Caro Valditara, la Scuola continua a deprimere le intelligenze e a odiare la verità
di Antonella Paniccia
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LETTERA APERTA AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO
Signor Ministro Valditara,
sono una docente pensionata e sono stata tra quanti si erano davvero rallegrati alla notizia della sua nomina a Ministro dell’Istruzione e del Merito.
Non le nascondo che quella parola “Merito” sembrava, al momento, un impegno in virtù del quale finalmente avremmo potuto ricominciare a sperare in un nuovo slancio vitale dell’Istituzione Scuola. Merito! Perché, è ovvio, nulla si può (si dovrebbe) acquisire realmente e validamente senza sforzo, senza studio, senza sacrificio.
Purtroppo, al termine dell’anno scolastico, abbiamo assistito alle solite performances di taluni genitori degli alunni bocciati che – previo ricorso al Tar – si adoperavano per ottenerne la riammissione, pur consci che i figli avessero realizzato numerose insufficienze o, peggio, avessero compiuto gravi scorrettezze nel corso degli studi.
Cosa ne è stato allora del merito? Ancora una volta è apparso come il grande assente! La Scuola italiana ha continuato a deprimere l’intelligenza degli alunni che si erano impegnati nello studio ogni volta che ha reso indistintamente degni di promozione tutti gli studenti. Come non vedere in questo comportamento un’ingiustizia e un danno anche per la società?
Come potremo, in futuro, sperare di trovarci dinanzi a professionisti preparati e capaci? Così la Scuola si è manifestata ancora nella sua debolezza; così ha azzerato le proprie difese, mostrandosi incapace di arginare gli attacchi alla dignità dei docenti, al loro prezioso lavoro di educazione, di insegnamento e di valutazione.
In realtà, nel corso di decenni, nella Scuola è venuto meno il concetto di autorevolezza e, conseguentemente, il rispetto dovuto agli insegnanti dagli studenti e dai genitori.
In una Scuola ormai deprivata di sicure regole di vita e di civiltà, è diventato sempre più difficile per ogni docente realizzare un’autentica ed efficace opera educativa; parimenti, anche l’aspettativa di formare studenti veramente preparati e competenti, dotati di senso critico e della capacità di confrontarsi con altri coetanei europei, è diventata utopia. In tale contesto, Signor Ministro, appare preminente la necessità di ristabilire nelle classi la consuetudine al rispetto del docente, all’autorevolezza (quella capacità derivante dalla passione per l’insegnamento, dall’esperienza e dalla competenza), sì che egli possa farsi percepire ed ascoltare in modo non autoritario ma semplicemente utilizzando “l’arma della persuasione e della parola”, come si legge nel suo libro “Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia“.
Ma non sono solo questi i problemi che oggi affliggono la scuola. Non bastava la capitus deminutio subìta da talune materie di studio (come la storia, il latino, la geografia), non bastavano gli attacchi di una minacciosa cancel culture che vorrebbe azzerare il passato eliminando il genio autentico dell’italianità e cancellandone i segni attraverso la devastazione di splendide opere d’arte…no, tutto ciò non bastava.
Una nuova “perla” viene ora scagliata nell’oceano dei progetti – tanto ambiziosi quanto spesso inutili – della scuola: l’educazione sentimentale. Quale la necessità di introdurla, sia pure in orario extracurricolare? Non sarebbe sufficiente, per educare i ragazzi a sentimenti di umanità, di amore e di gentilezza, far studiare attentamente i classici della letteratura e fare appassionare gli studenti alla poesia e alla bellezza delle opere d’arte?
Certo, bisognerebbe inchinarsi dinanzi a questa proposta se fosse stata concepita da un nuovo Flaubert. Ma così non appare! Essa, invece, è stata avanzata a gran voce dagli influencer delle peggiori ideologie dominanti, sfruttando la spinta emotiva dei recenti tristissimi episodi di cronaca.
Di conseguenza, subito si è sentita la necessità di attivarsi e, sulla pagina ufficiale di “La Tecnica della Scuola” del 22/11/2023, vengono riportate le sue parole, Signor Ministro, laddove Ella sottolinea che, con il progetto “Educare alle relazioni”, si intende “dire basta ai residui di cultura maschilista. Il fatto che la donna debba subire quotidianamente vessazioni è inaccettabile…(omissis) per la prima volta… si affronta di petto il maschilismo”. In pratica, tutto si ricondurrebbe ad un’estenuante “lotta al patriarcato”, così come viene oggi definita, e colui che viene – a priori – incriminato è il maschio in generale: l’uomo, l’essere di cui sospettare sempre, anche in famiglia. Non più colui che un tempo assicurava sicurezza, protezione e benessere ai propri cari, ma un individuo da temere e da considerare come un potenziale assassino.
Per questo motivo schiere di uomini si sono precipitati a chiedere scusa alle donne, a causa di un improbabile omicidio che potrebbero commettere in futuro o, magari, già commesso da altri. Addirittura, alcuni si sono scusati per essere nati uomini. Che meravigliosa sensibilità! Ma c’è anche chi, in maniera assolutamente blasfema, ha osato cambiare le parole dell’Ave Maria! Siamo fuori da ogni logica.
Considerando poi che la responsabilità di un delitto è sempre personale, e non collettiva, per quale ragione per il crimine commesso da un solo uomo dovrebbe sentirsi colpevole e scusarsi ogni uomo? Quale smania di protagonismo spinge costoro, quale scopo si nasconde dietro questa sceneggiata? Se anche esistesse ancora il patriarcato, l’educazione alle relazioni, per ora destinata agli studenti dai 14 ai 20 anni d’età, non potrebbe sortire alcun effetto poiché, a quell’età, abitudini e modus vivendi sarebbero già profondamente radicati nello stile di vita dei giovani.
Va pure fortemente evidenziato come neanche sia scopo precipuo della scuola educare all’affettività: infatti, se affidata a insegnanti o specialisti designati dalla scuola, tale educazione costituirebbe una forzatura, sarebbe estranea ed artificiosa, se non pericolosa quando ideologizzata. Il problema andrebbe affrontato proprio alla base: nella famiglia (o in quel che resta di questa cellula fondamentale della società). È in essa, infatti, che maturano i sentimenti, gli affetti e si acquisiscono i corretti comportamenti. Solo la famiglia potrebbe e dovrebbe, di diritto, essere preposta a questo delicato compito, come prima artefice dell’opera educativa. Pare, invece, che essa abbia delegato alla scuola la formazione dei figli sin dagli anni ’90, quando però si colsero anche i primi segni di contestazione da parte di quei genitori che erano stati adolescenti nel ’68: non si era compreso all’epoca, quale trasformazione devastante stava avvenendo nella scuola!
Per questa ragione sarebbero oggi necessari Corsi di formazione per i Genitori, visto che le mutate e complesse condizioni sociali hanno reso sempre più difficile il compito di educare i figli; vane risulterebbero anche altre proposte educative, nel momento in cui i ragazzi venissero a scontrarsi in casa con realtà differenti. E come potrebbe la scuola educare alle relazioni, seppur con l’aiuto di esperti psicologi?
Su quale base vorrebbe formare gli studenti considerando che ad essi manca proprio l’abc, il codice primario del vivere? Bisognerebbe ammettere che, nella convulsa illusione di amalgamare a tutti i costi usi e costumi di popoli diversi, sono state annientate le nostre difese naturali, quelle leggi morali ed etiche che scaturiscono dalla cultura e dalla tradizione cristiana.
Allora, proprio da lì bisognerebbe ripartire, da quel codice morale inscritto da sempre nel cuore dell’uomo e domandarsi cosa è stato insegnato ai bambini ed ai ragazzi di quel primo alfabetiere etico che ognuno possiede già in fieri nel suo cuore. Non si è forse fatto di tutto per azzerarlo esaltando l’idea di una falsa e illusoria libertà? Perché, allora, non fare un passo indietro proponendo di affiancare ad un sapiente ed approfondito studio della nostra migliore letteratura anche l’insegnamento dei Dieci Comandamenti? Quanti studenti oggi li conoscono? Eppure, se fossero stati loro insegnati, essi avrebbero preservato i giovani dall’idea di poter disporre del loro corpo e di quello altrui secondo le loro voglie!
Basterebbe considerare il quinto: Non uccidere! È tutto racchiuso lì: il rispetto della vita, l’amore verso l’altro, la consapevolezza che esistono limiti all’agire umano e la capacità di discernere il bene dal male. Si potrebbe continuare con il sesto Comandamento: il male di vivere, infatti, inizia quando non si comprende che non si può ottenere tutto ciò che si desidera o che ardentemente si brama (è la cultura del desiderio). Allora si sopprime, si distrugge ciò che non si può possedere. Ed è subito tragedia…
Signor Ministro Valditara, si potranno inventare false e fuorvianti ideologie, programmare nuovi insegnamenti, promulgare mille e mille leggi contro quel delitto che si vuol chiamare femminicidio: esso, in realtà, è la conseguenza di un male profondo che alberga nel cuore di ognuno e continuerà ad operare terribilmente fino a quando l’uomo non tornerà in sé, non capirà che Una sola è la Legge, una legge immutabile perché è stata scolpita su pietra durissima con dita invisibili, da mani non umane, e creata con sapienza infinita. Pertanto è eterna: La legge di Dio.
Spero, Signor Ministro, che vorrà accogliere queste mie esternazioni come semplici riflessioni di un’insegnante che un tempo ha infinitamente amato la Scuola. Quella vera.
La saluto cordialmente.
Come sempre, complimenti cara Antonella! Hai eviscerato sapientemente la situazione e suggerito i possibili scenari risolutivi. Famiglia, Scuola, Chiesa dovrebbero cooperare alla luce del Comandamento dell’amore, che significa rispetto a 360 gradi…. Questa volta hai “osato” alla grande….Spero che tu venga ascoltata …..
Disamina lucidissima delle visioni distorte che ci presenta il contesto della Scuola odierna.
Grazie Antonella per esprimere il tuo e il nostro disappunto concentrerà professionalità e umanità.