Cresce l’idolatria
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JAMES LOVELOCK: ALLE ORIGINI DEL MITO DI “GAIA”
La nostra epoca sta conoscendo un fenomeno sempre più crescente: il ritorno a forme di idolatria. E’ una forma di “primitivismo” culturale che trova accoglienza in ambienti anche insospettabili, basta ricordare gli onori tributati nel 2019 all’idolo amerindo Pachamama in Vaticano.
Alle origini di questo interesse – che pare molto attraente per le componenti ecologiste di tali culti – c’è un personaggio scomparso nel 2022 a ben 103 anni di vita: James Ephraim Lovelock, inglese, membro della Royal Society, che a suo tempo collaborò anche ad alcuni programmi spaziali della NASA.
Nel 1979, Lovelock pubblicò un libro rivoluzionario dal titolo Gaia (il nome della dea della Terra nell’antica mitologia greca) nel quale lo studioso offriva un’inedita visione della “madre terra” e del suo rapporto con le creature viventi e con l’uomo.
Per Lovelock, la Terra è un organismo vivente capace di autoregolarsi e di rispondere a tutti quei fattori nuovi e avversi che ne turbano gli equilibri; una sorta di mega-sistema che non rimane passivo di fronte a ciò che minaccia la sua esistenza e dove tutto interagisce: oceani, atmosfera, crosta terrestre, al pari delle creature della “biosfera”, piante, animali e uomini.
E’ l’Ipotesi Gaia: una visione che ha avuto una notevole ricaduta sull’ecologismo contemporaneo e, soprattutto, nella visione del rapporto tra la natura e l’attività umana.
In questo perfetto “organismo” che è Gaia, tuttavia, si è inserito un elemento allogeno e altamente distruttivo: l’uomo. E’ questo il tema di un altro best-seller di Lovelock, pubblicato in inglese nel 2006 col titolo The Revenge of Gaia: Why the Earth is Fighting Back – and How We Can Still Save Humanity, “La vendetta di Gaia. Perché la Terra ci sta combattendo e possiamo ancora salvare l’umanità”; tradotto in italiano dalla Rizzoli col titolo un poco più edulcorato La rivolta di Gaia.
Al centro del saggio compare la tematica (oggi diventata una sorta di dogma pseudoscientifico) del “riscaldamento globale”, che si presume sia dovuto esclusivamente all’attività antropica; tale fenomeno sarebbe una pericolosissima intrusione da parte dell’elemento-uomo nell’armonia di Gaia, intrusione che l’organismo di Gaia potrebbe rifiutare violentemente alla stessa stregua di come il nostro organismo rifiuta e distrugge virus e batteri nocivi.
Nell’opera di Lovelock troviamo l’idea di un uomo come “parassita” o “cancro” del pianeta, descritta con accenti estremi e decisamente apocalittici, che sembrano giustificare politiche di drastica diminuzione delle nascite. La Gaia di Lovelock è, infatti, un organismo di fatto vivente, qualcosa di ben diverso dalla prospettiva ancora banalmente “meccanicista” del superato materialismo ottocentesco; è una visione che si avvicina moltissimo ad una sorta di “vitalismo”. Se l’uomo continuerà, dunque, a creare disarmonia nel sistema-Gaia, è giocoforza che il “sistema immunitario” del pianeta lo respingerà e lo distruggerà. E’ questa la profezia catastrofica che Lovelock lanciò agli inizi degli anni 2000: alla fine di questo secolo, saranno pochissimi gli esseri umani che sopravviveranno alla catastrofe ambientale. Gaia “rigetterà” l’intruso.
Tuttavia, la nuova coscienza ecologica che si sta diffondendo, affermava lo studioso, potrà probabilmente salvare l’uomo dalla catastrofe; ma alla lunga, questa trasformazione dovrà essere totale, una vera e propria svolta epocale dell’evoluzione dove, probabilmente, si giungerà ad un’interazione uomo-macchina che solo i film di fantascienza riescono oggi ad immaginare.
L’era finale, secondo Lovelock, sarà infatti quella dei robot; meglio ancora, quella degli uomini-macchina: “Prenda me: io e il mio pacemaker siamo perfettamente integrati. A livelli ben più avanzati, l’emergere di forme di vita basate sulla simbiosi tra animale e chip è un’eventualità non remota, e potrebbe offrirci nuove chance di sopravvivenza. Vede, il nostro cervello è in grado di tradurre segnali elettronici in informazioni utili, e viceversa l’elettronica è in grado di trasmettere informazioni ad alta velocità. Immagini una forma di vita elettronica, dove le informazioni viaggiano a una velocità molto più alta di quella sopportabile dai neuroni animali. Con una tale densità di stimoli, un giorno ci sembrerà lungo più di duemila anni. E la vita, in qualche modo, durerà un’eternità”.
La visione apocalittica di Lovelock approda, dunque, ad una speranza di tipo “messianico”: una nuova umanità transumana ad impatto zero sull’ambiente che vivrà in una sorta di “Gerusalemme escatologica” potendo godere di una sorta di “vita eterna” telematica. Ma tutto questo avverrà a spese della condizione umana: una sorta di parodia del transumanar di dantesca memoria, che non significa, in questo caso, il superamento dello “stato umano” verso stati superiori dell’Essere, ma il prolungamento indefinito di un’esistenza materiale in un corpo ibrido.