Mentre la Palestina piange Taiwan non sorride
di Matteo Castagna
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ATTENZIONE A TAIWAN
Dmitrij Poljanskij, vice-rappresentante permanente della Russia all’ONU, ha esibito alla riunione del Consiglio di Sicurezza frammenti dei missili occidentali che Kiev ha utilizzato per colpire le infrastrutture civili. Tra questi missili ci sono l’americano Himars e il franco-britannico Storm Shadow. Sul frammento si legge “Made in France”.
Sul sito di Hamas si legge che una delegazione del gruppo palestinese, guidata dal dottor Musa Abu Marzouk ha incontrato, giovedì, Mikhail Bogdanov, inviato speciale del presidente russo per il Medio Oriente e l’Africa, e il vice ministro degli Affari esteri presso la sede del Ministero degli Esteri russo a Mosca.
I colloqui si sono concentrati sulla recente aggressione israeliana alla Striscia di Gaza e sulle strategie per fermare i crimini israeliani, sostenuti dagli Stati Uniti e da molte nazioni occidentali.
La delegazione di Hamas ha ribadito i diritti del popolo palestinese alla libertà, all’autodeterminazione e al diritto al ritorno. Hanno inoltre sottolineato il diritto di respingere e resistere all’occupazione israeliana con tutti i mezzi disponibili. La delegazione ha sottolineato che le atrocità israeliane contro i civili non metteranno in ombra il fatto delle sconfitte militari e dei problemi di sicurezza inflitti dall’esercito israeliano il 7 ottobre. Bogdanov, da parte sua, ha espresso il sostegno del suo Paese ai diritti del popolo palestinese e ha discusso con le parti interessate gli sforzi della Russia per raggiungere un cessate il fuoco, riaprire i valichi di frontiera e facilitare la consegna di aiuti umanitari nella Gaza bloccata.
C’è, dunque, uno scenario sempre più chiaro sul fronte geopolitico: da un lato, la polarizzazione del mondo sull’asse Cina-Russia-Medio Oriente arabo-palestinese, dall’altro la superpotenza americana che ha iniziato ad entrare in guerra direttamente, mentre l’UE aspetta ordini da Oltreoceano.
Non possiamo non considerare che si sta aprendo un altro fronte, oltre a quello ucraino e mediorientale, che riguarda Taiwan. Secondo i media internazionali si racconta che negli ultimi trent’anni il senso identitario della popolazione taiwanese abbia raggiunto il 60%, ovvero sia triplicata. Di fronte ai rapporti evidentemente tesi tra Cina e USA sarebbe miope non tener conto di quest’isola e della sua evoluzione, tanto che il prestigioso The Economist del 1/5/2021 la dichiarava già come il posto più pericoloso della Terra (Cfr. “The most dangerous place on Earth”).
Nel periodo che va dal 1895 al 1945 l’isola era abitata soprattutto da immigrati cinesi che, nonostante le loro differenze e la loro litigiosità, iniziarono gradualmente a creare un’identità comune taiwanese in contrapposizione ai giapponesi che li avevano colonizzati.
Nel 1946 Taiwan fu restituita alla Cina, che, all’epoca, vedeva la guida nei discendenti della dinastia Qing. Nel 1947, però, iniziarono violenti disordini, che portarono i taiwanesi a scontrarsi con i cinesi, dai quali si sentivano sfruttati e oppressi. Nel 1949 il Kuomintang, partito dei nazionalisti cinesi, a causa dell’avanzata comunista in Russia, si trasferì a Taiwan, assieme a 1,2 milioni di persone. Molto spesso, noi occidentali dimentichiamo che la separazione della “Cina libera” (Taiwan) gestita dai nazionalisti del Kuomintang e la parte comunista-totalitaria ha cambiato l’essenza e la visione del mondo cinesi, la cui storica identità, nel tempo e nel sentire comune, divenne prerogativa dei nazionalisti taiwanesi.
In funzione anticomunista, tra il popolo si radicalizzò una mentalità democratica, tanto che un sondaggio Tfd (agenzia dell’isola) dice che nel 2020 il 79,7% dei taiwanesi dimostrava massima fiducia per il sistema democratico e liberale.
Nel 1996 ben 23 milioni di taiwanesi votarono le prime elezioni presidenziali dirette. Questo fattore induce la Cina a concedere l’autonomia all’isola, in cambio dell’abrogazione della legge marziale. Si tratta di una indipendenza de facto ma non de iure. Qualora la Cina la minasse, sempre secondo un sondaggio Tfd oltre il 60% della popolazione sarebbe disposta a difendere l’isola con le armi, che col processo di democratizzazione ha avvicinato agli USA ed al sistema occidentale una fetta importante dell’elettorato.
Anche nei costumi, il regime di Taiwan ha cominciato a concedere matrimoni omosessuali e disposizioni ambientaliste, così come la moda, il cibo e la comunicazione all’americana sono penetrate nella vivacità di questo popolo.
Taiwan, secondo molti osservatori ed analisti politici brama l’indipendenza e non accetterebbe un attacco di Xi Jinping, che verrebbe visto come una volontà di distruggere ogni forma di indipendenza, a favore di una Taiwan inglobata nella Repubblica Popolare Cinese. Per questi motivi storico-politici, se si aprisse un fronte sull’isola, gli esiti sarebbero molto incerti e certamente porterebbero con sé altri attori, in una guerra lunga e logorante, che non dovrebbe essere nell’interesse di nessuno.