Il “diritto” di morire: il pericoloso primato della volontà sulla ragione
di Daniele Trabucco
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LA NECESSITÀ DI UN POSTCOSTITUZIONALISMO
In diverse Regioni d’Italia, ad esempio in Veneto, sono state presentate diverse proposte di legge regionale di iniziativa popolare per introdurre una disciplina legislativa in materia di suicidio assistito sia pure nell’ambito del perimetro delineato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 242/2019 la quale ha ritenuto non punibile, dati certi presupposti, il reato di istigazione al suicidio (che rimane, comunque, come fattispecie delittuosa prevista dal Codice penale italiano vigente).
Ora, al di là dell’impatto politico e delle solite vuote dichiarazioni circa il dotarsi di strumenti per una morte “degna” (è il legislatore che si arroga la pretesa di definire i confini della “dignità” sulla base del diffuso sentimento sociale), è evidente che il dibattitto a favore di questa forma di anticamera dell’eutanasia vera e propria si fonda, da un punto di vista strettamente filosofico, sul primato della volontà rispetto alla ragione com’è proprio del pensiero scotista.
Questo, congiuntamente al nominalismo occamiano, porta ad una sorta di individualismo antigiuridico, poi sviluppato dalla modernità, che pretermette la “natura rerum” (l’ordine naturale delle cose la cui negazione porta un ente all’indifferentismo per cui esso può essere anche un altro da sé, ma ciò non è possibile) e la “iustitia” nella loro oggettività ad una interpretazione vacua di esse per cui la persona non è più la sostanza individuale razionale boeziana, ma l’individuo storicamente determinato (non, però, nella sua essenza) in base al suo mero potere/volere, o meglio alla sua titolarità, tale in virtù esclusivamente della norma positiva, di un diritto “autosoggettivante” da bilanciare continuamente ed evolutivamente con i poteri/voleri degli altri.
Ovviamente gli orientamenti sempre più “dinamizzanti” del giudice costituzionale, attraverso l’attività ermeneutica, consentono in modo permanente la trasformazione dell’ordine esistente in funzione di nuovi principi ideologici. Da qui la necessità di un postcostituzionalismo in grado, una volta dimostrati le aporie del costituzionalismo moderno ed il suo fallimento, di aprirsi alla luce della “natura delle cose”.
Purtroppo, invece, ci si sta indirizzando verso un semplice neocostituzionalismo (si pensi, sul punto, ai contributi della scuola di Genova: cfr. S. POZZOLO, Neocostituzionalismo e positivismo giuridico, Torino, Giappichelli, 2001) per cui il diritto vuole incorporare “una morale razionalmente fondata” (dove?), ma al contempo cessa di essere un dato di fatto per divenire una pratica sociale complessa e, dunque, idonea ad interpretare potenzialmente ogni aspirazione che matura nella società.