Fare figli? E’ soprattutto un dovere
di Pietro Liccardi
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SENZA NASCITE NIENTE PIU’ FAMIGLIE, SOCIETA’ E PATRIE
Purtroppo la sveglia demografica ha cominciato a suonare forse troppo tardi e non è detto a questo punto che si possa invertire la corsa verso il suicidio etnico e culturale che porterà alla scomparsa dell’Italia, così come la conosciamo. Perfino la politica ha cominciato a farsi qualche domanda sul nostro futuro di società e di nazione, mentre invece la gente comune resta imbambolata, incapace di immaginare le drammatiche conseguenze di un futuro senza figli.
Oggi si preferisce mettersi in casa gatti e cagnolini anziché bambini, senza riflettere sul fatto che quando ci si ritroverà vecchi, divorziati o separati, senza pensione e un servizio sanitario al collasso lo Stato non darà altra alternativa alla miseria e alla disperazione che una iniezione di eutanasico veleno.
FARE FIGLI E’ UN DOVERE
Purtroppo il fare figli è oggi, ma non solo oggi, considerato un fatto privato; anzi, privatissimo mentre al contrario è anche un dovere. E’ un dovere verso la propria famiglia, verso la società e verso la Patria; termine questo che farà accapponare la pelle a molti ma che dal punto di vista cristiano ha – o almeno dovrebbe avere – un altissimo significato.
Fare figli è un dovere e una responsabilità per la famiglia in quanto con essi si tramanda la memoria e l’opera di chi ci ha preceduto, che col suo sacrificio ha permesso a noi oggi di essere qui. Pensiamo ai nonni e ai bisnonni che si sono fatti ammazzare in guerra sperando che potessimo avere una vita migliore o che hanno consumato la loro vita e il loro ingegno per costruire qualcosa da tramandare alle loro generazioni.
E’ un dovere nei confronti della società, che senza i giovani non può vivere. Se noi andiamo in pensione ormai a settant’anni non è perché i cattivoni al governo vogliono vederci schiattare sulle scrivanie o nelle fabbriche ma perché non ci sono giovani che con le loro tasse tengono in salute il sistema previdenziale, la sanità e i servizi. Senza il loro ingegno, il loro lavoro, la loro voglia d’ intraprendere l’intera impalcatura sociale si affloscia e chi verrà dopo avrà una vita sempre più grama.
PENSANDO ANCHE ALLA PATRIA
Infine è un dovere anche nei confronti della Patria. Giovanni Paolo II, il papa polacco, nel 1974 scrisse una poesia, Pensando patria, tutta da meditare: «Quando penso “patria”, esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno». la Patria non rimanda affatto ad un muro, ad una torre, ad un filo spinato. A tutto quello, cioè, che il mainstream rigurgita ogni giorno sul tema. Al contrario, la parola patria rimanda ad una finestra che si apre sugli altri, «una frontiera segreta che da me si dirama».
Una finestra però destinata a chiudersi senza qualcuno che raccolga e tramandi tradizioni, cultura, storia; quel passato più antico di ognuno. Oggi le nostre città, le nostre chiese e i nostri borghi, attraverso noi ancora vivono e ci parlano dei millenni trascorsi. Ma quando qui ci saranno quasi solo stranieri ai quali di questa Patria non importa nulla, sarà come aggirarsi oggi per le località del Nordafrica, piene di vestigia dell’antica Roma: sassi che testimoniano un passato che lì è morto e dimenticato.
SAN GIOVANNI PAOLO II
Nel nostro odierno meschino e asfittico egoismo che ci fa mettere i figli all’ultimo posto della nostra “scaletta”, chiudiamo ancora con san Giovanni Paolo II il quale nel suo discorso del 5 Ottobre 1995, all’Assemblea generale dell’Onu, pronunciò una sbalorditiva allocuzione, almeno per la nostra odierna “sensibilità”, in cui, dopo aver ricordato che «il diritto all’esistenza implica, per ogni nazione, anche il diritto alla propria lingua e cultura, mediante le quali un popolo esprime (..) sua originaria “sovranità” spirituale», arrivò addirittura a parlare di “sopravvivenza delle nazioni”; purtroppo oggi sull’orlo della morte demografica e culturale.