La pseudo-democrazia delle bolle e il dominio schiacciante dei social media
di Daniele Trabucco
–
SIAMO IN PIENA “BUBBLE DEMOCRACY”
Il prof. Damiano Palano, acuto filosofo della politica e direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha pubblicato nel 2020 un interessantissimo saggio dal titolo “Bubble Democracy: la fine del pubblico e la nuova polarizzazione”.
L’opera mette molto bene in evidenza come, a partire dalla crisi delle masse degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso che iniziano, in quel periodo, a perdere progressivamente la loro centralità politica, sia emerso un nuovo soggetto, il “pubblico”, formato dalla sterminata platea televisiva che oggi, con il dominio schiacciante dei social media, ha subito una profonda frammentazione in una pluralità di segmenti privi di radicamento nell’ambito di una sfera comunicativa comune.
L’espressione “bubble democracy” indica, pertanto, che, dopo la democrazia dei partiti e la democrazia del pubblico, si è affermato un assetto caratterizzato da una miriade di “bolle” in buona parte autoreferenziali.
È ovvio che lo stabilizzarsi di questa realtà va inevitabilmente ad incidere sui concetti stessi di democrazia e di rappresentanza politica. In primo luogo, si viene a determinare una forte cyber/polarizzazione ove ciascuno sente unicamente l’eco amplificato della propria “bolla di riferimento”.
Questo inevitabilmente porta non solo alla conferma delle proprie posizioni di partenza, ma anche alla loro estremizzazione con contestuale chiusura pregiudiziale rispetto alle possibili alternative. In secondo luogo, grazie alla pervasività dei social media nella vita degli utenti, non solo si riesce a porre in essere un’informazione giornaliera personalizzata, ma addirittura la si supera pervenendo ad un’informazione passiva che viene offerta all’utente dall’intelligenza artificiale sulla base del profilo personale designato dall’algoritmo.
Tutto questo richiede ai partiti nuove indagini sulle modalità di comunicazione con i potenziali elettori, il progettare e gestire campagne di indagine etc. Ovviamente, il tutto è più semplice per le forze politiche di maggiori dimensioni, dotate di più risorse, rispetto ai partiti più piccoli che vengono penalizzati in partenza in termini di costruzione del consenso, benchè tutti si trovino di fronte ad un sistema social quale vero censore e controllore dell’agorà digitale.
Nell’Ordinamento italiano manca una disciplina organica del fenomeno, al di là di alcune decisioni dell’AGCOM (come la delibera 05 aprile 2019, n. 109 adottata in vista delle elezioni europee) che, peró, non sono cogenti, lasciando la soluzione dei problemi alla autoregolamentazione degli stessi social networks.
Pure il recente regolamento UE n. 2065/2022 (c.d. Digital Service Act) presenta più profili critici rispetto a quelli che risolve, soprattutto per la lotta alla disinformazione che si rivela una sorta di censura nascosta. Ci si deve, allora, rassegnare ad una proliferazione delle “bolle” con sempre maggiore inadeguatezza della democrazia rappresentativa (ove molte decisioni sono sottratte al decisore politico sia per la presenza di Autorità amministrative indipendenti, sia per la allocazione a livello di Unione Europea di molte decisioni) oppure si possono avanzare alcune proposte?
Sicuramente la necessità di ritornare ad un pensiero forte, roccioso, fondato sull’ordine naturale che respinga, con la forza dell’argomentazione razionale, le “bolle ideologiche” che permeano il sistema, incrementando la conflittualità sociale; ripensare gli istituti di democrazia diretta e la legge elettorale; affrontare le diverse tipologie di rappresentanza con il problema endemico del “quantum” di rappresentanza stessa etc.