L’Ariston della vita
di Maria Bigazzi
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ANCHE QUEST’ANNO SANREMO HA DATO IL PEGGIO DI SÉ
Anche quest’anno Sanremo ha dato il meglio – anzi, il peggio – di sé. Cliché triti e ritriti che per cinque giorni all’anno vengono sbattuti senza filtri in faccia a un’intera nazione. Niente di nuovo sul fronte occidentale viene da pensare. Forse ci si è abituati a vedere ogni sorta di immagine e ad ascoltare il sibilo stridente del pensiero politicamente “corrotto”.
E questo fa ancora più paura, perché significa che certi modelli sono entrati nel pensare comune, sono accettati anche da chi non li condivide pienamente, ma nel nome del conformismo e del sacro “respect”, vengono scusati e talvolta pure elogiati.
Sanremo è l’occasione per fare il punto della situazione sociale: sedersi e rendersi conto di quanto dall’anno precedente si è caduti ulteriormente in basso; Sanremo è la dimostrazione dei valori perduti, del decorso progressivo di un’epoca dove tutto è un palcoscenico dal quale chi non sale è fuori gioco, ma anche chi vi è sopra e cade è perduto ed eliminato.
Il tempo, che durante l’anno sembra scorrere inesauribile e senza sosta da non esserci nemmeno per il parente o l’amico bisognoso, torna magicamente nelle serate del Festival. I discorsi, le battute e i commenti si rifanno solo allo spettacolo deprimente della “canzone italiana”, che di canzone e di italiano ha ben poco, se non nulla.
Un mood che ci ricorda molto il periodo pandemico, dove non si poteva parlare di altro se non del virus e del fantomatico vaccino. Certo non stupisce vedere come oggi si viva di momenti di cose propagandate dai social media. E non stupisce vedere e ascoltare come la televisione di Stato si faccia promotrice di quel pensiero che tanto si deve inculcare nelle persone, e soprattutto nelle giovani menti.
Ecco perché non poteva certo mancare il cantante gay dichiarato in gonnella di pelle o quello in giacca di orsetti a fare la predica sulla diversità, rompendo quegli schemi che tanto infastidiscono, cercando di dimostrare chissà cosa.
AAA cercasi uomini degni di questo nome, vorremmo urlare.
Sgretolato il modello dell’uomo virile, del “maschio tossico”, si è ormai distrutto anche quello della donna in quanto tale, che tanto si proclama fautrice dei diritti, senza però rendersi conto (o forse sì) di essere schiava di un modello imposto, dove è più oggetto che persona.
È così che ai giovani si presenta un modo di essere che non corrisponde alla realtà, un mondo finto a cui conformarsi per fare parte di quella massa che urla dal palco contro la “mascolinità tossica”, mentre delinea l’uomo come un animale mostruoso e sfruttatore, quell’“uomo ricco, bianco e occidentale” da eliminare seduta stante, come ci ha ricordato la Mannino.
E c’è chi si asciuga la lacrima dinanzi agli sproloqui di chi viene pure pagato per farti sentire il verme consumista, patriarcale e medievale, ancora ancorato al passato oscurantista, che contribuisce alla rovina del Pianeta.
Non possono poi certo mancare i soliti attacchi velati alla Fede e alla Chiesa, facenti parte del pane quotidiano Rai.
Insomma, anche quest’anno il Festival della canzone italiana fa parlare di sé, e non in bene, anche se per molti non sarà così. Tutto diventa occasione per fare propaganda di pensiero, insinuandosi nelle menti attraverso modi, testi e abbigliamenti che sviano completamente dalla realtà.
Ci si trova così a vivere in un mondo finto, surreale, dove viene abbattuto il muro tra il bene e il male, dove si deve cogliere l’attimo, vivendo il “carpe diem”, il piacere simultaneo, perché nulla è più importante dei propri desideri, anche a costo di nuocere all’altro.
Aborto, eutanasia, diritti Lgbt, e chi più ne ha ne metta, sono la dimostrazione che la vita non ha più valore se non in un senso utilitaristico, dove al centro ci sono i desideri egoistici della persona. La vita stessa è diventata un palcoscenico, come quello dell’Ariston, dove mettere in mostra ciò che è più appetibile e vendibile.
Scriveva Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae che “larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie” (EV 4).
Sappiamo che tutto questo è ormai ben consolidato nel pensiero e nel vivere comune, dove la dignità umana è completamente sovvertita. Inoltre, la continua propaganda sui cosiddetti diritti Lgbt, ha ormai raggiunto ogni campo, stravolgendo il concetto di famiglia – quella naturale – mostrando che si è veramente liberi e coraggiosi se non ha paura di rompere gli schemi con provocazioni ed exploit fluidi.
“Deluso e amareggiato, ma deluso della vostra stupidità”, direbbe don Camillo dal pulpito. E oggi abbiamo bisogno che qualcuno – più che gridare allo scandalo, dando rilievo ai “ragli d’asino che non salgono al Cielo” – ribadisca l’importanza di tutti quei valori che la melma progressista sta cercando di affogare, per non abituarsi a modelli falsi e illusori che portano all’autodistruzione della persona.
C’è Chi dalla Croce ci ha già mostrato la via da seguire. Oggi e non domani, è il momento per ridare senso alla propria vita e uscire dal vortice iniquo di cui Sanremo è l’incarnazione palese. La vita, infatti, non è l’Ariston.
Un grande applauso alla Sig. Bigazzi autrice dell’ articolo.👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏
BRAVAAAA!!!!!!!