Fare chiarezza sul concetto di “fede”
di Pamela Salvatori
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IDEOLOGIE E DOTTRINE
Nel corso della storia il concetto di “fede” ha risentito spesso dell’influenza di ideologie e dottrine non cristiane, che ne hanno alterato il significato più autentico, causando profonde trasformazioni nella sua comprensione.
Di frequente la “fede”, contrapposta al concetto di “ragione”, ha risentito delle molteplici comprensioni a cui la ragione stessa è stata sottoposta, così da subire mutamenti di contenuto e significato, divenendo persino l’antagonista della ragione umana. Eppure da sempre la Tradizione insegna che fides quaerens intellectum, ossia che la fede necessita della ragione!
Nel linguaggio comune, questo termine viene utilizzato sempre più spesso come sinonimo di “religione”, di “credenza”, persino di “fiducia in qualcosa o qualcuno”.
A partire dal Novecento anche la filosofia delle religioni ha iniziato ad considerare la “fede” dell’uomo come quell’atteggiamento religioso che da sempre accompagna la sua esistenza, identificandola, in altre parole, con la “virtù della religione”. Ma, appunto, si tratta di un’altra virtù, che è naturale, da non confondersi con la “fede teologale”, che è soprannaturale!
Ne deriva che per comprendere il significato autentico della fede è necessario innanzitutto collocarla nel suo proprio contesto, quello teologico.
Solo a partire dalla Teologia è possibile comprendere davvero cos’è la “fede”, nella sua verità di dono di Dio e risposta dell’uomo.
La Teologia fondamentale considera la fede sotto una duplice prospettiva, soggettiva ed oggettiva, a partire dalle due dimensioni della Rivelazione divina, quella personale-soggettiva e quella contenutistico-oggettiva, senza per questo identificare la fede con la Rivelazione.
Per tale ragione essa parla di “professione della fede” come l’atto di chi crede, e parla di “contenuto della fede” per indicare le verità rivelate da Dio e credute dal fedele.
Si tratta della duplice comprensione della fede come fides qua creditur, ossia “fede per mezzo della quale si crede” (l’atto di credere), e fides quae creditur, ossia la “fede creduta”, o meglio, le “cose” credute per fede (i contenuti della fede).
Stando alla Rivelazione divina la fede deve essere intesa in termini di “risposta” dell’uomo alla chiamata divina e al contempo come “premessa” necessaria per l’accettazione della Rivelazione stessa, quindi come dono gratuito di Dio che l’uomo è chiamato liberamente ad accogliere.
Non a caso, la Teologia morale, dalla sua prospettiva, parla della fede come virtù teologale, ossia infusa direttamente da Dio nell’uomo assieme alla speranza e alla carità con il Battesimo, ma anche come quell’atto con cui l’uomo risponde liberamente al dono di Dio.
La virtù della fede, in quanto habitus soprannaturale, riveste l’uomo: è viva quando l’uomo vive nello stato di grazia e di comunione con Dio, ma è morta quando manca la grazia santificante che, donata per la prima volta nel Battesimo, si può perdere col peccato mortale e recuperare nel Sacramento della Confessione.
L’habitus della fede, invece, si distrugge con i peccati diretti contro la fede, quali l’apostasia, l’eresia e lo scisma.
In sintesi, la Teologia, a partire dalla divina Rivelazione, e maturando una riflessione antropologico-teologica, insegna che la Fede ha una struttura dialogica: essa è essenzialmente dono dell’amore di Dio che richiede una libera risposta da parte dell’uomo.
In altre parole, la fede teologale è donata a tutti con il Battesimo, ma da sola non basta a salvare l’uomo se questo non si impegna nell’accogliere il seme e farlo fruttificare con la sua fedeltà, che si esprime nelle scelte di vita, nella grazia conservata e alimentata nei Sacramenti e nella preghiera.
Tale risposta è per l’uomo una grande opportunità donata da Dio per realizzare pienamente la sua vita.