JFK, gli USA di Biden e una nave alla deriva

JFK, gli USA di Biden e una nave alla deriva

di Paolo Gulisano

JOHN FITZGERALD KENNEDY. ULTIMI DISCORSI (EDIZIONI OAKS, MILANO 2023 PREFAZIONE DI GENNARO MALGIERI)

Chi oggi guardi alla scena politica americana non può che essere preso da un senso di profonda preoccupazione, in particolare per la Politica Estera che  sembra animata da una incoscienza guerrafondaia della quale potrebbe fare le spese l’Europa.

La preoccupazione è ancor maggiore se si guarda ai vertici del Paese, alla Casa Bianca, dove nella Sala Ovale siede Sleepy Joe, altrimenti detto Bloody Biden, un uomo in cui i segni dell’Alzheimer sono sempre più evidenti, e che ha come vice una signora che sembra sia stata piazzata a Washington per rappresentare le istanze della subcultura Woke.

Lo scenario della Casa Bianca sembra evocare quanto diceva Søren Kierkegaard della società moderna: una nave alla deriva priva del Comandante e dove al timone si è venuto a trovare il cuoco di bordo. 

E’ chiaro che in questo momento, e forse non da oggi, il vero reggitore della maggior superpotenza mondiale è il Deep State, dove Biden non è che un prestanome. 

Ci fu un tempo tuttavia che l’America era guidata da veri, grandi statisti, uomini del calibro di John Kennedy. Dopo anni di martellante propaganda anti kennedyana, di fango gettato a palate sulla figura del primo presidente cattolico degli U.S.A., con la sua vita privata rovistata in ogni minimo angolo e diffamata con accanimento scientifico, la figura e l’opera di Kennedy vengono poste in tutt’altra luce dal libro pubblicato dalla Casa editrice Oaks, che raccoglie gli ultimi discorsi del Presidente assassinato a Dallas esattamente sessant’anni fa.  

Discorsi pronunciati soprattutto in Europa, e che confermano la lungimiranza di JFK, la cui Presidenza avrebbe davvero potuto cambiare, in meglio, la storia degli Stati Uniti e del mondo, se non fosse stata tragicamente stroncata nel Texas. La serie di discorsi dell’ultimo anno di vita di John Fitzgerald Kennedy delinea la figura di uno statista visionario e di un pragmatico politico che non rinuncia a far diventare prassi di governo i suoi sogni. E uno di questi, accanto al mito della ‘Nuova Frontiera’, è l’Atlantico più stretto. Ossia un legame dettato da un comune sentire tra l’Europa e l’America. Il che voleva dire, come dalle sue parole si evince, l’attuazione di un progetto ambizioso di restaurazione della civiltà dopo le due catastrofi mondiali. Kennedy aveva un’attenzione per l’Europa – potrebbe essere definito il presidente più filo europeo che l’America abbia avuto- perché consapevole delle proprie origini europee, e più precisamente irlandesi. A metà dell’800 la sua famiglia aveva dovuto lasciare l’Irlanda devastata da una mostruosa carestia – conseguenza non solo di un morbo che aveva fatto perdere per tre anni consecutivi i raccolti di patate, che erano l’unico alimento per una Nazione schiava dei latifondisti inglesi- ma anche per la crudele insipienza dell’Amministrazione britannica. Questa carestia fece un milione di morti, e costrinse un altro milione di irlandesi a lasciare la propria terra e emigrare in vari Paesi, principalmente gli Stati Uniti. Qui vennero accolti con una ostilità che era seconda solo a quella per i neri. La famiglia Kennedy riuscì a farsi strada nella società di Boston, e infine questo discendente di immigrati, di stretta osservanza cattolica, riuscì a diventare Presidente. Come tale, lanciò l’idea entusiasmante della “nuova frontiera”, che non era solo la formula nella quale John Kennedy decise di racchiudere il senso e la sfida della sua presidenza. Quando, nel luglio del 1960, la pronunciò per la prima volta, l’America si trovava in un passaggio difficile della sua storia, non tanto per i rischi di una perdita della supremazia strategica, in un mondo dominato dalla guerra fredda, quanto per una sorta di insicurezza, di calo di fiducia nel proprio potenziale e nei propri destini. A essere chiamata in causa era la dimensione della storia americana, la sua connaturata necessità di tendere verso nuovi obiettivi e nuove conquiste, pena l’insuccesso e la sconfitta. Un benessere materiale più solido e più largamente distribuito, una più forte acquisizione dei diritti e delle libertà di tutti, un abbattimento delle barriere e delle discriminazioni razziali, e in ultimo la disponibilità di ogni cittadino ad assumersi le proprie responsabilità.

I  discorsi e gli scritti raccolti in questo volume  ci mostrano cosa significa essere uno statista, cosa significa guidare le sorti di un Paese, cosa significa avere a cuore il bene comune. Il lettore potrà finalmente dimenticare tutta la spazzatura, i gossip, Marilyn Monroe che gli sono stati propinati dalla cultura mainstream, e scoprire un grande politico cui non era estranea la Dottrina Sociale cattolica.  

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