Un dialogo tra Gesù e Nicodemo
di Don Ruggero Gorletti
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QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA
Dal vangelo secondo Giovanni 3,14-21
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
COMMENTO
Il brano di vangelo che abbiamo appena ascoltato ci parla di un dialogo tra Gesù e Nicodemo. Questo dialogo può sembrare strano, può dare l’idea che parli di cose lontane dalla nostra vita. Non è così.
Innanzitutto: chi è questo Nicodemo? Il vangelo, poco prima, lo definisce un fariseo ed un capo degli Ebrei, dunque un membro di quella categoria di persone con cui Gesù ha spesso polemizzato, e che faranno sì che Gesù venga ingiustamente processato e mandato a morire in croce. Ma Nicodemo dimostra di non essere come gli altri. Egli è andato da Gesù (di notte, ci dice il vangelo, perché probabilmente non voleva compromettersi) perché era rimasto colpito dai miracoli (Giovanni nel suo vangelo li chiama «segni») che Gesù aveva compiuto: «nessuno può fare i segni che fai Tu – gli aveva detto – se non viene da Dio» Giovanni 3,2). Egli dimostra, con queste parole, di essere una persona sincera, che cerca la verità.
Il brano che abbiamo appena ascoltato ci riporta l’ultima parte del dialogo, che inizia parlando del serpente di Mosè nel deserto. Che cos’è? Durante il lungo periodo che gli Ebrei hanno passato nel deserto (trentotto anni!), girovagando prima di giungere alla terra promessa, il popolo si era ribellato a Dio. Come punizione Dio aveva mandato dei serpenti velenosi. Il popolo, spaventato, aveva chiesto perdono a Dio tramite Mosè, e Dio aveva indicato a Mosè cosa fare: costruire un serpente di bronzo e innalzarlo sopra un palo. Chiunque, dopo essere stato morso, avesse guardato il serpente di bronzo avrebbe avuto salva la vita.
Gesù parla di sé come di quel serpente di bronzo. Il Figlio dell’uomo sarà innalzato come il serpente. È evidente il riferimento alla crocifissione. In queste poche parole Gesù spiega a Nicodemo, anche se in modo un po’ misterioso, ciò che Gli accadrà e il motivo per cui il Figlio di Dio ha accettato di farsi uomo e di morire sulla croce. Gesù verrà innalzato sulla croce, come il serpente di bronzo. E come il serpente di bronzo ridona la vita.
Questo è il motivo per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo ed il motivo per cui è salito sulla croce: salvarci dalla morte. Non dalla morte fisica, come il serpente di bronzo, ma dalla morte eterna, dalla dannazione eterna, dal destino di eterna sofferenza che attende chi muore lontano dall’amore di Dio. Il veleno del peccato, che abbiamo in noi, se lo lasciamo agire ci può condurre alla vera morte, alla dannazione eterna. Per evitare questo Dio ci ha dato un rimedio: il suo Figlio crocifisso. Per avere salva la vita gli Ebrei dovevano guardare il serpente. Per non essere esclusi dalla vita eterna noi non dobbiamo limitarci a guardare il Crocifisso, ma dobbiamo credere in Lui: «chiunque crede in Lui ha la vita eterna».
Cosa significa credere in Lui, e cosa c’entra con la guarigione dal peccato? Credere non è soltanto una questione intellettuale, vale a dire ritengo che una certa cosa sia vera. Credere in Dio significa fidarsi di Lui e, di conseguenza, prendere sul serio le cose che ci ha detto. Significa – come dice il brano nella sua parte finale – accogliere la sua luce nella nostra vita, lasciando che illumini le nostre opere. Significa accogliere il bene e rifiutare il male. La vera fede ci porta a prendere sul serio il suo insegnamento, cioè fare ciò che a Lui piace e fuggire dal peccato. Una fede che non si concretizzi in un agire pratico è un vuoto parlare, è una cosa inutile. Ricordiamo le parole di Gesù: «non chi dice “Signore Signore” entrerà nel Regno di Dio, ma chi fa la volontà del Padre mio» (Matteo 7,21).
Per poter essere guariti, è anzitutto necessario che ci rendiamo conto di essere malati. Se non pensiamo di avere in noi il veleno (il peccato) non cerchiamo neppure l’antidoto (Gesù Cristo). Riconoscere di avere sbagliato, avere voglia di emendarci, di purificarci, di cambiare. Riconoscere che Gesù Cristo è Colui che può guarirci da questo male significa anzitutto accogliere la sua parola, il suo insegnamento, adeguare la nostra vita alla sua parola.
Oggi celebriamo la domenica Laetare, dalla prima parola dell’antifona introduttiva alla Messa (Laetare, in italiano: Rallegrati). Per questo si usano i paramenti di questo strano colore, un po’ meno cupo del viola della Quaresima. Il motivo della nostra gioia è proprio questo: che il Signore si è impietosito della nostra condizione di peccatori, non vuole abbandonarci al destino di morte eterna che ci siamo meritati. Il Signore vuole donarci una vita piena su questa terra e la vita eterna in Paradiso, ma non vuole farlo senza la nostra collaborazione. «Colui che ci ha creati senza di noi non ci salverà senza di noi», ci ricorda Sant’Agostino. Accogliamo la sua mano tesa, la sua proposta di salvezza, accettiamo di adeguare la nostra vita alla sua parola. La nostra vita, anche nelle difficoltà e nei dolori, non sarà mai priva della pace e della gioia che solo Dio sa donare.