violento di brandelli di carne, divorati dinanzi ai suoi occhi; la cintura di scorze impeciate e infiammate, il taglio del naso e della lingua, e, perché non potesse più parlare, né pregare, i carboni ardenti affondati nella gola; ebbe il capo scotennato, con sulla ferita una poltiglia di cenere cocente»
E tuttavia schiere di eroi cristiani si avventurarono ovunque per testimoniare il Vangelo, affrontando disagi e dolori indicibili, spesso al prezzo della vita, solo qualche volta ricompensata con la grazia del martirio.
Papa Giovanni Paolo II ebbe a parlare espressamente della indispensabile conversione dei nativi: «La loro missione [dei martiri ndr] fu una dura e lunga “via crucis”, coronata da tante conversioni al Vangelo di Cristo». (G.P. II, 2/11/1980). Il libro che offriamo alla lettura – I santi martiri canado-americani della Compagnia di Gesù, di Celestino Testore s.j. – è il racconto incredibile del coraggio e dell’abnegazione dei missionari cattolici. Un coraggio che deve oggi fare arrossire di vergogna chi, annebbiato dalla dialoghite e da certo ecumenismo ha dimenticato come la prima e più grande opera di carità sia far conoscere la salvezza di Cristo a chi non ha ricevuto la grazia di nascere cattolico.
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