La canzone italiana e la vita del nostro Paese
Il testo venne scritto da Giovanni Drovetti[1] e musicato da Colombo (Colombino) Arona[2] a Torino nel 1915. Il brano fa riferimento a una delle campane della cattedrale di San Giusto. L’edificio è posto sull’omonimo colle che sovrasta Trieste.[3] Tale luogo di culto fu caro agli irredentisti italiani durante la Prima Guerra Mondiale. La partecipazione dell’Italia a questo conflitto ebbe inizio il 24 maggio 1915. Erano già trascorsi dieci mesi dall’inizio dei combattimenti su più fronti. Le ostilità ebbero termine il 4 novembre del 1918, con il Proclama della Vittoria. Il nostro Paese completò in tal modo l’unità nazionale con l’annessione del Trentino Alto Adige e della Venezia Giulia. La campana di San Giusto ebbe il suo momento di maggior notorietà il 5 novembre 1918. In quella data, due giorni dopo l’armistizio di Villa Giusti (atto di resa dell’Impero Austro-Ungarico all’Italia), le truppe del regio esercito poterono entrare vittoriose a Trento e a Trieste.[4] Si riporta qui di seguito l’inizio della canzone.
«Per le strade, per le rive di Trieste,
suona e chiama di San Giusto la campana.
L’ora suona, l’ora suona non lontana,
che più schiava non sarà.
Le ragazze di Trieste, cantan tutte con ardore:
oh Italia, oh Italia del mio cuore
tu ci vieni a liberar».
Nella notte del 23 giugno 1918, poco dopo la conclusione della battaglia cosiddetta «del Solstizio»[5], il compositore Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E. A. Mario[6]) scrisse in modo rapido i versi e la musica de La leggenda del Piave.
Subito dopo, Raffaele Gattordo[7], un cantante che conosceva Gaeta, mentre era al fronte in un reparto di bersaglieri, cominciò a cantare il motivo del suo amico. I versi patriottici, l’entusiasmo per la vittoria, la musica orecchiabile a tono di marcia, contribuirono al successo della composizione tra le truppe. Il comandante supremo dell’esercito, il Generale Armando Diaz[8], telegrafò a Mario: «La vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un Generale».
Il 9 novembre 1918, cinque giorni dopo la fine della guerra, Gaeta aggiunse la quarta e ultima strofa: «Indietreggiò il nemico sino a Trieste, sino a Trento / e la vittoria sciolse le ali al vento». Anche dopo la fine del conflitto, la Leggenda del Piave rimase molto popolare. Il 4 novembre del 1921 venne eseguita all’inaugurazione del monumento al milite ignoto, al Vittoriano di Roma. In quell’anno Gaeta si sposò con Adelina Gaglianone, che gli era stata presentata da Eduardo Scarpetta.[9] Due anni dopo, però, venne licenziato dalle Poste a causa della sua attività parallela di musicista. Gaeta si ritrovò in difficoltà economiche visto che la SIAE non gli riconosceva i diritti d’autore della Leggenda del Piave, perché considerò il testo come «inno nazionale» (anche se non ebbe mai ufficialmente questa qualifica), e quindi proprietà statale.
Nel 1924 «Problemi d’Italia. Rassegna mensile dei combattenti», sottolineò come il testo contenesse un verso non gradito alle autorità militari. Si faceva infatti riferimento al fatto che la responsabilità della disfatta di Caporetto fosse da attribuire al tradimento di un reparto dell’esercito.[10] Il verso della canzone recitava: «Ma in una notte trista si parlò di tradimento». La frase fu considerata inopportuna. A questo punto, nel 1928, il Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Belluzzo[11], inviò una lettera a Giovanni Gaeta. Gli chiese di modificare il testo della canzone, eliminando i riferimenti del «tradimento» e «dell’onta consumata a Caporetto». L’autore acconsentì al cambiamento della strofa, che divenne: «Ma in una notte triste(a) si parlò di un fosco evento».
Nel 1933, in una situazione economica divenuta precaria, Gaeta chiese di essere riassunto alle Poste e continuò a lavorare al Ministero fino alla pensione.
Nel periodo costituzionale transitorio[12] durante la fase conclusiva della Seconda Guerra Mondiale, la Leggenda del Piave fu adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano. Gaeta morì il 24 giugno del 1961. Enrico Demma, il primo interprete della canzone, lo seguì nel 1975. Si riporta qui di seguito l’inizio e la parte finale della Leggenda del Piave.
«Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti, il ventiquattro maggio.
L’esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera.
Muti passaron quella notte i fanti
tacere bisognava, e andare avanti.
S’udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero
il Piave mormorò: “Non passa lo straniero”.
[…]
“No” disse il Piave, “no” dissero i fanti
“mai più il nemico faccia un passo avanti!”
Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti combattevan le onde.
Rosso di sangue del nemico altero
il Piave comandò: “Indietro va’, straniero”.
Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento
e la vittoria sciolse le ali al vento.
Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro, Battisti.
Infranse, alfin, l’italico valore
le forche e l’armi dell’impiccatore.
Sicure l’Alpi, libere le sponde
e tacque il Piave, si placaron le onde.
Sul patrio suolo, vinti i torvi imperi,
la pace non trovò né oppressi né stranieri».
È una canzone di Ettore Petrolini[13] (musica) e di Alberto Simeoni[14] (testo). Composta nel 1932. Il tema della composizione è la non sincerità dell’amore. Si tratta di una sottolineatura che ricorre con frequenza nei lavori di Petrolini. In realtà, l’Autore ideò questa canzone nel periodo in cui fu costretto a rimanere a letto per sei mesi a motivo dall’angina pectoris che lo colpì durante un suo spettacolo. Nel testo di Tanto pe’ cantà si trova un velato riferimento ai problemi cardiaci («perché me sento ’n friccico nel còre»). Comunque, appena l’Autore fu in condizioni di ritornare sul palcoscenico, volle iniziare lo spettacolo con questa canzone in omaggio all’affetto dimostrato dal suo pubblico. Ettore Petrolini morì all’età di 52 anni il 29 giugno del 1936.[15] Si riporta qui di seguito la parte del canto con il riferimento alla cardiopatia.
«Tanto pe’ cantà, / perché me sento ’n friccico ner còre,
tanto pe’ sognà, / perché ner petto me ce naschi ’n fiore.
Fiore de lillà / che m’ariporti verso er primo amore,
che sospirava le canzone mie, / e m’arincojoniva de bugie».
Si tratta di un brano musicale composto da Bixio Cherubini[16] e da Carlo Concina[17]. Vinse il Festival di Sanremo nel 1952. Lo interpretò Nilla Pizzi.[18] Vola colomba venne composta quando Trieste, a seguito del Trattato di Parigi del 1947, si trovò in una situazione critica. Il Trattato prevedeva la creazione di un territorio formato temporaneamente da una «zona A» e da una «zona B». La «zona A» (che includeva anche Trieste) fu amministrata pro-tempore da un Governo Militare Alleato. La «zona B» venne controllata pro-tempore dall’esercito jugoslavo.
La situazione si sarebbe poi sbloccata con il Memorandum di Londra, nell’ottobre del 1954. In quel contesto, il brano, che faceva riferimento alla questione del ritorno di Trieste all’Italia, ebbe un significativo successo. Nel testo di Bixio, si trovano chiari riferimenti al capoluogo della Venezia Giulia. A esempio: «inginocchiata a San Giusto», «lasciavamo il cantiere» (essendo Trieste sede di cantieri navali), e «il mio vecio» per indicare il padre nel dialetto triestino. Si riporta qui di seguito il testo.
«Dio del Ciel, se fossi una colomba,
vorrei volar laggiù dov’è il mio amor,
che inginocchiata a San Giusto
prega con l’animo mesto:
fa’ che il mio amore torni, ma torni presto.[19]
RIT. Vola, colomba bianca, vola
diglielo tu (diglielo tu)
che tornerò (che tornerò).
Dille che non sarà più sola
e che mai più (e che mai più) / la lascerò.
Fummo felici, uniti, e ci han divisi (e ci han divisi),
ci sorrideva il sole, il cielo, il mar (il cielo, il mar)
noi lasciavamo il cantiere
lieti del nostro lavoro
e il campanon, din don, ci faceva il coro.
RIT. Vola, colomba bianca, vola
diglielo tu che tornerò.
Tutte le sere m’addormento triste,
e nei miei sogni piango e invoco te,
pure il mi’ vecio ti sogna
pensa alle pene sofferte,
piange e nasconde il viso tra le coperte.
RIT. Vola, colomba bianca, vola,
diglielo tu che tornerò,
diglielo tu che tornerò, che tornerò».
Questa composizione venne preparata da Calibi[20], Pinchi[21], Carlo Donida[22]. Fu eseguita da Gino Latilla[23] e da Giorgio Consolini[24] al Festival di Sanremo del 1953 (terzo posto[25]). Vecchio scarpone esprime un ricordo malinconico della giovinezza. Quest’ultima, per molti, aveva significato la vita militare durante il Secondo Conflitto Mondiale. Lo scarpone militare ricordava la campagna d’Africa, quella di Russia, quella dei Balcani… Il motivo ebbe un significativo successo popolare. Per molti era una metafora patriottica. Si riporta qui di seguito la parte centrale della canzone.
«Vecchio scarpone, quanto tempo è passato,
quanti ricordi fai rivivere tu,
quante canzoni sul tuo passo ho cantato
che non scordo più.
Sopra le dune del deserto infinito[26],
lungo le sponde accarezzate dal mar[27],
per giorni e notti insieme a te ho camminato,
senza riposar.
Lassù fra le bianche cime[28]
di nevi eterne immacolate al sol,
cogliemmo le stelle alpine,
per farne dono ad un lontano amor».[29]
È un brano musicale scritto e arrangiato da Bixio Cherubini e Carlo Concina. Venne presentato al Festival di Sanremo del 1953. Fu cantato in coppia da Nilla Pizzi e Teddy Reno[30]. Nella terza strofa si fa riferimento a un fatto di cronaca avvenuto nel 1952. Si trattò del ritrovamento dei corpi intatti di cinque alpini caduti durante la Orima Guerra Mondiale, affiorati dal ghiacciaio dell’Adamello. Si riporta qui di seguito il testo.
«Campanaro delle “Sette Croci”[31] / per chi suoni la campana?
Tra i ghiacciai dell’Adamello, / avvolti in una bianca mantellina,
hai veduto riapparir gli eroi / d’un’epopea lontana:
hanno il volto ancor fanciullo / e il cappello con la penna alpina…
Din! Don! Dan! La montagna è il loro letto, il loro altare…
Din! Don! Dan! Suona piano… chè li puoi svegliare…
Campanaro delle penne nere non si possono scordare
Din! Don! Dan!».
Questa canzone venne incisa da Domenico Modugno[32] nel 1955. Il pezzo racconta dell’ultima passeggiata notturna di un uomo in frack. Quest’ultimo, alle prime luci del giorno, verrà trovato morto nel fiume. Modugno raccontò di essersi ispirato a un fatto di cronaca. All’alba del 30 novembre 1954 avvenne il suicidio di Raimondo Lanza di Trabia[33]. Era un noto personaggio dell’alta società. Aveva 39 anni. Morì a Roma gettandosi da una finestra di una suite (secondo piano) dell’hotel Eden, in Via Ludovisi.[34] Modugno interpretò quel suicidio come il segno struggente della fine di un’epoca. Sulla prima incisione di Vecchio frack ci fu un intervento censorio. Negli anni Cinquanta (XX secolo), infatti, far riferimento a un suicidio, e a «un attimo d’amore che mai più ritornerà», non era gradito. Si riporta qui di seguito il testo della canzone.
«È giunta mezzanotte / si spengono i rumori
si spegne anche l’insegna / di quell’ultimo caffè.
Le strade son deserte / deserte e silenziose
un’ultima carrozza cigolando se ne va.
Il fiume scorre lento / frusciando sotto i ponti
La luna splende in cielo / dorme tutta la città,
solo va un uomo in frack.
Ha il cilindro per cappello, / due diamanti per gemelli
un bastone di cristallo, / la gardenia nell’occhiello
e sul candido gilet / un papillon,
un papillon di seta blu.
S’avvicina lentamente / con incedere elegante
ha l’aspetto trasognato, / malinconico ed assente,
non si sa da dove vien, / né dove va.
Chi mai sarà, / quell’uomo in frack.
Bonne nuit, bonne nuit (2)
buona notte,
va dicendo ad ogni cosa / ai fanali illuminati
ad un gatto innamorato / che randagio se ne va.
È giunta ormai l’aurora, / si spengono i fanali
si sveglia a poco a poco / tutta quanta la città,
la luna s’è incantata, / sorpresa e impallidita,
pian piano scolorandosi nel cielo sparirà.
Sbadiglia una finestra /sul fiume silenzioso
e nella luce bianca / galleggiando se ne van
un cilindro, / un fiore e un frack.
Galleggiando dolcemente / e lasciandosi cullare
se ne scende lentamente / sotto i ponti verso il mare
verso il mare se ne va / chi mai sarà,
chi mai sarà / quell’uomo in frack.
Adieu, adieu, adieu / addio al mondo
Ai ricordi del passato, / ad un sogno mai sognato,
ad un attimo d’amore / che mai più ritornerà.
Lala la la, lala la la».
Signore delle cime (1958)
Testo e musica furono composti nel 1958 dal Vicentino Giuseppe (Bepi) de Marzi[35], all’epoca ventitreenne. Tale lavoro venne ideato e preparato in ricordo dell’amico Bepi Bertagnoli. Questi, era un giovane alpinista, studente universitario e partigiano. Morì durante un’ascensione solitaria travolto da una slavina sul monte Gramolon nell’Alta Valle del Chiampo. Dopo quaranta giorni di ricerche il suo corpo venne ritrovato il 20 maggio 1951 da Francesco Milani, verso mezzogiorno.[36] Si riporta qui di seguito il testo del canto-preghiera.
«Dio del Cielo, Signore delle cime,
un nostro amico hai chiesto alla montagna,
ma ti preghiamo, / ma ti preghiamo,
su nel Paradiso, / su nel Paradiso,
lascialo andare / per le tue montagne.
Santa Maria, Signora della neve,
copri col bianco, /soffice mantello,
il nostro amico, / nostro fratello,
su nel Paradiso, / su nel Paradiso,
lascialo andare / per le tue montagne».
Questo canto, pubblicato nel 1953, ebbe un’effettiva diffusione nel 1964. Attualmente viene indicato come un brano musicale dei nuclei partigiani. In realtà, ciò non risulta. Non sono stati trovati riscontri tra chi lottò contro i nazifascisti, c’è silenzio anche dopo il 1953, non ci sono tracce nei documenti dell’immediato dopoguerra. Inoltre, la composizione non è presente nei canzonieri più importanti.[37] Inoltre, è da ricordare che l’inno ufficiale delle brigate partigiane Garibaldi era Fischia il vento (sull’aria della canzone popolare sovietica Katjuša). Nei comizi, poi, oltre Fischia il vento, si intonava il canto dell’Internazionale. In definitiva, occorre raggiungere gli anni 1963-1964 per trovare questo canto, diffuso da Yves Montand[38] e fatto conoscere al Festival di Spoleto (1964). È proprio al Festival dei due Mondi, infatti, che il Nuovo Canzoniere Italiano presentò Bella ciao come canto delle mondine, e come inno partigiano.[39] La versione delle mondine, tuttavia, fu registrata dalla cantante Giovanna Daffini[40] solo nel 1962. Si riporta qui di seguito la parte iniziale di Bella ciao.
«Una mattina mi sono alzato,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao
una mattina mi sono alzato
e ho trovato l’invasor.
O partigiano, portami via
o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao
o partigiano, portami via
che mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao
e se io muoio da partigiano
tu mi devi seppellir».
Il testo di questa canzone fa riferimento a una prostituta ingannata da un cliente. Questi, le aveva promesso di portarla via con sé, di farla uscire dalla «casa di tolleranza». Non mantenne però la parola. Daniele Pace[41] e Mario Panzeri[42] avevano scritto In via dei Ciclamini[43] in occasione della chiusura dei luoghi ove si esercitava pubblicamente la prostituzione. Tale chiusura avvenne nel 1956 (legge Merlin[44]), il brano musicale, però, fu diffuso nel 1971. Perché? Perché a fine anni Cinquanta (XX secolo) la censura non consentiva di divulgare un tema ritenuto «scabroso». Così, per 15 anni nessuna casa discografica fece conoscere In via dei Ciclamini. In seguito la situazione mutò. Si riporta qui di seguito il testo della canzone.
«In via dei Ciclamini, / al centoventitré,
vendevano le bambole[45] / vestite come me,
la guerra era finita / ma però ricordo che
sui muri delle bambole / scrivevo insieme a te.
L’amore è come l’edera / s’attacca dove vuole
quel giorno senza dirmelo / m’hai presa con un fiore.
L’amore è come l’edera / s’attacca dove vuole,
non vedo più le bambole / ma son legata a te.
Eran giorni tutti per me. / Eran giorni tutti per te.
In via dei Ciclamini, / dove abitavi tu,
il muro delle bambole / adesso non c’è più,
han messo una balera / e l’ascensore va su e giù
e cambiano ogni sera / le bamboline blu.
L’amore è come l’edera / s’attacca dove vuole,
quel giorno senza dirmelo / m’hai presa con un fiore.
L’amore è come l’edera, / s’attacca dove vuole,
non vedo più le bambole / ma son legata a te.
Eran giorni tutti per me. / Eran giorni tutti per te.
In via dei Ciclamini / l’amore si fermò,
mi disse “Ciao bambina, / un giorno tornerò”.
La guerra era finita / ma però ricordo che
mi disse “Ciao bambina, / ho amato solo te”.
L’amore è come l’edera, / s’attacca dove vuole,
quel giorno senza dirmelo / m’hai presa con un fiore.
L’amore è come l’edera, / s’attacca dove vuole,
non vedo più le bambole / ma son legata a te.
Eran giorni tutti per me. / Eran giorni tutti per te».
È un singolo di Renato Zero[46], pubblicato nel 1979 dalla Zerolandia (album EroZero), distribuito dalla RCA. Il brano, è stato scritto da Franca Evangelisti[47] e Piero Pintucci[48]. La canzone rappresenta una metafora dell’esistenza terrena. Si guarda in modo malinconico al grande circo della vita che, malgrado l’avvicendarsi di fatti lieti o tristi, continua ad andare avanti, seguendo la sua strada. In questo testo, però, a ben vedere, emerge pure l’immagine di una persona cara. È un personaggio positivo, segnato da una «ricca povertà». Pensare a tale figura facilita un rincorrere di ricordi: un pane caldo, una poesia, un calore umano, una filosofia spicciola, dei vecchi cortili, dei sogni, un po’ di fantasia, una risata. Il ciclo della vita toccherà alla fine anche questo personaggio che rimane senza volto. Tutto sembra cessare con la morte. Eppure, nel cuore di ogni persona, il bene ricevuto è un qualcosa che non cessa di esistere, ma che spinge a valorizzare il tempo che passa, rigettando le maschere delle apparenze e delle falsità. Si riporta qui di seguito il testo della canzone.
«Il carrozzone va avanti da sé, / con le regine, i suoi fanti, i suoi re.
Ridi buffone per scaramanzia, / così la morte va via.
Musica gente, cantate che poi, / uno alla volta si scende anche noi.
Sotto a chi tocca in doppiopetto blu, / una mattina sei sceso anche tu.
Bella la vita che se ne va, / un fiore, un cielo, la tua ricca povertà,
il pane caldo, la tua poesia, / tu che stringevi la tua mano nella mia.
Bella la vita dicevi tu, / è un po’ mignotta e va con tutti sì però,
però, però, / proprio sul meglio ti ha detto no.
E il carrozzone riprende la via, / facce truccate di malinconia,
tempo per piangere, no, non ce n’è, / tutto continua anche senza di te.
Bella la vita che se ne va, / vecchi cortili dove il tempo non ha età,
i nostri sogni, la fantasia, / ridevi forte e la paura era allegria.
Bella la vita dicevi tu / e t’ha imbrogliato e t’ha fottuto proprio tu,
con le regine, con i suoi re, / il carrozzone va avanti da sé».
La canzone nasce dall’idea del discografico Mario Ragni[49]. Questo brano musicale venne scritto da Giancarlo Bigazzi[50], Umberto Tozzi[51] e Raf[52]. Vinse il Festival di Sanremo nel 1987. Fu interpretato dallo stesso Tozzi con Enrico Ruggeri[53] e Gianni Morandi[54]. Quest’ultimi, sono tre cantanti con differenti stili musicali. Però, hanno in comune la passione per il calcio. Sono loro, infatti, ad aver dato vita a un’esperienza originale: una squadra di calcio formata da cantanti con un fine di solidarietà. È dentro tale contesto che nasce la canzone Si può dare di più. Questo brano è divenuto l’inno ufficiale di quella che oggi è la Nazionale Cantanti. La prima formazione era composta da Mogol[55], Gianni Morandi, Andrea Mingardi[56], Riccardo Fogli[57], Umberto Tozzi, Pupo[58], Paolo Mengoli[59], Pino D’Angiò[60], Gianni Bella[61], Sandro Giacobbe[62] e Oscar Prudente[63].
Promotore dell’iniziativa fu Mogol che si era basato su precedenti esperienze di azioni e incontri sportivi finalizzati alla solidarietà. Sul piano storico, si registra una partita nel 1969. Tra i giocatori Paolo Mengoli. Un’altra sfida avvenne con la Nazionale Attori nel 1975 (tra i cantanti vi era anche Lucio Battisti). Il funzionamento della Nazionale Cantanti è simile a quello dei club di calcio, ma rimane finalizzato al finanziamento di progetti di aiuto.
Sul versante giuridico, la «Nazionale» venne costituita all’inizio (1987) in Associazione Nazionale Italiana Cantanti per Aiutare i Bambini che Soffrono. Dal 1996 ha il riconoscimento della Presidenza del Consiglio. Dal 1º gennaio 2000 la «Nazionale» è una ONLUS. Molte sue iniziative sono conosciute anche all’estero, permane pure una collaborazione con la Croce Rossa Italiana. Ogni anno è organizzata «la Partita del cuore».
Il 16 ottobre 2002, la Nazionale Italiana Cantanti è stata nominata Ambasciatrice di buona volontà dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, la FAO. Si riporta qui di seguito il testo della canzone Si può dare di più.
«In questa notte di venerdì / perché non dormi, perché sei qui,
perché non parti per un week-end / che ti riporti dentro di te.
Cosa ti manca, cosa non hai, / cos’è che insegui / se non lo sai,
se la tua corsa finisse qui / forse sarebbe meglio così.
Ma se afferri un’idea / che ti apre la via,
e la tieni con te, / o ne segui la scia,
risalendo vedrai / quanti cadono giù,
e per loro tu puoi / fare di più.
In questa barca persa nel blu / noi siamo solo dei marinai,
tutti sommersi non solo tu / nelle bufere dei nostri guai.
Perché la guerra, la carestia / non sono scene viste in TV,
e non puoi dire “lascia che sia” / perché ne avresti un po’ colpa anche tu.
RIT. Si può dare di più, / perché è dentro di noi,
si può dare di più, / senza essere eroi,
come fare non so, / non lo sai neanche tu,
ma di certo si può / dare di più.
Perché il tempo va / sulle nostre vite,
rubando i minuti di un’eternità,
e se parlo con te e ti chiedo di più
è perché te sono io, non solo tu.
RIT. Si può dare di più, / perché è dentro di noi,
si può dare di più, / senza essere eroi,
come fare non so, / non lo sai neanche tu,
ma di certo si può / dare di più».
Tra le diverse composizioni musicali di fine Novecento (XX secolo) si trovano anche delle canzoni che si richiamano a dei fatti dolorosi avvenuti in Italia: il furto di statue mariane o il loro danneggiamento con armi da fuoco. Al riguardo, la cronaca segnala più fatti. Ne ricordiamo alcuni: 1) il trafugamento della Madonna di Loreto da parte delle truppe francesi (1796); 2) la fucilata contro il volto di una Madonna in legno, posta in una edicola a Poggio Tesoro (Consuma, Firenze; anni ’60)[64]; 3) i colpi sparati contro la Madonnina collocata sulla vetta del monte Cimino (Viterbo; anni ’50); 4) le sassate contro la statua della «Madonna dei tre ponti» che si trova sulla strada che conduce a Sovana, e altri.
In tale contesto si colloca un canto: Madonnina dai riccioli d’oro (1990).[65] La composizione è di Armando Costanzo[66], Secondo Gallizio[67] e Bruno Garino[68]. Nel testo si racconta di una piccola effigie mariana in legno che all’improvviso venne prelevata da ignoti, e che non è stata più ritrovata.
Tale canto ha riscosso un significativo successo anche perché la musica ha un ritmo che facilita pure il ballo. A questo punto, però, è avvenuto un ulteriore fatto. Ai tifosi del Brescia Madonnina dai riccioli d’oro è piaciuta, e l’hanno adottata come inno non ufficiale della squadra. Il testo è invariato con un piccolo cambiamento: invece di cantare «siamo cristiani, e siam figli tuoi», si preferisce l’invocazione: «siamo bresciani, e siam figli tuoi».
Percorrere il tempo trascorso riascoltando alcune canzoni non è un modo per volgere la testa all’indietro, ma è un’occasione per guardare meglio in avanti valorizzando il patrimonio ricevuto. Le ricchezze che provengono da insegnamenti della vita riguardano storie personali e vicende che segnano il progredire di una comunità e di un popolo. È dentro questo «mondo» che riemergono eroismi, decisioni coraggiose, modi per affrontare le avversità, generosità, riflessioni sull’importanza di lasciare ricordi significativi alle nuove generazioni. Il poeta Giovanni Bertacchi[69] ha sintetizzato tutto questo in un breve testo che conclude il nostro saggio: «Il carro oltrepassò d’erbe ripieno, / e ancor ne odora la silvestre via. / Sappi fare anche tu, come quel fieno / lascia buone memorie, anima mia».
AA.VV., I cori alpini. Musiche, testi, esperienze, storia, con DVD video, a cura di N. Labanca-F. Masina-C. Perucchetti, UNICOPLI, Milano 2020
AA.VV., La canzone italiana, 1861-2011, a cura di L. Colombati, Mondadori, Milano 2011
Le canzoni di casa nostra, volume 1, album musicale del gruppo «I Girasoli», Fonola Dischi, Arona 2012
G. Borgna, Storia della canzone italiana, Laterza, Bari-Roma 1992
S. Facci-P. Soddu, Il festival di Sanremo, Carocci Editore, Roma, 2011
Inni delle bande militari italiane, 2 CD, Retro Gold, 2014
E. Petrolini, Gastone / Tanto pe’ cantà, Columbia Records, 3C 006-17856 M, Milano 1972.
La campana di San Giusto
Banda e Coro di Trieste – La campana di San Giusto – YouTube – TEMPOLESSMUSIC – 17 novembre 2017.
La leggenda del Piave
https://www.youtube.com/watch?v=06Zo6-3g7qQ.
Tanto pe’ cantà
https://www.youtube.com/watch?v=d4I_eLrrr4U.
Vola, colomba bianca vola
https://www.youtube.com/watch?v=NTyftOKbwFQ.
Vecchio scarpone
https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=bq97Q61Dtao.
Campanaro della Val Padana
Vecchio frack
https://www.youtube.com/watch?v=8yZLwUI6EEc.
Signore delle cime
https://www.youtube.com/watch?v=cT8rDYLuXYQ.
Bella ciao
https://www.youtube.com/watch?v=Lqs2oIBFPxI.
In via dei Ciclamini
https://www.youtube.com/watch?v=-cDSr9j7ax8.
Il carrozzone
https://www.youtube.com/watch?v=Gu43qXc4Ois.
Si può dare di più
https://www.youtube.com/watch?v=qd26426Rfsg.
Madonnina dai riccioli d’oro
https://www.youtube.com/watch?v=u4hrWmFcSTI.
1 Giovanni Drovetti (1879-1958). Scrittore, commediografo, poeta.
2 Colombo (Colombino) Arona (1871-1952). Compositore.
3 G. Pressburger, Da Carducci a Nilla Pizzi la Chiesa dell’italianità. La storia della cattedrale di San Giusto è stata a lungo l’emblema della Patria in molte poesie e canzoni, in: «Corriere della Sera», 26 luglio 2008, pagina 43.
4 G. Drovetti-C. Arona, La campana di San Giusto, in: «Antologia della canzone italiana», volume 2 , Edizioni Cetra, Torino 1973.
5 Battaglia del Solstizio (o Seconda Battaglia del Piave). Combattuta nel giugno 1918 tra l’esercito austro-ungarico e quello italiano. L’espressione «battaglia del Solstizio» fu ideata dal poeta e scrittore Gabriele D’ Annunzio (1863-1938).
6 Ermete Giovanni Gaeta, noto con lo pseudonimo di E. A. Mario (1884-1961). Impiegato presso le Poste Italiane.
7 Raffaele Gattordo (1890-1975). Si esibiva con il nome d’arte di Enrico Demma.
8 Generale Armando Diaz (1861-1928).
9 Eduardo Scarpetta, all’anagrafe Odoardo Lucio Fausto Vincenzo Scarpetta (1853-1925). Attore, commediografo. Padre di Eduardo, Peppino e Titina De Filippo.
10 Allora si riteneva che il successo austriaco fosse stato dovuto al tradimento di un reparto italiano; nel dopoguerra si scoprì che quel reparto, in effetti, aveva resistito ma era stato distrutto.
11 Giuseppe Belluzzo (1876-1952). Ingegnere, politico.
12 È la fase storica compresa tra il 25 luglio 1943 e il 1º gennaio 1948.
13 Ettore Petrolini (1886-1936). Fantasista, «chansonnier», uomo di teatro, macchiettista, istrione.
14 Alberto Simeoni (1891-1943). Paroliere, attore, giornalista e sceneggiatore.
15 R. Simoni, La morte di Ettore Petrolini, in: «Corriere della Sera», 29 giugno 1936.
16 Bixio Cherubini (1899-1987). Paroliere, poeta, editore musicale e autore di rivista.
17 Carlo Concina (1900-1968). Compositore, direttore d’orchestra, paroliere.
18 Adionilla Pizzi, detta Nilla (1919-2011). Cantante, attrice.
19 La divisione del territorio in due diverse amministrazioni non consentiva un libero passaggio tra la gente dei diversi luoghi.
20 Calibi, pseudonimo di Mariano Rapetti (1911-1997), è stato un paroliere e produttore discografico.
21 Pinchi, pseudonimo di Giuseppe Perotti (1900-1971). Paroliere.
22 Carlo Donida Labati (1920-1998). Compositore, pianista.
23 Gino Latilla, all’anagrafe Gennaro Latilla (1924-2011). Cantante.
24 Giorgio Consolini (1920-2012). Cantante.
25 Ex aequo con Lasciami cantare una canzone di Michele Cozzoli.
26 Campagna d’Africa.
27 Le sponde dell’Adriatico, del Mediterraneo…
28 I movimenti militari delle formazioni alpine.
29 I soldati italiani ricordavano la famiglia e l’amore lasciato in patria, così come i tedeschi pensavano alla propria bella quando cantavano Lili Marleen.
30 Teddy Reno, pseudonimo di Ferruccio Merk Ricordi (nato nel 1926). Cantante, produttore discografico, attore.
31 La località «Sette Croci» si trova poco al di fuori della Zona Sacra del monte Pasubio.
32 Domenico Modugno (1928-1994). Cantautore, attore, regista, politico.
33 Raimondo Lanza Branciforte di Trabia (1915-1954). Militare, diplomatico, dirigente sportivo.
34 O. Lupacchini, Delitti e misteri nelle vie della Capitale. Il nobile suicida che ispirò il Vecchio Frack di Modugno, in: «Il Tempo», 14 agosto 2022, pagine 6-7.
35 Giuseppe De Marzi, detto Bepi (nato nel 1935). Musicista, compositore, direttore di coro.
36 Redazione, Settant’anni fa la tragica fine di Bepi Bertagnoli, in: «Il Giornale di Vicenza», 7 aprile 2021.
37 Non c’è, a esempio, nel Canzoniere Italiano di Pasolini e nemmeno nei Canti Politici di Editori Riuniti del 1962.
38 Yves Montand, pseudonimo di Ivo Livi (1921-1991). Cantante e attore italiano, naturalizzato francese.
39 Con riferimento alla storia di Bella ciao confronta anche: L. Morrone, La vera storia di Bella ciao, che non venne mai cantata nella Resistenza, in: «Corriere della Sera», rubrica La Nostra Storia, 10 luglio 2018. C. Pestelli, Bella ciao. La canzone della libertà, ADD Editore, Torino 2016. A. Virgilio Savona-M. L. Straniero, Canti della Resistenza Italiana, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1985.
40 Giovanna Daffini (1914-1969). Cantante.
41 Daniele Pace (1935-1985). Cantante, paroliere, compositore, attore.
42 Mario Panzeri (1911-1991). Paroliere, compositore.
43 Via dei Ciclamini si trova a Milano.
44 La legge numero 75 del 20 febbraio 1958 è nota come legge Merlin dal nome della promotrice nonché prima firmataria del testo, la Senatrice Lina Merlin (1887-1979).
45 Era una casa ove si esercitava la prostituzione.
46 Renato Zero, pseudonimo di Renato Fiacchini (nato nel 1950). Cantautore. Produttore discografico.
47 Franca Evangelisti, nota anche con lo pseudonimo di Evy Angeli (nata nel 1935). Paroliera e cantante.
48 Piero Pintucci (nato nel 1943). Compositore, direttore d’orchestra e pianista.
49 Mario Ragni (1936-2008). Discografico.
50 Giancarlo Bigazzi, noto anche con lo pseudonimo di Katamar (1940-2012). Produttore discografico, compositore, paroliere.
51 Umberto Tozzi (nato nel 1952). Cantautore, chitarrista.
52 Raf, pseudonimo di Raffaele Riefoli (nato nel 1959). Cantautore.
53 Enrico Ruggeri (nato nel 1957). Cantautore, conduttore radiofonico e televisivo.
54 Gianni Morandi, all’anagrafe Gian Luigi Morandi (nato nel 1944). Cantante, attore, conduttore televisivo.
55 Mogol, pseudonimo di Giulio Rapetti (nato nel 1936). Paroliere. Produttore discografico.
56 Andrea Mingardi (nato nel 1940). Cantautore. Scrittore.
57 Riccardo Fogli (nato nel 1947). Cantautore. Bassista.
58 Pupo, pseudonimo di Enzo Ghinazzi (nato nel 1955). Cantautore. Conduttore televisivo.
59 Paolo Mengoli (nato nel 1950). Cantante.
60 Pino D’Angiò, pseudonimo di Giuseppe Chierchia (nato nel 1952). Cantautore.
61 Gianni Bella (nato nel 1947). Compositore e cantautore.
62 Sandro Giacobbe (nato nel 1949). Cantautore.
63 Oscar Prudente (nato nel 1944). Cantautore, compositore, produttore discografico.
64 La nuova Madonnina fu acquistata e collocata a Poggio Tesoro da chi scrive. Venne benedetta dal parroco che era allora Don Erasmo Magnaneschi.
65 Il riferimento ai riccioli d’oro serve a indicare una giovane bellezza, tipica nelle zone alpine.
66 Armando Costanzo, in arte Ermanno. Nato nel 1927 a Cavoretto, vicino a Torino. Paroliere. Deceduto.
67 Secondo Gallizio. Nato nel 1929 a Montaldo Roero, frazione San Rocco, Cuneo. Musicista.
68 Bruno Garino («Martin»). Musicista.
69 Giovanni Bertacchi (1869-1942).
FONTE: STORICO.ORG
Foto di copertina di Gerd Altmann da Pixabay