Quei bambini privati del diritto di vivere dagli inglesi
di Rita Lazzaro
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UNA BARBARIE CHE CONTINUA. DOPO INDI A CHI TOCCHERA’?
Come è noto, il 1° dicembre scorso il vescovo di Nottingham ha celebrato i funerali della piccola Indi Gregory, la bambina inglese di 8 mesi, affetta da una rara malattia mitocondriale, morta dopo che le sono stati staccati i supporti vitali “nel miglior interesse del bambino”.
Un braccio di ferro tra la famiglia della piccola e il sistema sanitario, supportato da quello giudiziario e che, purtroppo, vedrà la sconfitta dei primi. Un epilogo tragico nonostante il governo Meloni avesse concesso la cittadinanza italiana per agevolare il trasferimento della bambina in Italia. Uno spostamento vietato dai giudici britannici, perché la piccola era incurabile, nonostante la disponibilità del Bambino Gesù a prendersene cura.
Una vita stroncata sul nascere nel ” Best interest of child”.
C’è forse qualcosa di più aberrante? Sì, c’è, averne condannati altri in precedenza. Andiamo al 4 agosto 2016, data di nascita di Charlie Gard, un bambino nato perfettamente sano ma, dopo circa un mese, i genitori – Chris Gard e Connie Yates – notarono che il bimbo aveva serie difficoltà di movimento. Purtroppo, si scoprì che il bambino versava in una grave malattia genetica rara, una forma di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. Una malattia che provocava un progressivo indebolimento dei muscoli e danni cerebrali per la quale non esistono cure. Anche qui ci fu un braccio di ferro tra famiglia e il connubio medici e tribunali. Infatti, questi ultimi avevano dato ragione ai primi. Alla fine, ormai sconfitti, Chris Gard e Connie Yates avevano chiesto di poter portare Charlie a casa, nella sua cameretta, e staccargli lì i macchinari che lo tenevano in vita. Quella cameretta che il piccolo non aveva mai visto, essendo stato ricoverato in ospedale sin dalla nascita. Ma anche qui ci sarà un secco “no” dei medici e dei giudici, perché in ospedale c’erano gli strumenti necessari per ridurre al minimo le sofferenze del bambino
Il calvario della famiglia Gard terminò il 28 luglio 2017, quando i genitori di Charlie annunciarono la morte del piccolo di soli undici mesi: “Il nostro piccolo meraviglioso bimbo se ne è andato. Siamo così orgogliosi di te Charlie”. È così che è morto un bambino di undici mesi. Ma non finisce qui.
Andiamo al 2018, alla morte di un’altra piccola vittima, ovviamente sempre in nome del “Best interest of child”. Si tratta del piccolo Alfie Evans. Tutto ebbe inizio nel maggio del 2016, ossia alla nascita del piccolo che, purtroppo, fin da subito, aveva manifestato i sintomi di una malattia grave, neurodegenerativa appunto, associata a una forma pesante di epilessia. Uno stato di salute che si ostinava a peggiorare e che perciò aveva portato sia i medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool che gli specialisti chiamati dalla coppia a giungere alla stessa conclusione: «la condizione di Alfie è irreversibile e non più curabile». Restava però un altro aspetto da decidere: il modo meno doloroso per accompagnare Alfie nel suo ultimo viaggio. Ed è qui che ci fu uno scontro tra i medici dell’Alder Hey e quelli del Bambino Gesù. I pediatri di Liverpool “nel miglior interesse del bambino” avevano deciso di “staccare la spina” delle macchine che lo tenevano ancora in vita.
Una posizione che non avevano condiviso né i genitori né il Bambino Gesù che, invece, aveva proposto una tracheotomia e un’alimentazione tramite Peg». In pratica l’alimentazione artificiale. Ma questo per i medici inglesi era un «accanimento terapeutico». Una diatriba che aveva portato l’intervento della magistratura, la quale confermò le indicazioni dei medici dell’Alder Hey Children’s Hospital: staccare la spina.
Nel 2022 toccò ad Archie Battersbee, il dodicenne morto il 6 agosto. “Sono state tolte tutte le medicazioni alle 10. Le sue condizioni sono rimaste completamente stabili per due ore, finché gli è stata ridotta la ventilazione. A quel punto è diventato completamente blu. Non c’è nulla di dignitoso nel guardare un familiare o un bambino soffocare. Nessuna famiglia dovrebbe essere costretta a vivere questo. È una barbarie”, è così che Ella Carter, zia della piccola vittima, aveva descritto la morte, che sa l’esecuzione, del dodicenne. Una barbarie alla quale la famiglia di Archie si era opposta con tutte le sue forze ma invano. Un incubo che aveva avuto inizio il 7 aprile, quando Hollie Dance aveva trovato suo figlio Archie, privo di sensi, strangolato accidentalmente in casa a Southend-on-Sea, nell’Essex. Probabilmente per aver tentato la “sfida del blackout”, una pericolosa moda che aveva preso piede su Tik Tok e che aveva ucciso almeno altri due bambini.
Ed anche qui, com’era successo nel 2017 col piccolo Archie, alla famiglia fu impedito di garantire una morte dignitosa al figlio, ossia il trasferimento di Archie all’ospizio di St. Mary.
Infatti, anche in quel caso, il trasferimento in ambulanza in un ambiente completamente diverso molto probabilmente avrebbe accelerato “quel prematuro deterioramento che la famiglia vuole evitare”. Bambini privati del diritto di vivere “in nome del loro miglior interesse” e genitori con le mani legate contro questa barbarie.
Ma in questo scenario di morte c’è anche una storia con un lieto fine, quella della piccola Tafida Raqeeb, una bimba inglese di 5 anni che, nel 2019, versava in stato di minima coscienza da quando, a febbraio, era stata colpita da una grave emorragia cerebrale. La bambina era stata ricoverata al Royal London Hospital, dove i medici, dopo soli tre mesi, erano già pronti a dare inizio ad una battaglia legale per sospendere le cure e staccare il respiratore alla bambina. Fortunatamente, questa volta, sarà la famiglia ad avere la meglio riuscendo a trasportare la figlia all’Ospedale Gaslini di Genova, i cui medici l’avevano visitata a Londra e si erano detti disponibili ad accoglierla per assisterla e darle le cure necessarie. “Voglio dire una cosa molto importante: il parere dei medici del Royal London Hospital, che è stato sottoposto al tribunale, si sta rivelando errato. La stessa Tafida sta dimostrando che quelle posizioni sono sbagliate”. Queste le parole della madre una volta che la figlia era uscita dalla terapia intensiva. Uno schiaffo morale che, purtroppo, è stato solo l’eccezione che ha confermato una regola barbara: quella che stacca la spina e quindi la speranza in nome del miglior interesse della piccola vittima.