Le tasse ci impoveriscono, senza arricchire lo Stato

Le tasse ci impoveriscono, senza arricchire lo Stato

di Pietro Licciardi

JEAN BAPTISTE SAY, UN ECONOMISTA DA RISPOLVERARE, IN QUESTA EPOCA IN CUI IL FISCO E’ TIRANNO E LO STATO SPRECA

Probabilmente saranno stati in parecchi anche quest’anno a vede sfumare gran parte della tredicesima natalizia in tasse e balzelli, il che ha fatto cadere l’occhio sul Trattato di economia politica di Jean-Baptiste Say (1767-1832) che è stato uno dei più influenti testi d’economia nell’Europa continentale e negli Stati Uniti durante la prima metà del XIX secolo. Oggi, l’economista francese è pressoché dimenticato e si capisce il perché, essendo un acerrimo nemico della tassazione che va a beneficio di uno Stato improduttivo, incapace di aumentare la domanda di prodotti e che anzi si sostituisce alla produzione del privato che è stato tassato. Un processo, quello del prelievo fiscale, che non solo non aumenta la domanda aggregata, ma la riduce a causa dell’effetto disincentivante sulla produzione in quanto il mero incoraggiamento al consumo non è di nessun beneficio al commercio, dato che le tasse diminuiscono i mezzi per acquistare e non stimolano il desiderio di consumare. Solo la produzione può fornire questi mezzi. 

Per questa ragione – osserva Say – un buon governo cerca di stimolare la produzione, mentre un cattivo governo cerca di incoraggiare il consumo. Il nostro pensatore infatti non vede lo Stato come una benevola organizzazione quasi volontaria che fornisce servizi ai propri clienti in cambio delle tasse versate. La tassazione per Say è invece una imposizione coercitiva imposta al pubblico a vantaggio del governo e il fatto che le imposte siano votate dal parlamento non le rende volontarie, dal momento che il potere dello Stato di fatto non lascia al popolo nessuna possibilità di rifiuto

Un’implacabile ostilità verso la tassazione pervade tutta l’opera dell’economista francese, il quale tende a vedere nella tassazione l’origine di tutti i mali della società, comprese le recessioni economiche. Le tasse infatti danneggiano sempre la produzione, perché sottraggono agli individui delle risorse che avrebbero utilizzato in maniera differente: «La tassazione priva il produttore di un bene che avrebbe potuto destinare a una propria gratificazione personale, se consumato […] o impiegato profittevolmente, se investito. Le risorse servono a produrre altre risorse, per cui la sottrazione di beni a chi li ha prodotti deve necessariamente diminuire, anziché aumentare, la capacità produttiva».

Del tutto assurda, quindi, è la tesi secondo cui un’alta tassazione stimola la produzione, perché costringe gli individui a lavorare di più per mantenere inalterato il proprio livello di vita. In questo modo, osserva Say, è come se lo Stato dicesse all’individuo: “lavora di più, così ricevo più fondi per tiranneggiarti ulteriormente!”. La verità è che l’aumento del prelievo fiscale moltiplica le privazioni, ma non certo le soddisfazioni, di chi lavora.

L’eccessiva imposizione fiscale, per Say, è «una forma di suicidio nazionale» che comporta sempre degli effetti devastanti per la società: «La tassazione spinta all’estremo ha lo spiacevole effetto di impoverire l’individuo senza arricchire lo Stato».

I fondi ottenuti con le imposte sono quindi estorti con la coercizione ai contribuenti, e spesi a uso e consumo del governo, per cui «la porzione di ricchezza che passa dalle mani del contribuente a quelle dell’esattore viene distrutta o annichilita». 

Il discorso merita di essere approfondito, anche perché è di una straordinaria attualità, se pensiamo alle enormi somme sperperate dallo Stato in impieghi ideologici, inutili se non dannosi, – pensiamo agli incentivi alle fonti energetiche rinnovabili, a quelli per i monopattini elettrici elargiti in piena pandemia o il folle acquisto, 461 milioni di euro, dei banchi a rotelle per le scuole –. E va a farsi benedire anche la giustificazione che le tasse pagano servizi essenziali per il cittadino, se pensiamo alla qualità scadente della sicurezza, della sanità, dei trasporti pubblici o alla ormai quasi inesistente giustizia; tutti servizi peraltro sovvenzionati dallo Stato a peso d’oro.

Del resto secondo la Dottrina sociale della Chiesa se vi è un dovere dei singoli a pagare le tasse vi è un altrettanto stringente dovere per lo Stato di comportarsi come il buon padre di famiglia, ovvero spendere bene il denaro prelevato, senza inutili sprechi. Dovere oggi ampiamente disatteso e sul quale occorrerebbe invece ragionare.

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