Il tempo di Dio e il tempo dell’uomo

Il tempo di Dio e il tempo dell’uomo

di Francesco Bellanti

DA NIETZSCHE A DANTE, A PETRARCA, A RILKE, A CARDARELLI, A SENECA, A SANT’AGOSTINO,   DIVAGAZIONI SPARSE SULLA FAMA, SULL’IMMORTALITÀ, SUL TEMPO, SULLA MORTE, SUL SENSO DELLA VITA

A una certa età – diciamo intorno ai settant’anni – uno comincia a guardare indietro e cerca di capire se la sua storia ha avuto un senso, se ha vinto o perso la sua partita. Questo accade in genere quando si va in pensione, perché cambiano le abitudini, si trascorre più tempo con sé stessi, e irrompono altri pensieri, e tra questi pensieri si presenta anche quello della morte, del tempo che così rapido è passato. Allora ricordiamo il tempo della maturità, poi quello della giovinezza, poi ancora quello dell’infanzia, facciamo il conto degli anni veramente vissuti, delle mete raggiunte, dei fallimenti, rispetto a quello che abbiamo desiderato fare o sognato. Ci   chiediamo se potevamo giocarla diversamente la nostra partita, se siamo entrati nella nostra storia e in quella degli altri, se abbiamo compiuto il nostro destino. Ripercorriamo come in un film tutta la nostra vita, gli studi, i viaggi, le amicizie, gli amori. Purtroppo, riemergono anche fantasmi del passato, vecchi rancori, odi, rimorsi, rimpianti, e così può accadere che non troviamo mai la pace. 

In questi momenti, noi ci domandiamo se abbiamo lasciato il segno, come un monumento eterno, oppure se siamo appassiti e caduti soli come le foglie, foglie che la prima folata di vento in autunno spazza via per sempre, soggiacendo al tempo che prima o poi porta via tutto. Pensiamo ai poeti e ai filosofi che abbiamo studiato, e cerchiamo qualche risposta. Ci sono quelli che sostengono che bisogna vivere solo il presente, che dobbiamo allontanarci dalle insidie del passato e del futuro, e pensiamo a Orazio, a Seneca, a Boccaccio, a Leopardi, a Nietzsche, a Severino, a tanti altri, ma è la quiete di un momento, perché il futuro è incerto, e il passato è un’ossessione, ritorna sempre con le sue immagini spettrali.

Dice Hermann Hesse in Siddharta (1922) che “la maggior parte degli uomini sono come una foglia secca, che si libra nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come le stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che li tocchi, hanno in sé stessi la loro legge e il loro cammino”. È proprio così. E io ho sempre pensato di appartenere ai pochi. Soggiungo che ci sono uomini che vivono come se la loro vita dovesse concludersi in ogni momento, e perciò si comportano come se ogni loro gesto dovesse consegnarsi per sempre alla posterità. Sono gli immortali. Così dovettero apparire, a quelli che li conobbero, Pompeo, Cesare, Napoleone, Goethe, Hitler, Stalin, e tanti altri. Perché così si sentirono loro. Scrive Rainer Maria Rilke nel Diario fiorentino che “Coloro che sentono l’eternità sono al di sopra di ogni angoscia. Dentro ogni notte vedono il luogo in cui farà giorno, e trovano conforto”. Non è imprudente affermare che così è stato per tanti altri. Nei tempi moderni, i dittatori certamente si sono comportati così, lo testimoniano non solo i filmati, le scenografie, le testimonianze dirette. Per esempio, quando Hitler doveva apparire o parlare in pubblico, organizzava tutto (con Goebbels) in modo maniacale. Per i grandi uomini del passato, si devono leggere i loro scritti, capire le loro azioni, consultare i documenti, leggere le testimonianze di chi li ha conosciuti.

Ma che cosa dà l’immortalità? La scienza, l’arte, la poesia, la medicina, la fisica? L’impresa militare, la conquista, la politica? La religione, la filosofia? E perché? Prima di dare una risposta, occorre precisare che non dobbiamo confondere la gloria terrena con la vera immortalità.

La gloria terrena è fugace e dura poco, ci dice Dante nel Purgatorio, XI, il canto dedicato ai superbi.

Non è il mondan romore altro ch’un fiato

di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi,

e muta nome perché muta lato.

(Dante, Purgatorio, XI, vv. 100-102)

La Fama sconfigge la Morte, scrive Petrarca nei Trionfi, ma il Tempo, invidioso della Fama, accelera il corso del sole nel cielo, in modo che sulla Terra ci si dimentichi presto di Laura. Ma la Terra gioca in favore del poeta, scomparendo e lasciando il posto al mondo senza Tempo, il mondo dell’Eternità, che trionfa su tutto: 

E quei che Fama meritaron chiara,

che ’l Tempo spense, e i be’ visi leggiadri

che ’mpallidir fe’ ’l Tempo e Morte amara,

l’obblivïon, gli aspetti oscuri et adri,

più che mai bei tornando, lasceranno

a Morte impetuosa, a’ giorni ladri;

ne l’età più fiorita e verde avranno

con immortal bellezza eterna fama.

(Trionfo dell’Eternità, vv. 127-134)

La morte, sì, è un pensiero ricorrente. Tornano in mente pensieri e versi di poeti che hanno parlato della morte. Ci si aspetta sempre una morte amica, leggera. Ecco alcuni versi di un poeta moderno, semplice e povero. Come tutti i veri poeti. Vincenzo Cardarelli.

……

Sul punto di varcare

in un attimo il tempo,

quando pur la memoria

di noi s’involerà,

lasciaci, o Morte, dire al mondo addio,

concedici ancora un indugio.

L’immane passo non sia

precipitoso.

Al pensier della morte repentina

il sangue mi si gela.

Morte non mi ghermire

ma da lontano annùnciati

e da amica mi prendi

come l’estrema delle mie abitudini.

LA MORTE

Ma chi vuole entrare nella storia, inevitabilmente, pensa di non dover morire per sempre, perché crede di entrare nell’eternità. Perché inconsciamente pensa che la storia non debba mai finire. Che esista l’eternità. Sulla Terra non dovrebbe esistere l’eternità. Basta appena un cataclisma planetario, un asteroide, una calamità solare, una catastrofe climatica, un virus devastante, una guerra apocalittica, e tutto può finire in un attimo.

Ma perché si vuole credere nell’eternità? Perché ci sono uomini che desiderano passare all’eternità? All’immortalità? Ci sono quelli che credono nell’eterno ritorno, e perciò entrare nell’eternità da grandi e da immortali è comunque la certezza che niente finisce per sempre e l’immortalità è sempre garantita. Perché prima o poi si ritorna. E possiamo cambiarla, questa immortalità, darle un altro destino. Parliamo dell’eterno ritorno teorizzato dal grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Così molti si consolano con l’idea che la morte non esiste, che la vita prima o poi ritorna, che la morte è un equivoco perché l’intero universo è energia che fa accadere le cose e gli eventi, e in un tempo infinito anche gli stessi eventi, perché l’energia diventa sempre materia e viceversa. E sia. Ma quando si muore, ci chiediamo dove migra la coscienza: se continua a vivere in un altro corpo senza avere memoria della vita precedente è comunque sempre morte. Perché avremo sempre la percezione della morte. L’anima – o la coscienza – non conosce mutamento, né decadimento. Ma noi non possiamo scegliere quel che vogliamo essere, e anche se potessimo, ci annoieremmo per l’eternità. Di esistenza in esistenza, di mondo in mondo, nell’eternità il tempo non esiste. E in questo circolo perfetto, se non esiste il tempo, non esiste nemmeno la morte. La materia e l’energia sono eterne, il Big Bang non è mai avvenuto. E se tutto è eterno, non esiste nemmeno Dio. Niente ha inizio e niente ha fine. Noi siamo frastornati perché vediamo con i nostri occhi tutte le cose divise, frantumate, separate, e invece tutto è Uno. Eterno. Materia ed energia.

Ci sono poi persone che credono che la parabola di un uomo non si conclude, sì, con il suo passaggio sulla terra, ma pensano a un’altra immortalità. Sono quelli che hanno fede, che credono in un mondo ultraterreno. In un Dio che ha creato tutto, l’universo, il tempo. Il tempo che un giorno finirà. Il tempo lineare contro il tempo circolare. Il tempo di Dio che crea e decreta la fine. Dio che viene a salvare l’umanità, che dopo la fine di tutto vivrà nel tempo di Dio.

Sul tempo, molto ha riflettuto il grande filosofo stoico e poeta latino Seneca. Seneca afferma che il tempo non è poco ma noi lo impieghiamo male o lo sprechiamo, non è vero che il tempo passa veloce e ci travolge sotto la valanga della brevità. Nella prima delle Lettere morali a Lucilio, dice il nostro filosofo: “Fa’ così, caro Lucilio: renditi veramente padrone di te e custodisci con ogni cura quel tempo che finora ti era portato via, o ti sfuggiva. Persuaditi che le cose stanno come io ti scrivo: alcune ore ci vengono sottratte da vane occupazioni, altre ci scappano quasi di mano; ma la perdita per noi più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. Se badi bene, una gran parte della vita ci sfugge nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta quanta nel fare altro da quello che dovremmo. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo e alla sua giornata, e che si renda conto com’egli muoia giorno per giorno? In questo c’inganniamo, nel vedere la morte avanti a noi, come un avvenimento futuro, mentre gran parte di essa è già alle nostre spalle. Ogni ora del nostro passato appartiene al dominio della morte. Dunque, caro Lucilio, fa’ ciò che mi scrivi; fa’ tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Tutto, o Lucilio, dipende dagli altri; solo il tempo è nostro”.

VIVERE IL PRESENTE, DUNQUE

Il discorso sul tempo, sulla morte e sull’eternità, allora, non può che condurre a Sant’Agostino, per il quale il tempo esiste solo in Dio e con Dio. Potremmo parlare di altri teologi e dottori della Chiesa, ma ci fermiamo qui. Agostino d’Ippona basta. Nel libro XI delle Confessiones, rispondendo all’obiezione di quelli che sostengono che, se Dio è eterno, deve esserlo anche il mondo, e si chiedono che cosa facesse Dio prima di creare il mondo, Sant’Agostino afferma che questa è una domanda priva di senso. Perché il tempo è creato da Dio, e non esiste pertanto né un prima né un dopo. I secoli e i millenni prima di Dio non sono mai esistiti. Non può esistere un tempo non iniziato da Dio. Seguendo questa logica, Agostino afferma che non esistono il passato e il futuro, ma solo il presente, perché il tempo è un’estensione del nostro spirito, e il nostro spirito è continuamente attento al presente: il presente passa continuamente, ma l’attenzione dello spirito perdura. Ed è solo nello spirito che esistono l’attesa del futuro e la memoria del passato.

E allora viviamo il presente, abbandoniamoci al presente, non lasciamoci travolgere da sentimenti di fallimento o di successo, di gloria, o d’immortalità. Nulla di tutto ciò ci darà la pace. Solo Dio ci darà una risposta.

Perché il discorso sul tempo, sulla fugacità del tempo, sul sentimento della morte, sulla vacuità di tutte le cose, sul senso di smarrimento, può trovare, sì, una risposta nella filosofia, nella poesia, nella scienza, in un’ideologia, ma molto più spesso trova la sua pace nell’ordine che governa l’universo, nell’Amore che ha creato tutto e su tutto si espande, in Dio, che vince su tutto e su tutto fa luce, sui rancori, sui rimpianti, sui rimorsi, sull’immortalità, sulla morte, sul nulla, sull’incontaminato nulla.

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Che bel.Minestrone.
L’umiltà evita indigestione di questo
ed altro tipo.