Ecco perché bisognerebbe difendere la civiltà del “lei”

Ecco perché bisognerebbe difendere la civiltà del “lei”

di Pietro Licciardi

IL “TU”, OGGI OBBLIGATORIO, NON SOLO E’ UN MOLESTO LASCITO RIVOLUZIONARIO MA ANCHE UN ATTENTATO A QUEL CHE RESTA DELLA CIVILTA’ CRISTIANA

Non so quanti condividono il mio personale fastidio per il dilagare del “Tu”, usato sempre e comunque: dallo sbarbatello dietro il bancone del bar, dalla giovanissima impiegata dell’ufficio postale, dal tizio appena conosciuto e col quale hai appena scambiato due parole.

Molesto lascito delle ideologie rivoluzionarie del XX secolo il “Tu” ha cominciato a dilagare con il Sessantotto, brandito a mo’ di arma con la quale abbattere il classismo e realizzare una società più giusta – perché fatta di “eguali”-  e più “fraterna”, secondo anche tanti cattolici convinti che la fede abbia a che fare con l’abuso della seconda persona singolare.

Invece l’uso obbligatorio del “Tu” sembra ormai essere divenuto piuttosto il sigillo della dilagante barbarie contemporanea, che ha ucciso le buone maniere e la cortesia le quali, ma guarda un po’, sono una invenzione della civiltà cristiana. Esse infatti non sono un vuoto e ipocrita formalismo ma come amava insegnare san Francesco di Sales sono il principio della santità e anche ciò che ha permesso per secoli a dei perfetti estranei, ciascuno con il proprio bel caratterino o particolari vezzi e abitudini di convivere in decorosa e passabile armonia in affollati conventi.

Del resto troppo spesso si trascura un particolare assai rivelatore: nelle diciotto apparizioni di Lourdes la Signora, non diede mai del “Tu”, ma sempre del “voi”, all’analfabeta Bernadette, miserabile figlia di un padre straccione, che aveva conosciuto anche la prigione. Eppure nessuno aveva mai usato con la giovinetta il “voi”; meno che mai preti e vescovi, che anche in seguito la interpellarono a lungo con uno sbrigativo “Tu”.

Ma oggi sono proprio i cattolici a sbracarsi più di altri nonostante a quanto pare si tengano educate distanze persino in Paradiso.

Purtroppo i credenti e specialmente i sacerdoti – peraltro in buona fede – hanno una concezione della “fraternità” troppo orizzontale, come quella che si crea in un sindacato o in un partito, influenzati come siamo da una modernità atea, mentre in una prospettiva di fede si è davvero “fratelli” solo quando scopriamo di avere lo stesso Padre nei cieli. Cosa che non è scontata e automatica ma una conquista.

Per rendersi conto che l’abbandono delle buone e sane pratiche che appartengono alla civiltà cristiana non è mai un “progresso” basterebbe conoscere un po’ meglio la storia. La Rivoluzione francese ad esempio; quando quel consesso di demoni che fu la Convenzione giacobina, dalla quale scaturì il Grande Terrore, in uno dei suoi innumerevoli decreti con i quali si doveva forgiare l’ “uomo e la società nuovi” stabilì che i titoli di Monsieur e Madame erano aboliti e sostituiti con quelli di cittadino e cittadina, imponendo al contempo a tutti di darsi del “Tu”. Chi avesse osato restare al “voi” sarebbe diventato un “sospetto” passibile di ghigliottina.

L’esempio di Robespierre sarà poi seguito da Lenin e da Stalin: Siberia o plotone di esecuzione per chi usasse ancora “signore” e “signora” invece dell’obbligatorio “compagno” mentre nella Germania nazionalsocialista era assai poco salutare rivolgendosi a qualcuno fare a meno dell’altrettanto egalitario “kamaraden”.

Ogni totalitarismo impone la sua “fraternità” a colpi di “Tu” obbligatorio. Dunque, non è questione solo di gusti o di galateo: l’impegno per salvare il “lei” o, per chi preferisca, come al Sud, il “voi” è un piccolo ma significativo impegno per la libertà e per salvare ciò che resta di cristiano dalla odierna furia neo-rivoluzionaria.

Sarà anche per questo che, a Lourdes, la voce dal Cielo si rivolse alla misera ragazzina come a una damigella?

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