La “Cenerentola” dei beati, uccisa dalla perfida matrigna
di Mariella Lentini*
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ECCO CHI È LA BEATA PANACEA MUZIO
Molto venerata nella Valsesia (Novara), il nome della beata Panacea deriva dal greco panakeia, ossia colei “che rimedia a tutto”.
Chiamata la “Cenerentola” dei beati, Panacea ha quindici anni quando, nel 1383, viene uccisa dalla perfida matrigna. Nata a Quarona (Vercelli) nel 1368, Panacea è una bambina dolce, gentile, allegra. La sua serenità viene interrotta dalla perdita della madre. Il padre si risposa con una donna che si rivela dispotica. La povera bambina subisce i maltrattamenti da parte della matrigna, invidiosa della bellezza e della bontà d’animo della figliastra. La ragazzina risponde con il perdono e la mitezza. La donna non sopporta soprattutto la religiosità di Panacea e un giorno le strappa di mano il Rosario, rompendolo, e picchia la bambina. Quando la perfida matrigna si accorge che Panacea ricostruisce il Rosario con una corda, la picchia ancora di più lasciandola svenuta. Il padre vuole bene a Panacea e, quando si accorge dei soprusi che subisce, la allontana dandola in cura a bravi parenti. La ragazzina si rimette in salute, diventa ancora più bella e moltiplica le sue opere di carità verso i poveri e gli ammalati e, pur di donare qualcosa agli affamati, si priva anche del cibo. Un giorno, però, il padre la riporta a casa.
Panacea ha dieci anni e ha il compito di custodire il gregge di proprietà della famiglia. Intanto la matrigna dà alla luce una bambina che cresce goffa e maleducata. Così la sua invidia per la dolce e graziosa Panacea si riaccende. A quindici anni Panacea è molto amata per la sua bontà e la sua fede religiosa. Ecco, però, accadere l’irreparabile. La matrigna, un giorno, trova il gregge incustodito e la giovane intenta a pregare. In un impeto di rabbia la colpisce a morte. La donna, colta subito dal rimorso, si uccide. Panacea viene sepolta nella città di Ghemme (Novara) città di cui è patrona. La devozione popolare attorno alla figura della beata accresce sempre più.
È protettrice delle colline, della campagna e degli ammalati di epilessia. Impressionato dalla vicenda, il patriota Silvio Pellico (1789–1854), autore de Le mie prigioni, scrisse un libro sulla sua storia.
* Autrice del libro
“Santi compagni guida per tutti i giorni”