Cittadinanza breve: Avvenire torna alla carica
di Pietro Licciardi
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DIVENTARE CITTADINI NON GARANTISCE L’INTEGRAZIONE
Ci risiamo, ecco che le trombe del buonismo ricominciano a suonare per chiamare a raccolta le truppe con le quali iniziare una nuova campagna a favore della cittadinanza, da concedere urbi et orbi. Prima ci hanno provato le sinistre con lo jus soli, poi sinistre e associazionismo anche cattolico con lo jus schole o jus culturae; adesso torna alla carica Avvenire che il 6 Febbraio in prima pagina ha chiesto di rivedere le norme per fare diventare cittadini italiani un milione di giovani stranieri solo perché sono nati qui e hanno frequentato le nostre scuole.
La cittadinanza, contrariamente a quanto anche Avvenire vuol far credere, non è affatto un fattore di integrazione, soprattutto se priva di alcuni requisiti fondamentali. Uno per tutti la condivisione di lingua, valori, sentimenti e tutto ciò che costituisce la cultura di un popolo. Tutto questo dovrebbe darlo innanzitutto la famiglia e in seconda battuta la scuola. Parliamo di valori e sentimenti che noi stessi coltiviamo ormai ben poco, figuriamoci quanto se ne possano interessare le famiglie straniere che oltretutto con i loro paesi di origine mantengono saldissimi legami grazie alla tv satellitare e a internet.
Della scuola non parliamo. Gli studenti, stranieri e non, escono fuori senza conoscere la storia patria, hanno una scarsa e superficiale infarinatura della letteratura e sono praticamente a digiuno di geografia, al punto da avere serie difficoltà a elencare i capoluoghi di provincia della nazione in cui vivono.
Quindi c’è da chiedersi: dove veramente vogliano andare a parare gli assertori della cittadinanza a qualunque costo? Soprattutto se si tiene conto che i figli minori di stranieri regolarmente residenti in Italia godono esattamente di tutti i diritti civili e sociali riconosciuti in ogni campo ai cittadini italiani minorenni.
Dove vogliono andare a parare le sinistre lo sappiamo: preparare un nuovo elettorato, dopo che la classe operaia e i ceti più deboli della società le hanno voltato le spalle. Ma i cattolici? Tanto più che regalare la cittadinanza è contrario alla Dottrina sociale della Chiesa.
I minori stranieri in Italia possiedono già una cittadinanza e precisamente quella dei loro genitori (o almeno di uno di essi, nel caso di genitori di diversa cittadinanza). Sono dunque già organicamente inseriti, come famiglia, in una comunità nazionale e nella sua storia, pur vivendo per varie ragioni e in vari modi, in un paese straniero. Semmai l’attribuzione d’imperio di una nuova cittadinanza, secondo l’esperienza di chi all’estero ci ha vissuto, più che integrazione suscita disagio e una forte interrogazione sulla propria appartenenza.
Anzi, sono evidenti semmai le conseguenze negative di una tale innovazione in quanto si andrebbero a creare delle famiglie attraversate al loro interno da due diverse legislazioni, e con dei cittadini italiani minori soggetti alla patria potestà di cittadini stranieri. Non è difficile immaginare tutte le aggrovigliate conseguenze giuridiche e patrimoniali che ne deriverebbero.
Quindi cui prodest?
Probabilmente a chi mira alla ulteriore e definitiva dissoluzione della nostra patria e nazione, ritenuti evidentemente concetti superati in questi tempi di globalizzazione e multiculturalismo ideologico; in una Europa sempre più liquida, che investe ingenti risorse in progetti come Erasmus per creare generazioni di apolidi.
I cattolici, anziché farsi strumentalizzare da chi intende far leva su un superficiale buonismo farebbero bene a ripassarsi un po’ di san Giovanni Paolo II, che ha ben spiegato il valore e il significato della patria e di appartenere ad una nazione. Cose, entrambe, che non è concesso a nessuno svendere a buon mercato concedendo facili cittadinanze.